sabato, 27 Aprile 2024
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INAUGURAZIONE DELL'ANNO GIUDIZIARIO A PALERMO. NELLA FOTO MATTEO FRASCA PRESIDENTE FACENTE FUNZIONI DELLA CORTE D'APPELLO (Palermo - 2017-01-28, Alessandro Fucarini) p.s. la foto e' utilizzabile nel rispetto del contesto in cui e' stata scattata, e senza intento diffamatorio del decoro delle persone rappresentate

“Sarà una riforma ammazza-processi: impunità garantita”

Il Salvaladri abolisce il carcere. Tana libera tutti fino a 6 anni

Il Salvaladri abolisce il carcere. Tana libera tutti fino a 6 anni

I colpi di spugna della Cartabia – Non solo prescrizione. Le nuove norme sulle pene alternative alzano la soglia per concedere la “messa in prova” di un biennio

di Valeria Pacelli e Giacomo Salvini | 16 LUGLIO 2021

È un ritorno al passato di quattro anni. Cancellando con un tratto di penna la riforma Bonafede del governo gialloverde. Non solo sulla prescrizione, ma anche sulle misure alternative al carcere per i condannati che ricalca il decreto Orlando del 2017 del governo Gentiloni. La conseguenza della nuova riforma firmata dalla ministra della Giustizia Marta Cartabia è questa: quando diventerà legge dello Stato, tanti riusciranno a evitare il carcere, sostituito con i domiciliari o la semilibertà. Misure alternative cui potranno accedere anche coloro ai quali vengono inflitte condanne pesanti, come a 9 anni di reclusione. Ma come si arriva a questa conclusione?Partiamo dal principio. La riforma prevede questo: per le condanne fino a 4 anni il giudice può decidere di sostituire “tale pena con quella della semilibertà o della detenzione domiciliare”. Attualmente invece si possono concedere i domiciliari ai 70enni (per determinati reati) o a chi ha sì una condanna fino a 4 anni, ma a specifiche condizioni, come per le donne incinte o per chi ha problemi di salute particolarmente gravi. E ancora. La riforma per le condanne fino a tre anni prevede la possibilità di scontare la pena con il lavoro di pubblica utilità. C’è poi il capitolo della sospensione del processo con la messa alla prova: attualmente ciò è possibile solo per i reati fino a quattro anni. La nuova riforma alza l’asticella, comprendendo le pene fino a 6 anni per “ulteriori specifici reati” oltre quelli già previsti dal codice di procedura penale. Quali, non è chiaro.

 

Il rischio è che se la riforma diventerà legge, in molti riusciranno a evitare il carcere. E nei fatti in questa categoria rientrano se non tutti, molti reati. Come corruzione, rapina, associazione a delinquere, concorso esterno e così via. Gli escamotage sono presto fatti. Facciamo un esempio. Un uomo viene condannato a 9 anni. È incensurato e con le attenuanti generiche la condanna passa a 6. Ma ha anche scelto il rito abbreviato e ottiene un ulteriore sconto di pena di un terzo. Si arriva così a una condanna finale a 4 anni.

Gli emendamenti targati Cartabia, di fatto, estendono la riforma Orlando, che aveva iniziato a mettere mano alla legge Gozzini del 1975 per espandere le misure alternative al carcere. Lo aveva fatto con una delega ottenuta dal Parlamento il 23 giugno 2017 dopo il lavoro degli Stati generali presieduti dal penalista Glauco Giostra. Il decreto legislativo però era stato varato dal governo il 17 marzo 2018, dopo le elezioni del boom di Lega e M5S: la norma alzava la soglia da 3 a 4 anni per non scontare la pena nei penitenziari, dando discrezionalità al giudice di sorveglianza, ed estendeva la semilibertà a chi (anche se condannato all’ergastolo) aveva usufruito di permessi premio fino a 5 anni.

Una legge che aveva fatto gridare allo “svuota carceri” i vincitori delle elezioni. Alfonso Bonafede parlava di provvedimento “pericoloso” che minava “il principio della certezza della pena”. Matteo Salvini invece gridava alla “vergogna” perché un governo “bocciato dagli elettori” stava approvando “l’ennesima salva-ladri”: “Appena andremo al governo – prometteva il leghista – cancelleremo questa follia nel nome della certezza della pena: chi sbaglia paga!”. Il governo Conte-1 così nel 2018 aveva ridimensionato la riforma Orlando sulle pene alternative al carcere. Il 3 agosto l’esecutivo decise di non convertire in legge le misure di Orlando e di approvare tre nuovi decreti. Solo ieri Salvini si è ricordato dei suoi annunci e per la prima volta ha mosso una critica alla riforma Cartabia: “Ragionare su alcune pene alternative ci sta, ragionare sulla formazione professionale ci sta, ma svuotare le carceri con colpi di spugna no”. La prossima settimana, quando la riforma arriverà in commissione Giustizia, oltre alla diatriba sulla prescrizione su cui il M5S di Giuseppe Conte non transige, Lega e 5S presenteranno emendamenti per modificare le norme sulle misure alternative. Provando a scongiurare un altro colpo di spugna.

“Sarà una riforma ammazza-processi: impunità garantita”

“Sarà una riforma ammazza-processi: impunità garantita”

Matteo Frasca – Corte d’Appello Palermo

di  | 16 LUGLIO 2021

 

“Pensare di curare la grave patologia della lunghezza irragionevole del processo con la prescrizione, costituisce il fallimento dell’attività giudiziaria italiana”. Matteo Frasca, presidente della Corte di Appello di Palermo, non fa sconti. Pur gestendo un distretto “virtuoso” in termini di tempi processuali, non risparmia critiche alla riforma della giustizia voluta dalla ministra Marta Cartabia. “Se ci riferiamo alla questione – dice Frasca – della ‘prescrizione processuale’ non si può pensare di fissare un termine maturato per il quale il processo si estingue, senza avere preventivamente apprestato mezzi e risorse per consentirne la celebrazione entro il termine”.

Quale sarebbe la situazione a Palermo con la nuova riforma?

Qui i processi in appello vengono definiti in tempi medi di gran lunga inferiori ai 2 anni previsti dalla riforma, per l’esattezza 445 giorni, circa 1 anno e 3 mesi. Purtroppo, però ci sono altre realtà che questi tempi non li hanno. Ho letto sul Fatto l’intervista al presidente della Corte di Appello di Napoli, Giuseppe De Carolis, il quale ha detto che se passasse la riforma sarebbero a serio rischio di estinzione 57 mila processi. Significherebbe vanificare l’attività della polizia giudiziaria, dei pm, dei giudici di primo grado e mortificare le legittime aspettative degli imputati e delle parti offese.

Se a Palermo il processo si conclude, a Napoli muore. Una giustizia a due velocità?

Praticamente sì, e in questo caso la disparità di trattamento non dipenderebbe da elementi connessi con la specificità della fattispecie ma sarebbe riconducibile a fattori connessi con la realtà giudiziaria del territorio in cui il reato ipotizzato è stato commesso.

La prescrizione usata come ghigliottina per ridurre i tempi processuali?

Ho sostenuto sempre e sono profondamente convinto che la prescrizione sostanziale, per intenderci quella tradizionale e non quella processuale, non possa essere utilizzata come strumento per assicurare la ragionevole durata del processo, che è un principio fondamentale che deve essere attuato innanzitutto dal legislatore ma che deve essere un canone per tutti gli operatori. La ragionevole durata del processo che deve essere funzionale alla loro celebrazione e non alla loro morte.

Eppure per il ministero, la prescrizione sembra essere l’unico antidoto.

I principali problemi della giurisdizione, sia civile che penale, sono l’arretrato e la durata del processo, per cui servono interventi mirati per ridurli. Se in Italia il processo avesse una durata ragionevole, pensa che ci sarebbe il dibattito sulla prescrizione? Non avrebbe ragion d’essere. Se i processi potessero finire ben prima che maturino i termini di prescrizione, la questione sarebbe riportata alla sua sede naturale, che è quella dell’eccezionalità e del decorso del tempo per l’oblio. In Germania i processi penali d’appello durano in media 7 mesi e non credo affatto che si pongano il problema della prescrizione. A Palermo si prescrivono non più del 5% dei processi, ma ci sono realtà in Italia dove la prescrizione ha ben altro peso.

Cosa si dovrebbe fare per ridurre i tempi della giustizia?

Servirebbero interventi mirati e calibrati in relazione alle singole realtà territoriali e giudiziarie. Perché sa cosa succederà se passerà la riforma senza che vengano forniti i mezzi? L’estinzione dei processi sarà addebitata ai magistrati, per di più in modo indiscriminato, senza neppure poter distinguere eventuali concreti comportamenti neghittosi sanzionabili. Scaricare sulla magistratura nel suo complesso anche questa responsabilità non sarebbe affatto accettabile e certamente finirebbe per rendere oggettivamente ancor più complesso il già difficile processo di recupero di credibilità della sua funzione.