Le contraddizioni (di Stelio W. Venceslai)
Il sistema migliore per governare è quello di dividere, una vecchia regola: spezza il Paese ma consente il potere. L’Italia è la metafora di ciò che non funziona.
Che il Paese, grazie anche alla pandemia, sia diviso è indubbio. Emerge tutto ciò che non va.
Faccio un esempio: siamo divisi tra chi è convinto che i vaccini siano la salvezza e chi pensa, invece, che si tratti di una truffa meditata per spopolare il mondo. Su quasi otto miliardi di popoli sulla terra, aver perso quasi due milioni di morti dimostra che il presunto complotto mondiale organizzato da alcuni “grandi” della terra (v. Bill Gates) non ha funzionato.
Nessuno sa se il secondo richiamo può essere fatto con un vaccino diverso. Astra Zeneca è fatale o no? Prima over ’60 e poi no?
Tutti con la mascherina. Evviva! A che serve? Per evitare che il virus s’infiltri no, altrimenti non potremmo respirare. Per evitare tosse e starnuti nostri o altrui, sì. Ma all’aperto, quando non c’è nessuno, se nessuno tossisce o starnutisce attorno a noi, questa mascherata è utile? No. Nessuno ha il coraggio di dirlo.
Altro esempio: siamo divisi tra chi ha un reddito dipendente e chi, invece no. I primi le tasse le pagano tutte, fino all’osso, assicurando la maggior parte delle entrate dello Stato, gli altri, forse. Arrivata la pandemia, i primi hanno mantenuto salari e stipendi, gli altri hanno perso chi il lavoro chi i redditi. Le due categorie, adesso si odiano.
Il sistema fiscale è un guazzabuglio di contraddizioni pseudo garantiste. La lotta contro l’evasione e l’economia in nero, a parole, è prioritaria. Conseguenza, tutto si fa in nero. Non parlo delle grandi transazioni, ma di quelle migliaia, ma forse sono milioni, di transazioni che avvengono fra la gente comune.
Poiché per avere una ricevuta dei pagamenti devo pagare il 22% d’IVA e, se sono a reddito fisso, non la posso scaricare, nessuno la richiede e si paga contanti. In questo modo si alimenta il mercato del nero e le virtù dell’assegno di una volta sono scomparse. Anzi, se faccio un assegno, devo farmene una fotocopia, perché la ricevuta sul libretto non basta più. In tutto il mondo gli assegni svolgono la loro funzione di agevolatori degli scambi, da noi sono spariti.
Moneta elettronica, in cambio. Di che? Il presupposto è che i vari fornitori di piccoli servizi, dal sarto allo stagnaro, dal meccanico al venditore di frutta sulla strada, abbiano le loro macchinette, siano iscritti all’Iva e così via. Nulla di tutto questo. Sfuggono tutti e il nero aumenta.
Altra contraddizione è quel senso implicito di commiserazione che abbiamo nei confronti dei ristoratori. Poveretti, sono stati chiusi per mesi, vessati dalle prescrizioni anti-Covid. Quando lucravano a mani basse sugli avventori, non facevano pena a nessuno. Ora, si ha la sensazione che il bisogno fondamentale degli Italiani sia di poter andare al ristorante o al bar. È lo sfogo nazionale, commisto a un certo sentimento di solidarietà: dobbiamo farli lavorare.
È giusto, ma non mi fanno pena, come non mi fanno pena i concessionari degli stabilimenti balneari, che pagano concessioni al prezzo del 1939 e lucrano sul mare con prezzi da 2021. A Roma, ad esempio, per andare al mare sul litorale, bisogna pagare per entrare. Nel resto d’Italia no. Sulla costiera adriatica ci sarebbe una rivoluzione. Ma ha un senso comune?
La giustizia divide. In realtà non c’è, è un’illusione. Da sempre è un insieme di contraddizioni: per lo stesso presunto reato Salvini è assolto da una parte e inquisito da un’altra, escono da galera gli omicidi per buona condotta, vi entrano quelli che si sono difesi. Che la giustizia non funzioni è, ormai, una convinzione tipo precetto costituzionale. Non sono bastati neppure gli ultimi scandali tra i giudici per smuovere il Presidente della Repubblica, che pure è il supremo garante della magistratura. Dell’imperturbabilità ha fatto il suo scudo.
Il quadro politico è spento. Dopo Draghi c’è stata la moria delle esternazioni. I commentatori politici si attaccano alle solite dichiarazioni polemico-standard di quelli che a Palazzo Chigi sostengono il governo e poi, nelle piazze, si beccano fra loro, tanta è l’abitudine a farlo. Tutti sanno che sono parole e polemiche al vento. Draghi governa e tutti sono sottomessi. Se si muovono, c’è il rischio delle elezioni.
Qualcosa si muove, invece, sui progetti infrastrutturali, se i Commissari scelti da Draghi riusciranno a imporsi. Qualcosa si muove anche nell’Amministrazione dello Stato, se Brunetta riesce in poche settimane a rimpolpare le fila dei burocrati.
Forse, ma per il momento è solo un auspicio, si stanno facendo cose serie. Sarà per questo che i partiti politici, adusi al non fare, si leccano le ferite, abbaiano alla luna ma stanno alla catena. Draghi li ha ridotti all’inutilità da cui erano venuti.
I due casi più clamorosi, Taranto e l’Alitalia, passano quasi inosservati. Tutti tremano all’ipotesi che qualcuno, magari un oscuro magistrato di provincia, non facente parte di una qualche cosca giudiziaria, chieda loro conto dei miliardi gettati al vento in questi ultimi dieci anni. L’insipienza si paga e noi l’abbiamo pagata carissima.
Roma, 11/06/2021