Israele, Israele … 2.
(di Stelio W. Venceslai)
Il mio ultimo articolo su Israele, tema fortemente divisivo, ha suscitato molte reazioni, anche critiche. Me lo aspettavo e mi hanno anche fatto piacere, perché l’importante è parlare e non schierarsi acriticamente dall’uno all’altra parte, secondo suggestioni che vengono dall’esterno.
Ricordo che, nel ’48, all’epoca della guerra fredda, tutto l’Occidente parteggiava per i successi israeliani, forse per un antico complesso di colpa. I Palestinesi erano brutti, sporchi e cattivi e, di conseguenza, erano “protetti” dalla Russia e dai Paesi non allineati.
Con l’andare del tempo, le simpatie dell’Occidente, a parte gli Stati Uniti, sono andate ai Palestinesi mentre lo schieramento dei Paesi arabi si è rotto e sono cominciate le aperture verso Israele. Per converso, Iran, Siria e ora Turchia, hanno rafforzato le loro minacce contro Israele. A favore dei Palestinesi e di Hamas? Ne dubito. Solo per i loro interessi.
Il gioco delle parti cambia, e gli Israeliani continuano ad essere sotto le bombe e i Palestinesi a registrare i loro morti.
Un signore che mi onora da tempo della sua amicizia, l’Ing. Roberto Poggi, di fede e tradizione ebraica, mi ha scritto una lettera di cui condivido molte espressioni. Mi sembra doveroso diffonderla.
Caro Stelio,
come sempre sei lucidissimo e convincente. Istintivamente, comincerei la mia risposta dalla tua ultima frase: è giusto, e perché no? Invece parto da un po’ più lontano.
Vedi, ti dirò sinceramente che per noi Ebrei tanto vecchi di età da aver passato personalmente le vicende della Shoah, non è facile assumere un atteggiamento lucido e sereno sulle vicende di Israele e del Popolo Ebraico in generale. Molti storici, ebrei e non ebrei, hanno tentato di dare una spiegazione razionale alla costatazione della sopravvivenza del Popolo Ebraico nel corso dei secoli e dei millenni, nonostante le dispersioni, le conversioni forzate e le stragi. Nessuna loro spiegazione è convincente.
Dal mio punto di vista la più convincente è quella data in chiave escatologica dal Concilio Vaticano II, che l’ha ascritta al Mistero della Volontà Divina: il Patto fra Dio e Abramo non è cancellabile come non lo è quello fra Dio e Noè.
Ne segue che il Ritorno (Israele) è il segno di un nuovo Compito: quello fra le Nazioni da ora, come le dispersioni furono Compito fra i Popoli. Quando c’è una nuova guerra fra Israele e i Palestinesi mi vengono sempre in mente le parole che Golda Meyr rivolse ai suoi omologhi arabi: “Vi possiamo anche perdonare di avere ucciso e uccidere i nostri figli, ma quello che non potremo mai perdonarvi è di averci costretto a uccidere i figli vostri”.
È un discorso non immaginabile da parte di nessuno statista, arabo o non arabo. Certo, neppure da Netanyahu. Purtroppo, dico io. Come tutti i suoi omologhi, anche lui segue la logica della real politique.
Abbiamo già parlato una volta di quando fu offerta a Einstein, da parte di Ben Gurion, la prima presidenza di Israele che lui rifiutò per due motivi: il primo perché non si sentiva capace, il secondo perché era convinto che i problemi di real politique in cui inevitabilmente lo Stato sarebbe stato coinvolto sarebbero stati incompatibili con l’idea ebraica della vita e della convivenza, sviluppatasi nei due millenni di Dispersione.
In questo senso, quando vedo applicare due pesi e due misure ai comportamenti delle altre Nazioni e a quello di Israele, penso che tutto torni. Questo doppio metro è un giusto richiamo al nuovo Compito: nei prossimi decenni e secoli Israele insegni alle Nazioni, a proprie spese, a costruire nuovi rapporti fra le Nazioni come fu due mila anni fa quando con la creazione del Cristianesimo e poi dell’Islam diffuse il Messaggio Biblico in gran parte dell’Umanità. A proprie spese certo, perché la dinamica del Messaggio implicava allora la presenza del popolo ebraico fra le Genti per favorirne l’evoluzione ma anche a subirne le conseguenze.
La Shoah sembra essere stata la pietra miliare del cambiamento epocale: dal Compito fra le Genti al Compito fra le Nazioni.
E i Palestinesi? Anche loro svolgono purtroppo un ruolo tragico, che tuttavia nella logica escatologica, che mi è parso di intravedere, avrà, speriamo prima che poi, uno sbocco civile pacifico, ma diverso da quello che si pensa abitualmente: uno Stato o due Stati. Per questo purtroppo ci vuole del tempo, anche se ottanta anni ci paiono giustamente già troppi.
In realtà, i tempi si allungano perché i Palestinesi sono direttamente e immediatamente vittime degli Israeliani che si devono difendere, ma sono vittime soprattutto dei loro rappresentanti che per rivalità politiche personali li devono strumentalizzare e costringere al ruolo di vittime.
Per fortuna, nonostante certe apparenze proclamate da molti media, i problemi sono piuttosto limitati fra i Palestinesi che vivono Israele come arabo-israeliani e fra i Palestinesi che vivono in Cisgiordania. Io conosco abbastanza bene Israele. So che la Sanità coinvolge un gran numero di operatori arabo-israeliani a parità di condizioni con i non arabi. Gli ospedali sono a disposizione di tutti, anche degli Arabi di Cisgiordania.
Il vice Rettore dell’Università di Gerusalemme è una Professoressa araba, alla Corte Suprema c’è un Giudice arabo. Nel litigioso Parlamento Israeliano siedono 4 parlamentari arabi. Drusi e Beduini sono nell’Esercito in piena, reciproca lealtà. Al 95% la convivenza è fraterna e pacifica.
Poi, come in tutto il mondo ci sono le frange estremiste cui conviene strumentalizzare e farsi strumentalizzare: ad es. dall’Iran e dalla Turchia, come giustamente dici anche tu.
I tempi lunghi servono a creare una convivenza di fatto fra tutta la gente che forse prescinderà dalla formula: uno Stato o due Stati. Molti Paesi Arabi (tranne per ora l’Iran, la Libia, l’Algeria, la Tunisia), oggi juden rein, sono coscienti che aver cacciato tre milioni di Ebrei non è stato né un buon affare interno, né ha favorito il rifiuto di Israele, perché ha avuto come conseguenza la lenta medio orientalizzazione di Israele che li ha ovviamente accolti. I Patti di Abramo e il riscaldamento dei rapporti con Egitto e Giordania sono un buon inizio. Al Fatah comincia a capire che Hamas è più suo nemico di Israele.
Ma ci vuole del tempo. Un allungamento dei tempi è anche dovuto all’atteggiamento politico di questa strana sinistra un po’ in tutto il mondo. Forse è Giusto che sia così.
Come vedi, ho messo la “G” maiuscola per ribadire il fatto che, secondo me, la logica che guida questi fatti, come del resto quelli di tutta l’Umanità, va ricercata in chiave escatologica.
Spero di non averti annoiato. Un caro saluto.
Roberto
Roma, 27/05/2021