Israele, Israele! (di Stelio W. Venceslai)

 È passato quasi un secolo da quando lo Stato d’Israele è stato riconosciuto come tale dalla Comunità internazionale. Era il 1948 e il complesso di colpa dell’Occidente vittorioso nella guerra contro il nazionalsocialismo sembrava fosse finito.

Cominciava, invece, il dramma palestinese.  Dopo quasi un secolo, siamo ancora a questo punto: deportazioni, guerra, stragi, attentati.

A che serve? A chi serve questo tumore maligno piantato in Palestina?

Amo Israele, il suo coraggio, la sua tenacia, la sua storia millenaria.  Come ha detto un grande Papa, sono i nostri fratelli maggiori. Anzi, l’Ellade e Israele sono i padri della nostra civiltà.  Non possiamo negarlo.

Lo scempio che si sta facendo da decenni di questo popolo e di quello palestinese rimescola nel profondo gli odi più antichi, i rancori mai sfogati, la rabbia di una povertà non solo economica, ma anche culturale.

Per un osservatore esterno, il conflitto arabo-ebraico, dopo quasi un secolo, è incomprensibile, addirittura stucchevole. Non ci emoziona più, non ce ne importa nulla.  Tanto, è la ripetizione costante sulla scena del mondo di un balletto, tragico, di dichiarazioni di pace, d’impegni di buona volontà che non saranno mai rispettati, di consueti scenari di bombardamenti e di orrori. Una farsa, dove di vero ci sono solo i morti.

Dopo due settimane di bombardamenti reciproci le armi tacciono: la diplomazia ha vinto. Una nuova, ennesima tregua in Palestina. Sono tutti contenti. I Palestinesi, “gli aggressori”, festeggiano, al solito, con urla, slogan e bandiere. Hanno vinto. Che cosa hanno vinto? Duecento quaranta morti di cui cinquantasette bambini e milleseicento feriti, oltre a una città distrutta. Che vittoria! Napoleonica.

Anche gli Israeliani festeggiano, per le strade. Non hanno vinto nulla. Tutto è rimasto come prima. Ora potranno andare al mare tranquilli. Appena 12 morti. Un vero affare. E dire che erano gli aggrediti!

Adesso, contenti tutti, aspettiamo la prossima buffonata. Nel frattempo, Gaza sarà ricostruita da un finanziamento internazionale, così un po’ di gente potrà mangiarci sopra. Non tutto il male viene per nuocere. Possiamo stare tranquilli: al prossimo conflitto gli aerei israeliani avranno nuovi obiettivi da colpire.

Arrivata la tregua, domani o dopodomani, finalmente, almeno la metà della popolazione di Gaza andrà in Israele. Un’invasione? No, va a lavorare, perché Gaza vive di Israele, non certo delle sue inesistenti risorse.

Gli Israeliani hanno il diritto di vivere, come i Palestinesi. Gli Israeliani hanno il diritto di avere uno Stato, i Palestinesi no.

Gli Israeliani sono forti in guerra e in armamenti. I Palestinesi no.

Gli Israeliani vogliono vivere a dispetto dei Palestinesi, degli Arabi e del mondo. È giusto. Glielo dobbiamo. Ma anche i Palestinesi hanno diritto di vivere. Però, sembra che l’unico diritto di questi popoli fratelli (checché se ne dica), sia quello di uccidersi.

Sul fronte della Palestina trescano poteri occulti, approfittando dell’orgoglio israeliano e della disperata povertà palestinese.

L’Iran, media potenza, si fa forte del suo revanscismo religioso contro il sunnismo per schierarsi contro Israele. Cancellato dalla carta geografica Israele, il popolo iraniano starà meglio sotto la dittatura degli ayatollah? Ne dubito. La potenza iraniana è zoppa senza armamento nucleare. Se l’avessero, distruggerebbero Gerusalemme e la Palestina? Nessuno è tanto pazzo da rischiare una guerra nucleare che renderebbe radioattivi per millenni i Luoghi Santi, e trasformerebbe Teheran in un mucchio di cenere calda a causa della reazione israeliana.

La Turchia di Erdogan aspira alla restaurazione del Califfato. Si erge a protettrice dei Palestinesi. Non gliene importa nulla di loro, però fanno comodo. Nel potenziale contrasto con l’Arabia Saudita, nella sottile concorrenza con l’Iran, Ankara ha le spalle forti: dietro c’è la Russia di Putin.

Ovviamente, Netanyahu ha tutto l’interesse a tener aperta la piaga palestinese. Ricatta l’Occidente con la memoria dell’Olocausto, parteggia per gli Stati Uniti contro la Russia, è uomo per tutte le stagioni pur di restare al potere, immune dai guai giudiziari in cui è coinvolto.

Sulla Palestina, insomma, ci lucrano tutti, tranne i diretti interessati.

A Varsavia, nel 1944, gli Ebrei si sono sollevati contro i Tedeschi. Non avevano alternative: o la deportazione e la morte o combattere e morire. Hanno combattuto. Con le poche armi che avevano, con i sassi e con i pugni. Hanno resistito alla ferocia delle artiglierie e dei carri armati tedeschi, sperando in un soccorso russo che non arrivò mai. La rivolta del Ghetto di Varsavia è una delle glorie d’Israele.

Gli Ebrei dovrebbero ricordarselo oggi, quando i Palestinesi lanciano circa 4.000 razzi su Israele, intercettati al 90% dalla rete antimissilistica israeliana. Un gioco da ragazzi, come un videogioco. E si vede.

Gli Israeliani, invece, fanno sul serio: aerei a reazione, missili, carri armati, truppe di terra. Il conto non torna. Chi è l’aggressore?

Tutti hanno ragione e tutti torto. Ma, in realtà, a chi giova questo eterno conflitto?

Anche i Romani potrebbero vantare qualche diritto su Gerusalemme, alias Aelia Capitolina. Potrebbe essere un’idea per Letta, tanto per farsi notare.

 

Roma, 24 maggio 2021