Storie di tacchini

Storie di tacchini

Il primo maggio mi è sempre sembrata una festa stanca e demagogica ma ieri l’ho celebrata, sebbene con quarantotto ore di ritardo e dalla scrivania, sede del mio privilegio. Ho letto la storia di una zucchina e anche la storia di una sovracoscia di tacchino: costo, due euro e mezzo al chilo. Praticamente regalata, dice la storia. Ho letto anche la storia di Daniela, che ha una figlia all’università e le capita di pulire una casa da cima a fondo, ventidue euro per tre ore, detersivi compresi.

Ora Daniela ha quasi cinquant’anni e forse la licenziano. Ho letto storie di rider da 200 consegne al giorno, di braccianti da tre euro l’ora, di ananas in offerta a un centesimo, di schiavi e di schiavisti, soprattutto di “Noi schiavisti”, il titolo del libro (Laterza, in vendita da giovedì) in cui le storie sono raccontate da Valentina Furlanetto.

Non sono semplicemente le storie di poveri immigrati sfruttati, ma le storie di poveri immigrati sfruttati da chi non vorrebbe gli immigrati, o sfruttati da altri immigrati che hanno capito come funziona il mondo in cui siamo sprofondati, di italiani cui tocca adeguarsi ai salari al ribasso fino alla fame contrattati dagli stranieri, di sindacalisti che urlano al vento e sindacalisti che ci marciano e ci fanno soldi, di badanti a nero perché senza nero non ci si riesce, di leggi inadeguate o proprio sceme.

E poi le storie di noi, che troviamo tutto così conveniente, così comodo e a portata di mano, e siamo gli innocenti schiavisti che chiediamo diritti per noi sulla negazione dei diritti basilari degli altri. Peccato, questo primo maggio s’è parlato d’altro. Sarà per il prossimo.