Napoli. La “cella zero” e il carcere minorile in Russia: confronto Ioia-Lilin sui diritti civili

di Giuseppe Manzo

 

“Ho conosciuto ‘o sfregiato e quei secondini che mi portavano nella ‘cella zero’ dove mi riempivano di botte perché avevo un mazzo di carte”. Racconta la “cella zero” del carcere di Poggioreale Pietro Ioia, Garante dei detenuti di Napoli, durante il webinar del Coordinamento Territoriale di Scampia ieri dedicato ai diritti civili.

Ha raccontato in un libro quel luogo di violenza e negazione di diritti nel penitenziario e con la sua denuncia ha aiutato a far emergere la verità con 12 poliziotti penitenziari indagati e un processo in corso.

Durante il dibattito moderato da Taisia Raio Ioia ha riassunto le condizioni nelle carceri napoletane: “mi scrivono anche da altre regioni, molti napoletani sono stati trasferiti in Calabria e Sicilia. Un anno fa ci sono stati 13 morti per la rivolta del lockdown e non si conosce la verità. In carcere ci vanno i poveracci, il 70% sta lì per reati minori e molti devono scontare solo pochi mesi. In una stessa cella trovo 9-10 persone in un penitenziario che può contenere 1500 detenuti ce ne sono il doppio. Per non parlare dell’assoluta mancanza di affettività, un’ora di colloquio a settimana”.

A confrontarsi con il Garante dei detenuti c’è anche lo scrittore Nicolaj Lilin che si è fatto conoscere al grande pubblico con il romanzo “Educazione siberiana” approdato anche al cinema con Gabriele Salvatores. Lilin racconta la sua esperienza nel carcere minorile: “continuiamo a punire le persone e non a rieducarle. In questa società c’è posto per tutti ma non per chi sbaglia, è xenofoba per chi ha fatto errori. Spesso sono persone limitate nelle possibilità sociali, vivono in periferie e vengono da famiglie problematiche. Nel mio Paese sono stato nel carcere minorile e mi è bastato per vedere una voragine buia di disgrazie e disperazione.

Da lì sono uscito una persona che non appoggia nessun sistema politico finché continua a mantenere questo atteggiamento verso chi sbaglia. Bisogna cambiare cultura della società e se parliamo di diritti ciò che mi fa dubitare di molti esponenti di governo quando parlano solo di alcune categorie e non rientrano mai quelli detenuti. Il sistema è punitivo ed è errato nella sua matrice, altrimenti fate la pena di morte come quelle persone conosciute nel carcere di Spoleto condannate a più ergastoli”.

Il penalista Nicola Nardella ha sottolineato anche un altro aspetto del mancato reinserimento: “c’è una questione che riguarda la ‘rinascita’ come racconta Dostoevskij in una bellissima lettera dopo la sua prigioni. Ci sono pene anche non carcerarie ma di natura economica e sono pesantissime. Persone costrette alla povertà, al lavoro nero o destinate alla criminalità. Impedire a un soggetto di avere la patente significa impedirgli di poter lavorare ad esempio: stiamo andando verso uno stigma che si trasferisce non solo nel penale ma anche nell’ambito amministrativo”.

 

FONTE: sudreporter.com, 2 maggio 2021