giovedì, 28 Marzo 2024
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IL MEGLIO E IL PEGGIO DAL FATTO QUOTIDIANO DI OGGI

Fico è pronto per Napoli se Draghi aiuta sui debiti

Fico è pronto per Napoli se Draghi aiuta sui debiti

Il primo passo è sempre quello più lungo. Prima di ufficializzare la candidatura a sindaco che un giorno sì e l’altro pure Pd e M5S gli stanno proponendo per chiudere la partita Napoli, Roberto Fico vuole pensarci bene. “Non vorrei fare il sindaco che va lì solo per tagliare”, ha confidato ai tanti interlocutori, grillini e non, che lo hanno sondato in questi giorni. Con un evidente riferimento alla preoccupazione per le finanze in semidissesto, mentre volge al crepuscolo l’era de Magistris. Numeri da brividi, estratti dall’approvazione a dicembre del bilancio consolidato, 4 miliardi e 600 milioni di euro di indebitamento complessivo, 683 milioni nei confronti dei soli fornitori, sia pure con un lieve miglioramento sull’anno precedente. È di poche ore fa la notizia che a battere cassa c’è anche la Cappella del Tesoro di San Gennaro, che reclama mancati pagamenti della retta annuale a partire dal 2011, per un totale di 773mila euro.

Per ripianare i conti di Napoli ci vorrebbe un miracolo come quello dello scioglimento del sangue e Fico non è un santo, ma un politico molto attento alle cose terrene, che sin dall’insediamento alla presidenza della Camera studia bilanci e flussi finanziari della sua città d’origine. “È una sua preoccupazione costante, al di là dell’eventuale candidatura”. Nelle scorse settimane ha chiesto dati e analisi al viceministro dell’Economia Laura Castelli, vicina a Luigi Di Maio. Fico si sente pronto al passo, e si aspetta un segnale chiaro dal governo Draghi su Napoli e sui Comuni in difficoltà finanziaria.

Se dovesse arrivare il suo via libera, fioccherebbero i sospiri di sollievo. Quelli di Enrico Letta e Di Maio, in primis, che avvalorerebbero su Napoli – e forse solo su Napoli tra le grandi città – una candidatura col nome simbolo per eccellenza della costruenda alleanza giallorosa. Quello del segretario del Pd di Napoli, Marco Sarracino, che da mesi teorizza la necessità di un candidato unitario del centrosinistra da individuare senza passare per sanguinose primarie che a Napoli sono sempre state sinonimo di brogli e catastrofi e infatti chi è tornato a chiederle? Matteo Renzi, che propone in quota Iv Gennaro Migliore. Non è sicuro il via libera a Fico del governatore Pd Vincenzo De Luca, che con i pentastellati ha un problema culturale oltre che politico. Ma al momento giusto Letta gli ricorderà che il figlio Piero non fa il presidente vicario dei deputati dem per grazia ricevuta.

Peraltro, il nome di Fico riscuote buoni riscontri dai sondaggi. L’ultimo di Quorum premia l’asse Pd-Cinque Stelle e i politici. Roberto Fico raggiunge quasi il 40 per cento (39,8 per la precisione), davanti a Catello Maresca, candidato in pectore del centrodestra, al 26,7 per cento. La candidata di Dema Alessandra Clemente raccoglie il 16,8, l’indipendente di sinistra Antonio Bassolino l’8,9, seguono nomi sparsi. Con l’ex rettore ed ex ministro dem Gaetano Manfredi al posto di Fico come nome dell’alleanza giallorosa, si scende al 34,1%. E salgono di diversi punti sia Maresca che Bassolino.

Bongiorno & C: gli avvocati vero partito di maggioranza

Bongiorno & C: gli avvocati vero partito di maggioranza

I legali che siedono in Parlamento sono ben 132, da Sisto a Boschi, da Ostellari a De Luca. Manca una legge come nell’Ue

di  | 25 APRILE 2021

È il partito più numeroso in Parlamento. Ma non ha colore politico: niente bandiere rosse, verdi, azzurre. È trasversale e molto influente, soprattutto quando si parla di giustizia: è il Partito degli Avvocati (PdA). Le elezioni del 2018 sono state una manna dal cielo per gli Azzeccagarbugli nostrani: gli avvocati eletti in Parlamento sono ben 132, 87 a Montecitorio e 45 a Palazzo Madama. Un record considerando che nella legislatura precedente (la XVII) erano 113. Non c’è altra professione che sia più rappresentata nelle due Camere: secondo un rapporto di inizio legislatura, a fronte dei 132 avvocati, ci sono 116 imprenditori, 114 impiegati mentre molto più in basso si posizionano gli ingegneri (21), sindacalisti (13) e gli operai (2).

tra i parlamentari non c’è solo la più famosa Giulia Bongiorno, già legale di Giulio Andreotti e Gianfranco Fini, eletta a Palazzo Madama nelle file della Lega per rappresentare la nazione e nel frattempo avvocato di Matteo Salvini nei processi sui migranti e anche di altri clienti privati come la ragazza che ha denunciato il figlio di Beppe Grillo per stupro. I nomi noti sono molti. Alcuni hanno sospeso l’attività per ragioni istituzionali, molti parlamentari semplici invece continuano a praticare liberamente. Tra gli avvocati eletti più famosi c’è la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, i legali di Berlusconi Niccolò Ghedini e Francesco Paolo Sisto (oggi sottosegretario alla Giustizia), le ministre Mariastella Gelmini ed Erika Stefani, ma anche l’ex Guardasigilli del M5S Alfonso Bonafede, la capogruppo di FI al Senato Anna Maria Bernini, i renziani Francesco Bonifazi e Maria Elena Boschi, ma anche Piero De Luca (Pd), Ignazio La Russa e il presidente della commissione Giustizia, Andrea Ostellari (Lega). Molti di questi propongono, discutono, chiedono modifiche e votano leggi in materia di giustizia che, oggi o domani, potranno tornare utili nella difesa dei propri assistiti. E per dare l’idea del potenziale conflitto d’interessi, basti pensare che la maggioranza dei parlamentari che siede nelle commissioni Giustizia, e quindi quelli più coinvolti nei provvedimenti sul tema, sono avvocati. A Palazzo Madama sono ben 17 su 24 (il 71%) mentre alla Camera 26 su 46 (il 57%).

È proprio per questo che una legge per rendere incompatibili le professioni di avvocato e parlamentare non arriverà mai. E sì, che di tentativi in passato ce ne sono stati. Basti ricordare la proposta del 2003 di Giuseppe Fanfani per rendere incompatibili le cariche di avvocato e ministro e obbligando i parlamentari a scegliere tra le due professioni. Poi nel 2010 l’allora senatore Marco Follini scrisse una legge che impediva agli avvocati/parlamentari di difendere clienti privati in cause con lo Stato fino a quella dell’ex pm di Mani Pulite, Antonio Di Pietro (anno 2011) che prevedeva la secca incompatibilità. Tutte cadute nel nulla. In questa legislatura, chissà perché, non c’è alcuna proposta di legge che provi a risolvere questo conflitto d’interessi. Eppure la questione è regolata in molte democrazie occidentali. In Spagna è prevista l’incompatibilità, in Francia e negli Usa gli avvocati/deputati non possono difendere aziende o persone che hanno cause con lo Stato mentre in Germania il codice di condotta del Bundestag obbliga i deputati a informare il presidente su ogni incarico con interessi contro lo Stato o la Pubblica amministrazione.

SECONDO I GIORNALI ASSERVITI AL POTERE È rimorto il M5S

di  | 25 APRILE 2021

Quando morì papa Luciani, 33 giorni dopo papa Montini, Lotta Continua titolò: “È rimorto il papa”. Ieri invece è rimorto il M5S. La notizia, come disse Mark Twain per smentire le indiscrezioni sul proprio decesso, “è grossolanamente esagerata”. Ma in Italia ormai le notizie le dà un branco di spostati, convinti che qualcuno li legga e che la realtà non aspetti altro per adeguarsi. Purtroppo per loro, accade l’opposto. Stiamo parlando degli stessi geni che tre mesi fa raccontavano di un Recovery Plan scritto coi piedi da Conte e dai suoi ministri incapaci e invocavano i Migliori per riscriverlo da cima a fondo e salvare l’Italia. Ora che i Migliori l’hanno fotocopiato e ci hanno aggiunto qualche marchettina pro Eni, pro Confindustria e anti-ambiente, peraltrto in ritardo, tutti gridano al miracolo per non dover ammettere di avere mentito ai lettori. Che peraltro, stando ai dati delle edicole e dei sondaggi, mostrano di essersene accorti. Ma dicevamo dell’ennesima morte dei 5Stelle: più che una notizia, una rubrica fissa settimanale che esce sulle migliori testate dalla loro nascita (4.10.2009). Stavolta il decesso sarebbe causato da tre fattori letali concomitanti: il video di Grillo sul figlio, la dipartita di Davide Casaleggio e della sua piattaforma Rousseau e il vuoto di leadership in attesa di Conte.

Libero: “Bancarotta M5S: Casaleggio taglia le paghe”. Domani: “Senza Conte, senza Grillo, senza Casaleggio, senza stelle: del M5S non rimane più nulla”. Belpietro su La Verità: “Senza capo e con i debiti il M5S è allo sbando”. Casaleggio jr. su La Verità: “Senza la regola della piattaforma, Grillo&C. copieranno i soliti partiti”. Corriere: “Addio al veleno tra i 5Stelle e la piattaforma Rousseau”. Rep: “Il big bang dei 5Stelle”, “Il Movimento a rischio estinzione”. Pensano che basti ripetere in stereo una cazzata perché si avveri. Come quando scrivevano che il M5S avrebbe perso le elezioni del 2013 e del 2018 (infatti le stravinse), che al referendum renziano del 2016 avrebbe vinto il Sì (infatti stravinse il No) o che al referendum antigrillino del 2020 sul taglio dei parlamentari avrebbe vinto il No (infatti stravinse il Sì). Sono fatti così, vanno capiti: non ne azzeccano una, però insistono. Ora pensano che agli elettori interessi qualcosa di casa Grillo o della bottega Casaleggio. Dopo 12 anni, non hanno ancora capito perché molti guardano ancora ai 5Stelle: perché gli altri fanno mediamente o ribrezzo o pena. Chi combatte i vitalizi ai corrotti? Il M5S. Chi ha costretto ieri Draghi a rimangiarsi i tagli all’ecobonus 110%? Il M5S e un post di Conte su Facebook. Che poi chissà come farà Conte a postare tutta quella roba sui social, essendo morto ancor prima di nascere.

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Renzi imprenditore, la rete e i suoi viaggi: una società al centro

Renzi imprenditore, la rete e i suoi viaggi: una società al centro

Il giro del mondo e la multinazionale Iss

di  | 25 APRILE 2021

 

C’è una società che collega gli ultimi viaggi di Matteo Renzi tra Africa e Golfo Persico. Si chiama Iss Global Forwarding, è una multinazionale che porta a Marco Carrai e al patto tra le monarchie sunnite della Penisola arabica e Israele, gli Accordi di Abramo.

Arabia Saudita, Bahrein, Dubai e Senegal sono i Paesi in cui si è recato, da gennaio a oggi, il senatore. Viaggi che nulla hanno a che fare con il suo ruolo di parlamentare, visto che il leader di Italia Viva fa parte della Commissione Igiene e Sanità. Cos’è andato a fare allora Renzi in tutti questi Paesi? Non l’ha mai spiegato. “I miei viaggi sono legittimi, la mia dichiarazione dei redditi è pubblica, i miei numerosi incarichi internazionali sono tutti rispettosi delle regole del nostro Paese”, ha dichiarato. Vero, perché la legge italiana non gli impedisce di svolgere attività d’affari private, tant’è che il senatore di Rignano ha appena aperto, come rivelato dall’Espresso, una società di consulenza basata a Roma, la Ma.Re Consulting.

La sua stringata dichiarazione non è però sufficiente a spiegare il motivo del continuo girovagare. Per capire perché Renzi da gennaio ad aprile si sia recato nello stesso numero di Paesi extraeuropei di Luigi Di Maio, ministro degli Esteri, si più partire da ciò che accomuna le nazioni visitate. Ed è qui che ci si imbatte in Carrai, da sempre grande amico dell’ex premier.

Il consigliere e amico

Console onorario di Israele in Toscana, Lombardia ed Emilia-Romagna, tra i tanti incarichi all’attivo, Marco Carrai ha anche quello di consigliere d’amministrazione della Iss Global Forwarding Italy, sede a Milano, attiva nel settore delle spedizioni. È la filiale italiana della multinazionale Iss Global Forwarding, gigante della logistica, energia in particolare. Presente in oltre 100 nazioni, è controllata dalla Investment Corporation of Dubai, braccio finanziario dell’emirato. Lo stesso dove Renzi si è recato a marzo in compagnia di Carrai, ha rivelato La Stampa.

Non è la prima volta che l’imprenditore amico dell’ex premier si ritrova in imprese dove si uniscono interessi italiani e mediorientali. Succede anche nella Wadi Ventures, società d’investimento basata in Lussemburgo: accanto a manager e imprenditori nostrani come il costruttore Michele Pizzarotti, il finanziere Davide Serra e l’ex consigliere di Leonardo Fabrizio Landi, nel capitale spicca per quantità di denaro investito la Golden Landscape di Dubai. Come raccontato dal Sole 24 Ore, a staccare l’assegno da 500 mila euro con cui l’anonima società emiratina è diventata il principale investitore del veicolo lussemburghese è stato in realtà il Kingdom Wealth Fund, fondo creato da Mohamad Al Akari, imprenditore nel settore petrolifero, consulente d’affari della famiglia reale saudita e di altre monarchie del Golfo.

Wadi Ventures fa capo a un’altra lussemburghese, la Wadi Ventures Management Company, ed è tra gli azionisti di quest’ultima che compare Carrai, o almeno compariva. Poi, il 24 marzo scorso, ha ceduto tutte le sue quote all’israeliano Jonathan Pacifici, presidente del Jewish Economic Forum. Il risultato è che oggi i beneficiari della Wadi Ventures Management Company sono tre. Oltre a Pacifici c’è Vittorio Giaroli, socio anche della Cambridge Management Consulting, l’impresa fiorentina fondata dallo stesso Carrai, e c’è Marco Norberto Bernabè, figlio di Franco, l’uomo appena scelto dal governo Draghi come presidente di Ilva. Coincidenza. Anche Carrai è alle prese con vecchie acciaierie da far ripartire: è infatti nel cda della ex Lucchini di Piombino, oggi di proprietà della famiglia indiana Jindal, per il cui rilancio s’immagina un futuro fatto di idrogeno, gas e logistica. Proprio i settori in cui opera Iss Global Forwarding.

Gli accordi di abramo

Dubai è al centro degli Accordi di Abramo e degli affari che ne conseguono. Firmati il 15 settembre scorso alla Casa Bianca, i patti hanno normalizzato i rapporti diplomatici tra Israele, Emirati Arabi Uniti (di cui fa parte Dubai) e Bahrein. Secondo il governo degli Emirati, gli accordi potrebbero portare fino a 500 milioni di dollari di nuovi scambi con Israele.

Sullo sfondo c’è l’Arabia Saudita, altra nazione dove Renzi si è recato ultimamente in virtù di due incarichi affidati direttamente dal principe Mohammed Bin Salman (come consigliere del Future Investment Institute e come e della Royal Commission for Al Ula, come rivelato di recente dal Domani). Capitale mondiale dell’islam sunnita e della produzione petrolifera, Riyad non ha firmato gli Accordi di Abramo ma ha benedetto l’intesa dando il permesso di attraversare il proprio spazio aereo agli aerei commerciali che fanno la spola tra Israele e Dubai.

Dubai e l’hub africano

Infine c’è il Senegal, altro Paese visitato da Renzi. In questo caso il motivo del viaggio l’ha spiegato il presidente della Repubblica africana, Malick Sall: Renzi è stato a Dakar in compagnia della famiglia Ferrari, titolare dell’azienda di trasporti bresciana Germani, per parlare di “un progetto per una piattaforma di trasporto e logistica nella zona economica speciale di Diass”, ha detto Sall. Il Senegal punta a diventare l’hub africano del trasporto internazionale di merci gestito da Dubai. Lo dimostra l’accordo firmato lo scorso novembre dal governo di Dakar per aderire al “World Logistics Passport”, un progetto con cui l’emirato dice di voler aumentare il commercio tra le nazioni del sud del mondo. Obiettivo strategico: trasportare merci tra Americhe e Asia, attraverso Senegal e Dubai.

Negli ambienti renziani, nessuno vuol rilasciare commenti sugli eventuali interessi del senatore di Italia Viva. La multinazionale Iss Global Forwarding, nella cui filiale italiana è presente Carrai, potrebbe però essere la pedina costruita per partecipare a questa partita che unisce interessi politici ed economici. Un nuovo Grande Gioco.

La Liberazione non è affatto superata

di  | 25 APRILE 2021

“La verità è che, fatta eccezione per quelli che per età lo hanno vissuto a suo tempo, cioè al tempo della Liberazione, il 25 Aprile è una celebrazione superata. L’Italia non ha più bisogno di ricordare l’antifascismo per evitare il fascismo. Quel 25 Aprile è un evento che alla maggior parte dei ventenni non dice niente. La cosa non interessa più”.

Giuseppe De Rita intervistato dal “Messaggero”

Alla vigilia di un 25 aprile di molti anni fa, fui mandato dal mio giornale del tempo, il “Corriere della Sera”, a raccogliere la testimonianza di un autorevole storico antifascista. Costui, dopo una serie di affermazioni celebrative politicamente in linea con la ricorrenza, prima di congedarmi mi raccontò di essere reduce da una conferenza sui valori della Resistenza tenuta in un prestigioso liceo della Capitale, e di come ne fosse rimasto profondamente deluso. Chiesi come mai e lui rispose che mentre raccontava dell’epopea della Resistenza, i ragazzi sembravano del tutto indifferenti, salvo poi manifestare viva curiosità quando si era soffermato sulla cattura ed esecuzione di Benito Mussolini. Aggiunse che solo allora li aveva visti scuotersi con domande polemiche su piazzale Loreto, che i più definivano un atto di barbarie. “Stiamo crescendo una generazione di fascisti”, concluse amareggiato. No, pensai, stiamo annoiando una generazione con la retorica dell’antifascismo. Poiché, soprattutto se hai 16 anni, la storia raccontata dai vincitori suscita un istintivo sospetto se non si ha la capacità di raccontare contestualmente la storia dalla parte dei vinti. Poi, certo, c’è anche la narrazione opposta, quella inquinata dal fascismo eterno (per dirla con Umberto Eco) che rappresenta la Liberazione come una festa di parte, della sinistra contro la destra. “Noi partigiani”, il “Memoriale della Resistenza Italiana” finalmente in Rete che dobbiamo all’opera paziente, competente e appassionata di Gad Lerner e Laura Gnocchi, rappresenta la soluzione del problema. Per almeno due motivi: 1) La conservazione della memoria di un evento di valore fondativo per la nostra storia. Si dice che quando muore un vecchio è come se una biblioteca bruciasse insieme a lui. Grazie a Gad e a Laura quei volti antichi e gloriosi che vediamo scorrere sul portale sono “la Biblioteca” della Repubblica e della democrazia italiana che nessuno potrà distruggere. 2) L’enorme valore pedagogico contenuto nel Memoriale. Portiamo “Noi partigiani” nelle scuole italiane, facciamolo con impegno e convinzione cosicché le generazioni che si susseguono sappiano che quella è la storia dei vincitori, e dunque dei vinti, così come l’hanno vissuta i protagonisti. Senza manipolazioni. Senza versioni di comodo. Perciò, pur con il dovuto rispetto per il prestigio e l’integrità del professor Giuseppe De Rita, temiamo che abbia detto una cosa sbagliata. Il 25 Aprile non è affatto superato. Bisogna saperlo raccontare.

Antonio Padellaro

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