Mattarella: “Non serve attualizzare Dante, il suo lascito morale è eterno”

editorialista

Marzio Breda

(…) Signor Presidente, un anno fa lei disse che “figure come quella di Dante vanno esaminate sotto la luce dell’universalità più che dell’attualità”. Ma anche oggi parrebbe inevitabile citare l’invettiva che scaturisce dopo l’incontro con Sordello: “Ahi serva Italia, di dolore ostello…”. È l’apice delle descrizioni che il poeta fa di un Paese scosso da lotte intestine e particolarismi, schiacciato da intermittenti decadenze. Guardando al presente, alla nostra cronica carenza di autostima e alla retorica del declino che ci ossessiona, poco sembra cambiato rispetto al 1300.

«Devo dirle che non mi ha mai convinto il tentativo di attualizzare personaggi ed epoche storiche diverse. Eviterei, quindi, analogie tra l’Italia di Dante, uomo del Medioevo, e l’Italia di oggi. Ci separano settecento anni, un tempo incommensurabile. Peraltro, alcune delle difficoltà e dei punti critici, che lei individua nel nostro carattere di italiani, affondano le radici in tempi a noi molto più vicini: in un’Unità nazionale che si è formata in ritardo rispetto ad altri Stati europei e che ha proceduto – inevitabilmente – per strappi e accelerazioni progressive e che ha visto la coscienza popolare assimilare l’esperienza unitaria con più lentezza e fatica rispetto al progetto che animava i protagonisti del movimento unitario».

Dobbiamo insomma ricordare che, al di là delle suggestioni e degli infiniti livelli di lettura, l’autore della “Commedia” parla a ogni epoca e chiunque può trovare chiavi per rispecchiarsi nel suo poema.

«È così. Anche per questo motivo, nel discorso dello scorso ottobre, ho parlato dell’universalità di Dante. Cioè della sua capacità di trascendere il suo tempo e di fornire indicazioni, messaggi e insegnamenti validi per sempre. Dante è stato punto di riferimento e di ispirazione per generazioni di italiani a prescindere dalle specifiche situazioni di secoli ed epoche differenti. Pensiamo, per esempio, alla riscoperta da parte dei romantici, al vero e proprio “culto” civile di cui fu oggetto durante Risorgimento o all’esaltazione retorica che ne fece il fascismo. Proprio la sua fortuna lungo l’arco del tempo dovrebbe indurci a riflettere di più sul lascito – artistico, culturale, morale, quindi unificante – del sommo poeta».

E qual è il cuore di questo lascito, secondo lei?

«Io credo che l’universalità e, insieme, la bellezza di Dante vadano ricercate proprio nella particolare attitudine di penetrare nel profondo nell’animo umano, descrivendone in modo coinvolgente moti, sentimenti, emozioni. I vizi che Dante descrive – la tendenza al peccato, secondo la sua concezione filosofica e religiosa – sono gli stessi dall’inizio della storia dell’uomo: avidità, smania di potere, violenza, cupidigia… La Commedia ci attrae, ci affascina, ci interroga ancora oggi perché ci parla di noi. Dell’essenza più profonda dell’uomo, fatta di debolezze, cadute, nobiltà e generosità. Basta pensare ai tanti passi della Divina Commedia entrati nel lessico quotidiano e che utilizziamo senza sapere, sovente, che provengono dai suoi versi… Dante ha fermissimi convincimenti religiosi che lo obbligano a conformarsi completamente al disegno e alla giustizia di Dio. Nondimeno, durante quello straordinario viaggio che è la Divina Commedia, di fronte alle anime di dannati o di beati, l’autore non si spoglia mai del sentimento – umanissimo – della compassione. Credo che in questo dilemma, straordinariamente impegnativo, tra giustizia e compassione, vada forse oggi ricercato uno dei lasciti più importanti della lezione dantesca». (L’intervista completa sul sito)

Sogni

Il famoso incontro tra Dante e Beatrice a Firenze nel 1283. Lui ha 18 anni, è un adolescente pieno di desideri insoddisfatti, lei 17 ed è sposata al cavaliere Simone de’ Bardi, gira per strada in compagnia di gentildonne più anziane. Lui cerca di non farsi vedere, ma lei incrocia il suo sguardo e lo saluta, mandandolo al settimo cielo («tanto che mi parve allora vedere tutti li termini delle beatitudini»). È la prima volta che sente la sua voce. A questo punto, Dante torna a casa e si chiude in camera sua. La notte la sogna nuda [Barbero, Dante, Laterza, 2020].

Dante scrive tutto in un sonetto, A ciascun’alma presa, e lo manda, anonimo, ai suoi amici. È un gioco di cui tutti conoscono le regole: ricevere un sonetto è una sfida, e bisogna rispondere. Un altro Dante, Dante da Maiano, gli consiglia di sciacquarsi i testicoli in acqua fredda («che lavi la tua coglia largamente, / a ciò che stinga e passi lo vapore»).

Crimini

Accuse rivolte a Dante nel processo contro di lui istruito, in puro spirito accademico, nel 1966 ad Arezzo: corruzione, speculazione edilizia, trame con la massoneria, compravendita di magistrati, di avversari politici, abuso d’ufficio, distrazione di denaro pubblico, estorsione, pedofilia. Il giudice era Giovanni Leone, futuro presidente della Repubblica. Sentenza: assolto, un po’ per mancanza di prove, un po’ perché, essendosi l’imputato buttato in politica, c’era il sospetto di accanimento giudiziario [Feltri, Sta].

Diavoli

«Malacoda, Scarmiglione, Alichino, Calcabrina, Cagnazzo, Libicocco, Draghignazzo, Ciriatto sannuto, Graffiacane, Farfarello, Rubicante pazzo… Sono nomi da commedia dell’arte. Il diavolo può essere affascinante come Mefistofele, terrificante come quello dell’Esorcista, oppure buffo. I diavoli di Dante sono così: grotteschi. Il male autentico è nell’uomo. E l’Inferno può essere dentro di noi» [Cazzullo, 7]

Gemma

Alla moglie, Dante non dedicò mai nemmeno un verso [Infante, Focus].

Altre cose

Abbiamo anche appreso: che i discendenti di Dante vivono nel Veronese e producono Valpolicella; che ai tempi di Dante ricorrere alle armi, aggredire, ferire e anche ammazzare la gente per la strada poteva accadere anche ai cittadini più autorevoli; che Dante nel De vulgari eloquentia definisce il romanesco tristiloquium, lingua squallida; che le parolacce scritte nella Divina Commedia sono sterco, merda, merdose, puttana, cul, fiche, vacca e vagina; che oggi papa Francesco pubblicherà una lettera apostolica intitolata Candor Lucis aeternae, dedicata a Dante; che sia De Gasperi sia Togliatti adoravano Dante; che Dante a scuola si annoiava e concluse che il modo migliore per imparare le cose è leggere libri per conto proprio.