Coronavirus, nella mappa europea del contagio sei regioni italiane passano zona rosso scuro (compreso il Piemonte)Nell’ultimo aggiornamento della sua mappa epidemiologica il Centro Europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie ha inserito anche il Piemonte in zona rosso scuro. Nella regione quasi 37000 casi negli ultimi giorni.Anche il Piemonte. L’Ecdc, Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, ha inserito sei regioni e una provincia autonoma nella fascia di rischio rosso scuro nell’ultimo aggiornamento della mappa epidemiologica. L’aggiornamento ha portato il Piemonte in zona rosso scuro, unendosi alla Provincia autonoma di Trento, Lombardia, Emilia Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Marche e Campania. L’Ecdc attribuisce questo colore a tutte quelle zone che varcano la soglia dei 500 casi cumulativi di coronavirus ogni 100000 abitanti negli ultimi quattordici giorni.Il dato europeo è basato su dati inerenti alla prima metà di marzo, fino al 14. In Piemonte infatti nelle ultime due settimane c’è stato un aumento di quasi 37000 casi. Le terapie intensive sono occupate al 48 %, secondo l’ultimo aggiornamento dei dati dell’Agenas del 16 marzo. Ciò nonostante rispetto alla prima settimana di marzo, nel periodo dall’8 al 14 l’indice Rt piemontese è sceso da 1,4 a 1,33, tanto che il Governatore Cirio aveva parlato nella giornata di ieri di un rallentamento dell’epidemia. Anche il virologo Di Perri aveva detto che la diminuzione dell’Rt in Piemonte era un dato positivo. Giuseppe Costa, invece, consulente della regione Piemonte, nonché epidemiologo dell’Università di Torino ha espresso il suo stupore per il dato europeo. L’incidenza dei casi, dice Costa, «due settimane fa, in Piemonte era di 279,94 casi per centomila abitanti, e la scorsa settimana eravamo attorno a 300».Ci sono anche altri cambiamenti. La provincia di Bolzano ha cessato di essere zona rosso scuro ed è passata in zona rossa, la Sardegna è rimasta arancione e la Valle d’Aosta è passata da zona arancione a zona rossa, unendosi al resto del paese che è tutto in zona rossa. Situazione simile nel resto dell’Unione Europea. Quasi tutti gli Stati membri sono in zona rossa. L’Ungheria, la Repubblica Ceca, la Slovacchia, Cipro e buona parte della Polonia sono invece in zona rosso scuro. Solo il Portogallo, alcune parti della Spagna e buona parte di Irlanda, Finlandia, Danimarca e Norvegia sono in zona arancione. Le due uniche zone verdi, quelle cioè in cui i contagi negli ultimi quattordici giorni sono stati inferiori a 25 casi ogni 100000 abitanti, sono l’Islanda e le due contee norvegesi del Trøndelag e del Møre og Romsdal.L’ossimoro e le éliteVi eravate scordati di Antonio Di Pietro, vero? Bè, ogni tanto rispunta, e per me è sempre festa. Sono un vecchio cronista di Mani pulite, prima giovane entusiasta, poi meno giovane critico, infine ex giovane persuaso che la rivoluzione giudiziaria fu una mezza truffa e produsse pochi benefici e danni incalcolabili.Pierluigi Bersani, per esempio, ora parla di populismo delle élite a proposito degli avversari di Giuseppe Conte, contro il quale immagina un complotto tipo Carboneria degli Illuminati, quando a me parve populismo delle élite aggrapparsi alle inchieste per atteggiarsi a onesti contro i disonesti come unico programma di governo. E infatti, di onesto in onesto, si è arrivati a Conte. Tutto si tiene. E insomma, Di Pietro dice la sua sull’assoluzione degli imputati per corruzione internazionale contestata a Eni. È un’inchiesta che non mi ha mai convinto, spiega al Giornale, perché ci sono due modi di indagare: primo, scoperto un reato si cerca un colpevole; secondo, individuato il colpevole si cerca il reato.Il primo è corretto, il secondo mica tanto, ed è quello applicato a Eni. Però sono modi che vanno avanti da allora, dice Di Pietro, da quando lui era un pm milanese. Interessante, perché se è così – e qualcuno ne sarebbe stupito, altri meno – se davvero a Milano si individuava un colpevole per vedere, poi, quale reato contestargli, certe espressioni un po’ triviali – toghe rosse, procure politicizzate, giustizia a orologeria – assumerebbero un più preciso, aureo significato. Anche a chiarire meglio che il populismo delle élite non è un ossimoro di oggi, è la nostra storia.Un po’ più felici, nonostante tutto: nell’anno del Covid un inatteso passo avantiNella classifica del World happiness report dei Paesi dove si vive meglio, l’Italia è passata dal 28° al 25° posto PUBBLICATO IL19 Marzo 2021
Nonostante tutto, siamo più felici. O, per lo meno, da qualche parte abbiamo trovato la forza di reagire ai 103 mila morti, alla minaccia delle varianti, a quegli allarmi che non smettono di inseguirci da dodici lunghi mesi. Nell’anno della quotidianità bombardata, il verdetto del World Happiness Report è spiazzante: l’Italia fa un passo avanti nella classifica delle nazioni mondiali in cui si vive meglio. In verità è uno scostamento minimo, si passa dal ventottesimo posto – la media delle ultime tre edizioni – al venticinquesimo, ma è pur sempre un segnale: c’è spazio per reagire, insomma, per reinventarsi.Misurare il tasso di felicità è una sfida ai limiti dell’inverosimile, e gli autori della pubblicazione dell’Onu sono partiti da un presupposto: il 2020 è stato terribile praticamente per chiunque. Però, dice l’economista canadese John Helliwell, che ha curato lo studio, «una minaccia comune come il Covid, capace di colpire tutti, ha generato un maggior senso di solidarietà». E se gli indicatori economici non nascondono il tracollo, quando i singoli cittadini guardano e valutano la propria vita riescono a trovare spazio per l’ottimismo.La classifica, almeno ai vertici, rispecchia la situazione degli ultimi anni. La fotografia del Gallup World Poll mostra la Finlandia ben salda al primo posto: «la fiducia reciproca ha contribuito a proteggere vite e a garantire mezzi di sussistenza durante la pandemia», dice il report. Dietro ci sono l’Islanda, la Danimarca, la Svizzera e l’Olanda. Poi la Svezia, la Germania che guadagna otto posizioni, e la Norvegia. Molto Nord, e non sorprende visto che uno degli indicatori chiave è «la fiducia delle persone. In loro stesse e nei governi». I «dati mostrano anche segni notevoli di resilienza» dice la sociologa Lara Aknin, in particolare per quanto riguarda i «legami sociali e la valutazione della propria vita».Per determinare il grado di benessere i ricercatori hanno mescolato una serie di indicatori che vanno dall’età della popolazione alla posizione geografica, passando per la vicinanza a Paesi con alti tassi di contagio, la conoscenza delle epidemie. Ma sulla felicità di una nazione influiscono anche altri indicatori: uno per tutti, la possibilità di ritrovare un portafoglio smarrito. Un intero capitolo è dedicato all’Asia, e alla sua gestione del Coronavirus. «Le politiche rigorose», dice la professoressa Shun Wang, «non solo hanno permesso di controllare efficacemente il Covid-19, ma hanno attenuato anche l’impatto negativo delle infezioni quotidiane sulla felicità delle persone».L’Italia è un caso. Perché, nonostante le ondate, ha retto, rosicchiando margini. «Il trend positivo continua ininterrotto: dal 2015 a oggi siamo saliti dalla 50ª posizione nel ranking dei Paesi più felici alla 25ª» dice Andrea Illy, presidente di Illycaffè, founder della Fondazione Ernesto Illy, e co-Presidente con Jeffrey Sachs della Regenerative Society Foundation. «La mia interpretazione è che il nostro orgoglio sia uno degli elementi determinanti, poiché ci avvicina e ci aiuta a sviluppare empatia soprattutto nei momenti più difficili», ragiona. «Credo che oggi più che mai l’Italia abbia le capacità di ripartire». E la spinta deve arrivare dal business. «Le aziende che creano valore per i propri stakeholder, in armonia ed equilibrio con il pianeta, sono sempre più numerose – spiega Davide Bollati, VicePresidente Regenerative Society Foundation presidente del Gruppo Davines che, dal 2020, è partner del World Happiness Report – e sono pronte a collaborare con istituzioni e settore pubblico per il benessere collettivo: un indicatore ben piú significativo del Pil».Arrivano i SostegniLa Lega blocca il decreto per ore. Draghi ammette: “Condono sì, ma piccolo”Debutto amaro. Il ritardo. Il premier costretto a chiudersi in una stanza coi salviniani per convincerli: alla fine ne esce un compromessodi Carlo Di Foggia |
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Il Santo Draghi e i suoi cantori, ed è subito satiradi Antonio Padellaro |
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9 settimane e mezzo
di Marco Travaglio | 20 MARZO 2021
No, dài, sarà uno scherzo, non può essere vero. La maggioranza di extralarge intese impiega due mesi a fotocopiare e ritoccare il dl Ristori scambiandolo per nuovo solo perché lo chiama Sostegni; e poi, proprio sul filo di lana, si blocca per altre 3 ore. Il Governo dei Migliori litiga su un condonetto come un qualsiasi governo dei peggiori. Il premier Migliore convoca la stampa per la prima volta in un mese alle 17.30 e poi si presenta alle 20 col favore delle tenebre e a favore di tg, come il Conte Casalino (avvertire Mieli). Intanto il suo staff s’arrampica sugli specchi delle nuove misure anti-Covid (al posto del decreto Draghi e del Dpcm Draghi in scadenza il 6 aprile) per trovare strumenti normativi diversi dal Dpcm: sennò poi dicono che è tutto come prima e Cassese s’incazza (e, tra i Cassesi che s’incazzano e i giornali che svolazzano, sono cassi). Così si pensa a un secondo decreto. Ma c’è un problema: essendo impossibile convertire in legge il primo dl Draghi entro il 6, farne un secondo che assorbe e supera il primo significa impedire al Parlamento di discutere il primo e passare al secondo, sempreché si faccia in tempo a discutere il secondo prima che sia sostituito dal terzo, ad libitum. Perciò il governo dei peggiori faceva un decreto e poi vari Dpcm attuativi, illustrandoli al Parlamento ogni 14 giorni. Cosa impossibile coi dl perché, prima che ne venga convertito uno in 60 giorni, ne arriva un altro al posto, e poi chi lo sente Cassese?Dunque i cervelloni di Palazzo Chigi pensano a un’ordinanza di Speranza, che però sarebbe molto meno democratica e garantista di un Dpcm: la farebbe solo il ministro della Salute, anche su materie sociali ed economiche che competono ad altri; invece il Dpcm lo firma il premier, ma “sentiti i ministri competenti e la Conferenza Stato-Regioni”, che invece sarebbero tagliati fuori da un’ordinanza Speranza. Voi direte: ma con 400 morti al giorno, boom di ricoveri e terza ondata ti scaldi tanto per così poco? Non è per me. È per le ministre italovive, anzi per l’unica superstite: Elena Bonetti. Nove settimane e mezzo fa lasciò il governo precedente con “Teresa” e “Ivan” perché “non vogliamo renderci complici di delegittimare (sic, nda) il metodo democratico”, del “mancato rispetto delle forme parlamentari”, delle “mancate convocazioni del pre-Consiglio” dei ministri, dell’“abitudine di governare con decreti” e dell’“utilizzo ridondante del Dpcm”, per non parlare della “scelta di non accedere al Mes”. Ora, siccome i decreti e i Dpcm continuano, il pre-Consiglio non c’è stato neppure ieri e il Mes è sparito dai radar, non vorremmo che la Bonetti ci lasciasse di nuovo. O che l’Innominabile la ritirasse. O, peggio, che tutto ciò fosse già accaduto e nessuno se ne fosse accorto.
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Intercettazioni, Costa tenta il blitz
Il deputato (Azione). “Col trojan perquisizione permanente”
di Giacomo Salvini | 20 MARZO 2021
La data è stata già cerchiata in rosso: martedì prossimo quando in aula alla Camera arriverà la “legge di delegazione europea 2019-2020”. Un disegno di legge che deve recepire le direttive dell’Ue e che, per questo, solitamente non crea intoppi parlamentari. Ma non stavolta perché, con le larghe intese, il rischio è sempre dietro l’angolo. Almeno su un tema divisivo come la Giustizia. E allora Enrico Costa, avvocato eletto con Forza Italia e poi passato in Azione, è pronto a tendere un’imboscata sul tema delle intercettazioni. Costa, sulla base di una sentenza della Corte di Giustizia Ue su un caso estone che ha chiesto di disciplinare l’uso dei tabulati, presenterà un emendamento di una sola riga: “I tabulati telefonici sono equiparati alle intercettazioni”. Ergo: possono essere acquisiti solo specificando i reati e non basterà più la richiesta dei pm, ma servirà il vaglio del giudice per le indagini preliminari. Per capire di cosa stiamo parlando, i tabulati telefonici sono dei dati statici che riportano i dati delle conversazioni di un soggetto, mentre le intercettazioni servono per captare le conversazioni. I primi, durante le indagini, spesso permettono di ricostruire i fatti e i legami tra le persone coinvolte in maniera velocissima (individuando anche spazio e tempo). E se passasse l’emendamento di Costa le indagini avrebbero un rallentamento evidente.
Ma il deputato di “Azione” va avanti spiegando che “i tabulati spesso sono più invasivi delle intercettazioni” e quindi il vaglio deve passare da un giudice o addirittura da un’autorità indipendente. Sulla proposta sono d’accordo Lega e FI, il M5S fa muro e il Pd non si è ancora espresso: la maggioranza rischia seriamente di spaccarsi. Ma il blitz di Costa continuerà anche mercoledì, quando la commissione Giustizia della Camera dovrà dare il parere allo schema di decreto del piano sulle intercettazioni lasciato dall’ex ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, che prevede un risparmio di circa 10 milioni l’anno sui prossimi ascolti. L’ex forzista darà battaglia sull’utilizzo del Trojan, la microspia che si inocula nei cellulari per intercettare messaggi, chat, conversazioni, il cui utilizzo è stato esteso con la legge “Spazzacorrotti”.
Costa sta provando a convincere i colleghi della maggioranza a dare parere negativo perché a suo avviso il Trojan contiene un eccesso: oltre alle conversazioni si può entrare in possesso anche di rubrica, foto e video della persona intercettata e a suo avviso si tratta di “una perquisizione permanente”.
Sono sadici i francesi. Acquisita l’opera del Marchese
La Biblioteca nazionale si riprende i “suoi” autori. Grazie ai mecenati
di Riccardo Antoniucci e Luana De Micco | 20 MARZO 2021