giovedì, 25 Aprile 2024
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“CHIARO & SCURO” a cura di Ferdinando Terlizzi

IL PUNTO SULLE CONSULTAZIONI IN CORSO

È vero che oggi saranno decisivi gli incontri con M5S e Lega e che l’imprevisto è sempre dietro l’angolo. Ma, con il passare delle ore, l’incertezza sembra spostarsi non più tanto sul “se”, ma sul “come” nascerà il governo Draghi. Sarà, cioè, un governo più tecnico o più politico? Matteo Salvini, che assicura di andare all’incontro con Draghi “senza veti, né pregiudizi” ha specificato che, se alla fine la Lega dirà sì, vorrà «metterci la faccia». Ossia le facce di propri ministri. Cosa che metterebbe a disagio il Pd (per non parlare di Leu, che ha già detto no a un governo assieme ai leghisti). Mentre, di contro, i grillini — sì, sarà Beppe Grillo a guidare oggi la delegazione all’incontro con il presidente incaricato e Marco Imarisio spiega perché sia una sorta di contrappasso — hanno una storia consolidata di avversione ai governi tecnici (come non smette di ricordare l’ala anti-Draghi guidata da Alessandro Di Battista).

Visti i diffusi “tormenti e riserve mentali”, per dirla con Massimo Franco, al momento, Mario Draghi non si sbilancia: “Ogni qualvolta gli chiedono se i suoi ministri saranno tecnici o politici — scrive Francesco Verderami — risponde che il tratto decisivo per lui è la loro competenza”. La cosa più probabile è che, alla fine, ne uscirà un esecutivo con ministri sia tecnici che politici. E il totonomi già impazza: la costituzionalista Marta Cartabia, l’economista Lucrezia Reichlin e la rettrice della Sapienza Antonella Polimeni, ma anche Luigi Di Maio, Dario Franceschini e Teresa Bellanova, più magari Giancarlo Giorgetti e Antonio Tajani.

Di sicuro, non ci saranno ministri di Fratelli d’Italia. Giorgia Meloni, in un’intervista a Paola Di Caro, ribadisce di non condividere le “aperture” di Lega e Forza Italia e di essere allergica a governare con Pd e M5S. Il ruolo di FdI è all’opposizione: “È bene avere una sentinella, una voce libera. A Draghi ho assicurato che se un provvedimento ci convince ci saremo, anche se si tratterà di votare in passaggi difficili per altri”.

In questo quadro, sono interessanti alcuni dati che emergono dal sondaggio di Nando Pagnoncelli. Primo: la scelta del presidente Sergio Mattarella sembra aver convinto gli italiani. Il 60% degli interpellati è favorevole all’incarico a Draghi contro il 28% di contrari (e il 12% di indecisi). Un giudizio positivo che diventa quasi plebiscitario fra gli elettori del Pd (80%) e Forza Italia (78%), ed è più forte tra gli elettori di FdI (60%) che fra quelli di M5S (55%) e Lega (51%). Secondo: la formula preferita è quella di un governo di unità nazionale, appoggiato da tutte le forze politiche. Terzo: quanto ai leader politici, chi a giudizio degli intervistati esce peggio dalla crisi è Matteo Renzi (48%), mentre Giuseppe Conte guida la classifica di chi ne esce meglio (28%), ma è anche secondo in quella su chi ne esca peggio (12%).

Quanto alla Borsa, il suo gradimento a Draghi continua ad esprimerlo con il rialzo degli indici e, soprattutto, con il ribasso dello spread rispetto ai bund tedeschi, sceso a 93.

Prezzi di saldo

Prezzi di saldo

Perdonate la nota personale, ma sono afflitto, costernato e ho il dovere di ristabilire la mia reputazione. Ieri è successo che, in una popolare rubrica, un giornale intelligente e serio come Italia Oggi mi abbia attribuito la seguente frase: «La prosa dei Dpcm è più oscena di una casa di tolleranza».

Una frase gravissima che non ho mai scritto, mai pronunciato e nemmeno mai pensato. Mai nella vita mi sarei azzardato a proporre un parallelo sconsiderato e volgare come quello fra la presidenza del Consiglio e la sede dell’amore mercenario. Sarebbe stato infondato e di un pessimo gusto che, mi auguro, non mi appartiene.

Vorrei anzitutto premettere che le donne costrette con la violenza a vendere sé sono vittime purtroppo indifese, e le donne che vendono sé in libero arbitrio sono meritevoli del massimo rispetto. Mai dunque spenderei l’aggettivo «osceno» per qualificarle ma neppure per associarle al capo del governo. E se anche la quotidiana attività dell’uscente esecutivo, in momenti di spinta licenziosità, potesse essere accostata al meretricio, io me ne dissocerei col più vibrante sdegno.

Lo sottolineo perché inorridisco all’eventualità di trasferire ai posteri l’idea di essere stato insipiente e irrispettoso al punto da mettere sullo stesso piano avventure seminotturne a prezzi di saldo, minime e scialbe, di plateale offerta di sé e di sterile passione egolatrica, e la plurimillenaria, tragica, struggente epopea, nel bene e nel male, cioè nella più sublime grandezza, di persone che hanno fatto la storia sociale e culturale dell’umanità: da Maria Maddalena a Pilar Ternera, le prostitute.

FONTE:

 

 

Salvini ha fame di poltrone e dice sì all’ammucchiata

Salvini ha fame di poltrone e dice sì all’ammucchiata

Leghisti – Oggi l’incontro con Draghi: “Nessuno potrà impedire il nostro ingresso”. Le richieste: tasse, frontiere e giustizia

di  | 6 FEBBRAIO 2021

Matteo Salvini si è convinto: la Lega deve entrare nel governo Draghi. Il sostegno all’ex presidente della Bce potrebbe arrivare già stamani dopo le consultazioni con il presidente incaricato o dopo un ulteriore passaggio con la segreteria politica formata da capigruppo, amministratori locali e governatori che in queste ore lo stanno pressando per dire “sì” al banchiere. L’ingresso in maggioranza, mette le mani avanti chi ha parlato con il segretario, non è ancora ufficiale perché “prima dobbiamo andare ad ascoltare Draghi”, ma ieri è stato lo stesso Salvini a far capire che la decisione è presa: “Mattarella ha fatto un appello e noi ci siamo – ha spiegato a Sky Tg24– mi piacerebbe che in questo governo ci fossero tutti”. Sicuramente non c’è la possibilità che la Lega si astenga, ma come condizione per entrare in maggioranza Salvini chiede ministri propri o di area leghista: “Non facciamo le cose a metà – ha continuato il segretario del Carroccio – se sei dentro, dai una mano e ti prendi onori e oneri”.

Ma che la volontà della Lega sia quella di entrare si capisce quando nel pomeriggio, mentre Giorgia Meloni conferma il suo “no”, Salvini cita Papa Francesco per eliminare quel veto posto giovedì dopo la segreteria (“Draghi scelga tra noi e Grillo”): “Chi sono io per dire tu no? – ha concluso il segretario – Noi a Draghi non diremo che non vogliamo tizio. Se poi il M5S dice che vuole la patrimoniale, noi diremo che vogliamo meno tasse”.

Quindi il tema non è più il se, ma il come. Perché il leader del Carroccio vuole anche capire cosa succede nel campo avverso – quello dei giallorosa – dove ieri è stato il giorno delle condizioni poste da LeU e Pd. Il segretario dem Nicola Zingaretti ha chiesto una riforma fiscale “progressiva” (inconciliabile con la flat tax) e LeU ha dichiarato la propria “incompatibilità” con la Lega. “Ma nessuno potrà impedirci di entrare, dopo l’appello di Mattarella” sostiene l’ex ministro dell’Interno.

E se la delegazione del Carroccio composta da Salvini e i capigruppo Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo (non Giancarlo Giorgetti) questa mattina andrà ad “ascoltare” Draghi, porterà anche i propri paletti: taglio delle tasse, una riforma della giustizia garantista e il controllo delle frontiere. Che, anche se non saranno veti espliciti, vuol dire discontinuità rispetto al Conte bis. Quindi niente Bonafede, Azzolina e tantomeno Lamorgese. E magari, sostiene Giorgetti, incassare la disponibilità ad andare a votare nella primavera del 2022, dopo che la prossima maggioranza avrà issato Draghi al Quirinale.

Per questo l’obiettivo del leghista è quello di spoliticizzare il governo che nascerà per renderlo un “esecutivo di salvezza nazionale” e non lasciare l’autostrada dell’opposizione a Meloni che ieri, dopo aver incontrato Draghi, ha lanciato diverse frecciate al leghista: “Io non vorrei un governo con tutti e non ho chiesto ministri a Draghi, a differenza di altri”.

A spingere Salvini verso il “sì” ci sono i governatori – da Zaia a Fedriga – ma anche i tanti imprenditori del nord che in queste ore lo stanno chiamando invitandolo a “non tirarsi indietro”. Quel ceto produttivo che un no a Draghi proprio non lo capirebbe. E poi c’è Giorgetti che gli fa da guida per entrare al governo (potrebbe diventare ministro dei Rapporti col Parlamento) e così facendo accreditarsi nelle cancellerie internazionali per poi arrivare a Palazzo Chigi con Draghi al Colle. Ma i segnali della conversione arrivano anche dall’ala euroscettica del Carroccio, da Alberto Bagnai (“Draghi è un pragmatico”) a Claudio Borghi (“È un fuoriclasse ma deve giocare con noi”). Tutti segnali per una strada che sembra ormai segnata.

FONTE: IL FATTO QUOIDIANO

Vengo anch’io, non tu no.

Certo, più gente entra, più bestie si vedono, più il governo s’indebolisce.

di  | 6 FEBBRAIO 2021

E’ una fortuna che in Italia esista la libertà di stampa, altrimenti non sapremmo che Draghi a scuola “andava bene in matematica” e “non faceva la spia”, gioca a calcio “alla Di Bartolomei” ma va meglio col basket, “acquista i croccantini per il cane al supermercato”, “fulmina” la moglie che parla di politica, si presenta al Colle (ma anche altrove) con “look istituzionale” (mica a torso nudo, pinocchietto e infradito come i predecessori), “si mette in fila quando va a fare la spesa” (anziché abbattere gli altri avventori col bazooka), “apprezza i piatti della comune tradizione” perché è “normale” (sennò li sputerebbe), “fa la carità, ma di nascosto” e c’è già il primo miracolo: l’abbattimento dello spread con la sola forza del pensiero (peraltro di appena 7 punti, mentre i puzzoni di prima l’avevano portato nell’ultimo anno da 300 a 100, prima che il Rignanese lo rifacesse schizzare all’insù). Altro di lui non si sa, almeno come premier: cosa vuol fare, come e con chi, ma queste sono quisquilie. Infatti tutti rispondono per lui e danno per fatto un governo di natura, maggioranza, programma e durata ignoti (anche a Draghi, che però è una persona seria e infatti consulta e tace).

Nell’attesa, siamo andati a rileggerci l’ultimo discorso di Mattarella: “Mi appello a tutte le forze politiche presenti in Parlamento perché conferiscano la fiducia a un governo di alto profilo che non debba identificarsi con alcuna formula politica”. Ha detto proprio così: “tutte le forze politiche presenti in Parlamento”. Non maggioranza Ursula, Barbara, Maria Elena: nel governo entrano tutti quelli che vogliono. E ci mancherebbe che non fosse così: nelle consultazioni il nome di Draghi non l’aveva fatto nessun partito. Ora tutti s’affannano a dire sì o no a un governo del tutto sconosciuto, al buio. E a decidere chi entra e chi no. FdI no. FI sì. Pd e LeU entrano, ma non vogliono la Lega, mentre FI gli va benissimo. Salvini non vuole i 5Stelle, ma forse entra lo stesso “se c’è posto per noi”. I 5Stelle non s’è ben capito (e forse, prima di frantumarsi e suicidarsi a tavola con B. e i due Matteo, potrebbero astenersi o al massimo dare un appoggio esterno condizionato alle elezioni fra sei mesi o un anno e al mantenimento e alla realizzazione delle loro riforme, senza ministri propri, ma con garanti esterni tipo De Masi al Lavoro e Davigo alla Giustizia). Certo, più gente entra, più bestie si vedono, più il governo s’indebolisce: litigavano già i giallorosa, figurarsi con FI e magari la Lega. Ma la maggioranza non la decidono né Zinga, né Grillo, né B., né Salvini. Chi ciancia di “maggioranza Ursula” o “dei migliori” e gioca al “vengo anch’io, no tu no” tradisce le parole di Mattarella. Sempreché abbiano ancora un senso.

Fonte: Il Fatto Quotidiano

L’email – Manzoni, contabile del Carroccio, scrive a Ghilardi, n.1 della filiale Ubi di Seriate, snodo di flussi sotto indagine. In un file la spartizione dei soldi di Lfc

Roberto Calderoli riferisce alla stampa i dati sulle affluenze e sulle proiezioni delle elezioni per il segretario della Lega Nord, all’interno della sede di via Bellerio, Milano, sabato 7 dicembre 2013. ANSA/STEFANO PORTA

di  | 6 FEBBRAIO 2021

L’inchiesta sulla fondazione regionale Lombardia Film Commission (Lfc) e sui presunti “fondi neri” della nuova Lega di Matteo Salvini, dopo gli interrogatori, dopo le poche parole dette ai magistrati da Andrea Manzoni e Alberto Di Rubba, ex contabili del Carroccio, e in attesa della richiesta di giudizio immediato, ora si arricchisce di elementi inediti che promettono di scardinare il muro di gomma messo a verbale dai professionisti vicini a Salvini e al tesoriere del partito Giulio Centemero. Si tratta di un carteggio di email emerso in buona parte dagli atti trasmessi a Milano dalla Procura di Genova che dal 2018 indaga sul presunto riciclaggio di 49 milioni di contribuiti pubblici spariti sotto la gestione della vecchia Lega. La prima email è quella che Manzoni invia a Marco Ghilardi, ex direttore di banca della filiale Ubi a Seriate. Ghilardi, a partire dal 2015, ha gestito conti di società riconducibili sia ai due commercialisti sia al partito. Per la sua gestione, ritenuta non corretta dalla banca, sarà spostato in altra sede. Non indagato a Milano, ma interrogato dai pm spiegherà in modo accurato diversi flussi di denaro riferibili ai contabili. Il 18 gennaio 2018 Manzoni invia a Ghilardi una email con in copia Di Rubba. Entrambi, assieme al commercialista Michele Scillieri, sono indagati per evasione e peculato in relazione alla vicenda dell’acquisto di un capannone da parte di Lfc di cui Di Rubba è stato presidente. Anche sull’affare Lfc oggi la Procura ha in mano una email ritenuta di interesse.

Il 18 gennaio Manzoni si mette alla tastiera. Oggetto: “Richiesta mutuo”. “Ciao Marco – si legge – per quanto riguarda la qualità del servizio offerto non ho da lamentarmi come viene confermato dal fatto che qualche milioncino (esempio: fondazione, editoriale Nord, fallimenti) l’abbiamo nel tempo parcheggiato da te, oltre alle numerose attività imprenditoriali (collegate o meno a me e ad Alberto) i cui conti sono stati aperti presso la tua filiale”. Il messaggio già fino a questo punto svela il flusso di denaro collegato alla Lega sul quale continuano gli accertamenti della Guardia di finanza per capire da dove siano arrivati quei milioni. Presso la filiale di Seriate aveva il conto l’associazione “Più voci” riferibile anche a Centemero e finita nel mirino sia della procura di Roma che di Milano. Motivo: bonifici, tra il 2015 e il 2016, con causale “erogazione liberale” o “contributo volontario” da parte dell’imprenditore Luca Parnasi (250mila euro) e da Esselunga (40mila euro). Circa 300mila euro che arrivati sul conto ripartono per andare in parte a ristorare le casse di Radio Padania. Tanto che l’audit interno di Ubi scrive: “Il denaro percepito a titolo di liberalità non è stato utilizzato per la finalità dell’associazione ma è stato sistematicamente trasferito a Radio Padania con causale: contributo”. Rispetto a “Più Voci” Centemero è oggi imputato a Milano con l’accusa di finanziamento illecito legata ai 40mila euro di Esselunga. A oggi non tutti i “milioncini” di cui parla Manzoni sono stati tracciati dagli investigatori.

L’incipit della email precede poi una richiesta personale di Manzoni sul tasso d’interesse del suo mutuo. Manzoni chiede di abbassarlo. Può chiederlo, è il ragionamento che si fa in Procura, proprio in virtù di quei “milioncini” riconducibili al mondo leghista e “parcheggiati” sui conti di Ubi. Scrive Manzoni: “Per quanto riguarda il mutuo sono peggio di un pensionato (i 50k investiti nelle vostre obbligazioni sociali evidenziano la mia pressoché nulla propensione al rischio) e preferisco il tasso fisso. Riesci a scendere sotto 1,60?”.

Un’altra email, secondo gli inquirenti, svela come il piano per “spartirsi” gli 800mila euro frutto dell’acquisto del capannone da parte di Lfc fosse stato ideato prima del preliminare di vendita del dicembre 2017. La email che Manzoni riceve da Michele Scillieri è infatti del 30 novembre. Oggetto: “Conteggi”. Il messaggio è stato trovato dalla Procura di Genova nei pc della società Dea, riconducibile a Manzoni e Di Rubba con sede a Bergamo in via May, indirizzo dove sono domiciliate quasi tutte le srl dei commercialisti della Lega. Allegato c’è un file Excel con la contabilità, ripartita tra costi di ristrutturazione, pagamenti a eredi, legali, notai, e tre consulenze da circa 88mila euro ciascuna. Nel messaggio Scillieri scrive: “Come concordato allego prospetto numerico”. Poi si rimette alle decisioni che, si comprende dal testo, dovranno arrivare non solo da Manzoni.

Fonte: Il Fatto Quotidiano

La Campania o la faccia

Ma De Luca, di che partito è? A quale titolo, e per conto di chi, sbeffeggia Conte in un siparietto su Facebook che ha tutti i crismi del discorso istituzionale, il tricolore, lo stemma della Campania, la sua scrivania di Presidente, mica il tinello di casa sua?

È stato informato che il suo partito ha appoggiato fino all’ultimo il governo Conte? Ha una percezione anche vaga del fatto che prendendo per i fondelli il governo Conte, inevitabilmente prende per i fondelli anche il Pd? Nel caso non lo sapesse, c’è qualcuno, nel Pd, che può provvedere a informarlo che, se non gli sta bene quello che fa il Pd, può tranquillamente farsi il suo partitello da cacicco locale, così poi si vede, solo soletto, da quale scrivania potrà dire le prossime spiritosaggini? (Qualcuno deve avergli detto che è spiritoso: quel qualcuno non gli vuole bene).

Va bene non rimpiangere la disciplina di partito, ma questo casino nel quale ognuno si sente il meglio fico del bigoncio, francamente è diventato uno spettacolo penoso. Se non altro per una questione di stile, non essendo concepibile che proprio nel momento della caduta di un premier, uno che almeno teoricamente fa parte della maggioranza che appoggia quel premier, gli sputa in testa. Per la stessa parte in commedia, Maramaldo passò alla storia.

Se ancora esistesse un minimo rispetto per la forma, dentro il Pd e dentro la sinistra, uno più grosso di De Luca (ce ne sono tanti) lo prenderebbe per le orecchie e gli direbbe: o la pianti di fare il fenomeno, o te ne vai ad aprire bottega da qualche altra parte. Perdiamo la Campania? E pazienza. In compenso ritroviamo la faccia.

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