Un veliero con le vele stracciate (di Stelio W. Venceslai)

Il veliero di Conte, nonostante la tempesta, ha superato lo scoglio. Male, ma l’ha superato.  Non naviga, però, in acque tranquille. I pirati che l’hanno aiutato pretendono il bonus (anche loro). Ma gli scogli sott’acqua sono numerosi e la navigazione è difficile. Inoltre, l’approdo è piuttosto fantomatico. Questa è la situazione.

            Abbiamo sentito di tutto in questi frangenti. È mancata solo l’invocazione alla Madonna. Nel mercato si sentono solo offerte, parolacce e bestemmie e il mercato è stato molto rumoroso. Fra transfughi, voltagabbana e soccorritori responsabili, la folla dei postulanti al governo è stata tanto vociante quanto mediocre.

            La situazione generale, però, è tragica. A furia di dire faremo, in un’orgia di chiacchiere, Conte continua a spendere soldi non suoi e a promettere risultati mirabolanti. Ma è nel vuoto, perché non ci sono né soldi né risultati.

            Il progetto per l’attivazione del Recovery Fund è ancora in alto mare. Il nostro programma italiano è decisamente scadente. Difettano alcuni aspetti fondamentali, quali il rifacimento della strada ionica, fra Reggio Calabria e Taranto, e l’assenza di qualunque idea sul nostro ruolo mercantile in mare, come la ristrutturazione dei porti, lo sviluppo operativo di quello di Gioia Tauro e, comunque, una decisa politica per il trasporto marittimo e le sue necessità logistiche. Nulla, poi, è ancora chiaro su come si pensa di attivare queste iniziative, con quali tempi, e chi dovrà gestire queste risorse.

            Uno studio recente di una società specializzata (la Sensoworks) dimostra che l’Italia, ad oggi, ha oltre 1.040 opere incompiute o bloccate, per vari motivi, per un valore complessivo di circa 27 miliardi di euro e che le Regioni meno virtuose, al solito, sono la Sicilia (162 opere ferme, il 23,3% del totale), seguita dalla Sardegna (13,4%), dalla Puglia (8,4%) e dal Lazio (7.0%). Anche la velocità di realizzazione è molto bassa, in media quattro anni e mezzo, con punte di 5 e 5.7 anni in alcune Regioni.

            Le vere riforme di cui abbisogna il Paese, in realtà, non sono tanto quelle relative allo sblocco delle grandi opere quanto nei confronti dell’attuale legislazione e della burocrazia che questa legislazione farraginosa deve applicare.

            Finché non si affronteranno questi problemi concreti, invece  di posti nel nuovo governo, le nostre prospettive sul Recovery Fund saranno molto nebbiose e più facile sarà all’opposizione gridare allo scandalo.

            In realtà, lo scandalo c’è già. L’Italia è il primo Paese beneficiario dell’intervento comunitario. Cinquant’anni d’inerzia e di rinvio colpevoli fanno di questo Paese un vecchio nobile pieno di debiti che vive in un castello in disfacimento. Che nessuno abbia l’intenzione reale di rimetterlo a posto è grave. Tutti si professano pieni di amor patrio e di suggestioni comunitarie. Addirittura si è tirato in ballo il sovranismo di qualche anno fa come di una colpa che ci avrebbe allontanato dall’Europa.

            Ma sono sciocchezze polemiche. La realtà è che nell’Unione europea questo è il Paese più ammalato di tutti. È un’esigenza dell’Unione intervenire per portare a salvamento il suo terzo partner più importante, indipendentemente dal governo che lo diriga. Dopo la perdita del Regno Unito, con la Brexit, il crollo dell’Italia sarebbe un colpo fatale per la comunità europea.

            Agli egoismi comunitari non ha corrisposto fino a ora un egoismo nazionale volto almeno a far bella figura per dimostrare che se si è uno dei Paesi più indebitati del mondo, almeno si è in grado di fare dei programmi decenti e dei progetti esecutivi credibili.         Purtroppo, non siamo a questo punto.

            Ha ragione Renzi quando lamenta la scarsa concretezza delle azioni governative. Dopo il risultato della fiducia stiracchiata al Senato la questione, se possibile, è peggiorata. Rattoppare la maggioranza governativa sarà il primo compito del Presidente Conte, ma non per questo diminuirà l’elevato tasso di rissosità della compagine governativa.

            Nel governo c’è un convitato di pietra, il Movimento 5Stelle, talmente in crisi d’identità da non essere capace di rilanci, puntando tutto sulla continuità di  Conte. Poi c’è un fu grande partito, il PD, che dovrebbe assumere un ruolo propulsore, che non fa nulla, impietrito dall’angoscia di non poter continuare questa esperienza governativa e timoroso dei possibili colpi di mano di Renzi.

            Nelle Commissioni parlamentari non c’è la maggioranza e tutte le questioni sono sotto ricatto. Non sarà il premiuccio del consenso a qualcuno che ha votato per Conte, uscendo da gruppo misto, ad assicurare quella stabilità di cui tutti parlano e che nella politica italiana è la Vispa Teresa o, per i più colti, l’Araba Fenice. I transfughi dovranno organizzarsi un gruppo parlamentare qualunque, altrimenti, come si fa a contentarli tutti?

            L’opposizione strilla, com’è suo dovere, ma tace, in realtà, ben contenta di non avere queste gatte da pelare. Sono animalisti, loro.

            In mezzo, ci siamo noi, perplessi, sfiduciati, senza soldi e senza prospettive. Isolarci in casa è stata una buona politica, altrimenti avremmo potuto parlare e assembrarci con altri, discutere e proporre, magari manifestare il nostro dissenso per questo strano Parlamento che ha votato pressoché unanime la sua dissoluzione, ma non ha alcuna intenzione di schiodare. Sempre per il bene del Paese.

            Nel frattempo, in tutt’altro pianeta, Biden giura e diventa il Presidente degli Stati Uniti. Tante bandiere, l’inno nazionale cantato a gola spiegata, tutti in piedi e convinti, con grandi parate storiche. Retorica, dicono i nostri cinici politicanti. Eppure, ce ne vorrebbe un po’ da noi, dopo tanto mercato del pesce!

Roma, 20/01/2021