L’anno che verrà (di Stelio W. Venceslai)

 L’anno che verrà non sarà facile. Nonostante gli auguri e le speranze, il 2020 si chiude con un silenzio nel quale annegano le illusioni.

            Veniamo da un periodo segnato da una mortalità enorme, insidiati da un nemico sconosciuto, mutante e invisibile, che ha travolto la nostra società civile. Non dimentichiamo che l’Italia, in questo frangente drammatico, ha il più alto numero di morti di tutta l’Europa.

            La speranza di un vaccino non deve trarre in inganno.  La situazione è molto grave sotto il profilo sanitario e, di conseguenza, economico. Sono saltati tutti i parametri cui eravamo abituati.

            Una vaccinazione di massa per milioni di persone sarà difficile, per la complessità delle procedure.  Anche se i media esaltano il fatto che stanno arrivando milioni di dosi, restano parecchi problemi insoluti tra i quali, preminente, quello della catena del freddo. Nessuno ne parla, ma esiste.

            Il vaccino dovrebbe essere decisivo, ma anche nel caso, ormai evidente di mutazioni del virus? Nessuno ne parla e si dà per scontato che dovrebbe funzionare lo stesso.

            In teoria sappiamo chi dovrebbe essere vaccinato in via prioritaria, ma quali sono gli elenchi? Chi chiamerà a vaccinare? Chi vaccinerà? Solo i medici oppure anche gli infermieri? Dove? Nelle ASL, negli studi medici, per strada? È vero che dopo l’iniezione occorre una mezzora di riposo per valutare gli effetti immediati del vaccino? Se così fosse, i tempi si allungherebbero a dismisura. Esiste o esisterà un certificato di vaccinazione?

            Il vaccino Pfizer richiede una catena del freddo, che non c’è, per gli altri parrebbe di no. Ci avviamo a una concorrenza tra vaccini?

            Una volta vaccinati, il problema continua, perché l’infezione sta dilagando. Distanziamento, mascherine, lavaggio delle mani: tutto come prima. Non sarà un anno facile.

            Sul fronte economico, con una montagna di debiti le cose non potrebbero andare peggio. Le aziende, ormai, sono dissestate. Il Recovery Fund sembra un miraggio.  Ci si preoccupa di chi e come gestire i finanziamenti europei, ma sul contenuto dei progetti si è in alto mare.

            Fare la sommatoria dei progetti che sono nei cassetti dei Ministeri, non significa fare un programma di rilancio per l’avvenire. Quale avvenire? Se si crede che tutto potrà tornare come prima si commette un errore fatale. Non si può prevedere il futuro, ma averne una qualche idea è possibile. Certamente sarà diverso come diversa sta diventando la società che lo esprime.

            La pandemia ha cambiato il mondo. Se si resta aggrappati alla restaurazione del passato, non si potrà che essere perdenti. Abbiamo una classe politica rissosa e inconcludente con un’amministrazione vecchia e disorientata da decisioni spesso contraddittorie. Ma la pandemia è anche una grande occasione per ripartire da zero. Non ricostruire, ma innovare, abbattendo tabù tradizionali e restaurando, questo sì, valori perduti.

            Le città sono morte, l’inquinamento non è mai stato così basso, i consumi irresponsabili sono stati frenati, l’economia langue e la disoccupazione avanza. Lo sport celebra i suoi riti davanti a stadi vuoti. La cultura agonizza e con essa, la creatività. Il conflitto sociale si fa sempre più evidente. Occorre una sterzata brusca per riportare il Paese sui binari della serietà e dell’impegno produttivo. Non chiacchiere o elargizioni per tenersi buono l’elettorato, conati di rimpasto o di crisi.

            Certo, non è facile. Le difficoltà sono comuni a tutti i Paesi dell’Occidente e nessuno poteva prevedere quello che sta accadendo. L’epidemia sta mettendo in gioco gli stessi equilibri mondiali. Il sorpasso della Cina sugli Stati Uniti ne è il primo e più evidente segno di cambiamento.

            Il 2021 sarà un anno di svolta, difficile e, per certi versi, decisivo per la sopravvivenza del sistema. Ciò che si profila, al di là del male e dell’economia, è l’annullamento del libero arbitrio, la fine della consapevolezza individuale, della libertà del buon senso.

            Non basta investire su progetti economici, occorre una rivoluzione etica, fondata su valori trasmissibili, non sul business e sul denaro, a solo vantaggio di pochi. Un’impresa difficile e ostacolata da chi intravede nella massificazione un risultato positivo.

            Per questo l’augurio di buon anno, oggi, è molto più significativo di quanto non lo sia stato in passato. Non è, banalmente, di speranza, ma d’invito al coraggio, all’impegno civile e morale per resistere alle immani difficoltà che ci attendono, per tenere alta la testa, nonostante tutto, e costruire un futuro migliore e più saggio.

Roma, 31/12/2020