“Manette d’oro”: da Giletti a Pedullà è corsa al podio

In pole position il direttore dalla “Notizia”: per difendere Bonafede dagli attacchi di “Non è l’Arena” ha sbandierato dati da cui risulterebbe che l’Italia ha scarcerato meno di tutti gli altri in Europa per il Covid.

Se non ci fosse l’epidemia da Covid-19, se il procuratore generale di Cassazione Giovanni Salvi non avesse messo in guardia, “arrestate di meno”, Giovanni Castellini e gli altri dirigenti dei vertici di Autostrade indagati dalla procura di Genova non sarebbero ai domiciliari ma in qualche prigione magari a trascorrere il Natale. Per fortuna che ci sono i magistrati, vien da dire, per una volta. I quali, a quanto pare, per lo meno la gip di Genova e il procuratore generale, paiono non partecipare al concorso “manette d’oro” che sta pervadendo il mondo mediatico.

Si gioca con i numeri, addirittura, facendo a gara a chi è in grado di dimostrare che in Italia si arresta di più rispetto agli altri Paesi, o al contrario che il ministero della giustizia è un colabrodo perché lascia scappare da tutte le parti delinquenti di ogni risma. In realtà, mettendo insieme i primi dati del Dap con gli ultimi resi noti dal garante delle carceri Mauro Palma, la situazione è molto chiara, e non incoraggiante per chi abbia a cuore la salute di tutti.

Se a fronte dei 61.230 detenuti del febbraio di quest’anno, in seguito al primo decreto Bonafede (e a un’oggettiva diminuzione dei reati durante il lockdown) a giugno erano scesi a 52.800, siamo poi risaliti a 54.800 alla fine dello scorso ottobre. Non è un andamento solo italiano.

Come dimostra uno studio dell’università di Losanna per il Consiglio d’Europa che ha rilevato il fenomeno, che è più e meno omogeneo in tutti i Paesi, con la sola eccezione della Svezia, che non ha scarcerato per niente. Ma stiamo parlando di un Paese in cui negli anni scorsi sono state addirittura chiuse alcune prigioni per mancanza di detenuti. Complessivamente la curva delle percentuali delle scarcerazioni ha avuto una significativa flessione tra gennaio e giugno, poi una crescita durante l’estate, mentre l’autunno vola verso l’alto, anche se ancora non siamo ai livelli dei tempi ante-covid.

Il che dovrebbe preoccuparci tutti quanti. Perché è evidente che più persone saranno rinchiuse in spazi ristretti in cui il distanziamento è impossibile e non si può vivere nelle ventiquattrore con la mascherina, più è alto il rischio del contagio. Pure il concorso “manette d’oro” non ha tregua. Il solito Pedullà che non ha pace da quando ha litigato con Giletti, si presenta oggi in pole position per salire sul podio. Ha letto anche lui lo studio commissionato dal Consiglio d’Europa (o forse ne ha solo sentito parlare), ma non si è preoccupato, anzi esulta.

Hai visto caro Giletti, stuzzica l’ex amico, hai visto che Bonafede è stato il più forcaiolo, il più manettaro, perché ha arrestato di più e scarcerato meno di tutti gli altri Paesi europei? Poi esibisce numeri che noi del Riformista non abbiamo trovato (sicuramente per nostra distrazione) da cui risulterebbe che con lo “svuota-carceri” di Bonafede “siamo in fondo alla lista” dei mascalzoni amici dei mafiosi del resto d’Europa che hanno mandato a casa qualche detenuto in più.

Così, senza vergogna, la gara per salire sul podio del concorso “manette d’oro” continua. E non occorre aspettare la domenica sera per assistere al ring quotidiano che vede impegnati il conduttore di “Non è l’arena” e il direttore di “La Notizia”. Massimo Giletti aveva per primo peritato il podio. Si era impegnato con tutte le sue forze per settimane e settimane per far rientrare in carcere malati e moribondi che avevano ottenuto una sospensione della pena a causa di una diffusione nelle carceri dell’epidemia da Covid-19, rischiosissima per chi era già affetto da gravi patologie. Ci era riuscito, in nome “dell’antimafia” di cui ha indossato i panni, come troppo spesso succede a chi non ne ha titolo.

A partire dai pubblici ministeri il cui ruolo consiste nell’indagare sulle notizie di reato e non nel mettere l’elmetto di fronte ai fenomeni criminali. Era riuscito persino a far licenziare il capo delle carceri Basentini e a mettere il governo contro i magistrati. Ci erano andati di mezzo giudici e tribunali di sorveglianza, messi alla gogna come amici (e quasi complici) dei mafiosi. Mentre il governo era costretto a emettere un decreto che costringeva i giudici, limitati nella propria autonomia e indipendenza (qualità sacre secondo la costituzione), a prendere ordini dai pubblici ministeri “antimafia”.

In mezzo al tritacarne è finito il ministro Bonafede, che Giletti vorrebbe far dimettere e che è difeso con le unghie e con i denti dai due direttori dei giornali governativi e manettari, Marco Travaglio e Gaetano Pedullà. Quest’ultimo è andato sul ring di Giletti e gli ha gridato sul muso che lui stava facendo “oggettivamente” (l’avverbio preferito dei tempi staliniani) il gioco dei mafiosi. E così, in una sorta di gioco dell’oca, per cui tu dai del mafioso a me e io do del mafioso a te, nessuno si preoccupa più della salute all’interno delle carceri, dei detenuti e del personale penitenziario.

Fa spallucce il ministro Bonafede, che con il suo decreto “Ristori” non fa che scopiazzare il “Cura Italia” che a sua volta ricalcava una legge del 2010. E che prevede la concessione della carcerazione domiciliare solo per chi debba scontare meno di 18 mesi, con moltissime limitazioni, compresa l’applicazione degli introvabili braccialetti elettronici. Non se ne occupa il Parlamento, di cui non si sa neppure più se esista, tanto è stato depotenziato, e men che meno un’opinione pubblica in cui ciascuno è reso egocentrico dalla gravità della situazione sanitaria. E c’è qualcuno che intanto partecipa al concorso “manette d’oro”.

FONTE: di Tiziana Maiolo/ Il Riformista, 12 novembre 2020