Cane

di Adriano Sofri

Il Foglio

Ieri. Il titolo diceva: Spara a moglie, ai due figli e al cane e poi si uccide. La reazione immediata è di orrore, non occorre dirlo. Ma la reazione involontaria, precosciente, per così dire, riguarda il cane: «Anche il cane!». Ha ucciso la moglie, uno dei due figli gemelli di due anni, la sorellina è in condizioni disperate. Il cane era innocente, uno pensa, prima di pensare. I gemelli di due anni erano innocenti, uno pensa subito dopo, vergognandosi di sé. E infine pensa che la moglie – la moglie aveva deciso di separarsi dall’uomo – era innocente. Dei cani, siamo ancora abituati a dire che gli umani sono i padroni. Dei figli e della moglie o della compagna non lo diciamo. Diciamo anche meno di un tempo «il capofamiglia». È in crisi, il padrone. Può riguadagnare il titolo solo per una volta, l’ultima volta. «Poi si uccide». In questo caso non c’è il disgusto in più che provocano le notizie così frequenti sull’uomo che uccide la (sua) donna e poi tenta (invano) di uccidersi. Un’aggravante. «E poi si uccide» sembra dunque un’attenuante. Non lo è. L’attenuante sarebbe, forse, in un titolo ch’e dica: «Si uccide, lascia moglie, due figli e un cane».

Adriano Sofri