Il giro di vite slitta a domani: 4 Regioni rosse e 2 arancioni. Misure in vigore fino al 3 dicembre – Da venerdì in base a contagi e ospedali, in lockdown Lombardia, Piemonte, Calabria e Val d’Aosta. Conte avverte: “Nessuna è verde”

Un giorno in più, come se la corsa del virus potesse prendersi una pausa, in attesa che prendano forma i criteri con cui stabilire se una Regione è gialla, arancione o rossa: le misure che dovevano intervenire con urgenza, entro in vigore domani. Il motivo è tanto banale quanto prevedibile: scrivere le ordinanze che aggiungono restrizioni nelle zone a rischio molto alto è stato più complicato del previsto. E di certo non si poteva pensare di dire a presidenti e sindaci, ma soprattutto a commercianti, lavoratori e studenti, che da stamattina tutto cambiava senza il minimo preavviso. “Abbiamo dovuto dare il tempo alle persone di organizzare la propria vita”, spiegano da Palazzo Chigi. Ma la verità è che se lo sono dovuto prendere soprattutto loro. Al punto che il Nazareno non gradisce e “condivide” la linea della sindaca di Empoli, Brenda Barnini (che siede nella segreteria Pd), secondo la quale serve “fermezza, serietà e indirizzi chiari”. Tutto tranne che “far passare l’idea che misure come il coprifuoco possano scattare un giorno prima o un giorno dopo, senza che faccia differenza”.

Così Giuseppe Conte decide di scendere in conferenza stampa alle 20.20, dopo aver corretto la data di entrata in vigore del decreto che aveva già firmato e che era sul sito del governo, da dove è rapidamente sparito per permettere la correzione.

Spiega come prima cosa che non esistono “zone verdi”, che nessuno quindi può sentirsi al sicuro. Una precisazione necessaria, che raccoglie un preciso appello arrivato proprio dal Pd, secondo cui c’era il rischio che gli abitanti delle Regioni rimaste senza restrizioni speciali, prendessero troppo sotto gamba la situazione. Che tanto tranquilla non è: quattro Regioni da oggi vanno in lockdown (Lombardia, Piemonte, Calabria e Val d’Aosta), altre due diventano arancioni, Puglia e Sicilia.

Ieri per diverse ore si è riunita al ministero della Salute la cabina di regia guidata dal direttore della prevenzione Giovanni Rezza e dal presidente dell’Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro. Gli aggiornamenti completi arrivano di ora in ora. Gli ultimi dati complessivi sull’andamento dell’epidemia in Italia sono su 26 slide preparate da Brusaferro ma si basano sui dati fino al 25 ottobre, l’ultimo monitoraggio. Un po’ vecchi e soprattutto incompleti. Proprio l’incompletezza preoccupa: conferma infatti che le aziende sanitarie territoriali, travolte dai contagi, non riescono a inseguire il virus. L’ultima slide contiene una tabella di sintesi. Per cinque Regioni la classificazione di rischio è indicata come “alta con probabilità alta di progressione” e con “molteplici allerte di resilienza”, che si riferiscono alle difficoltà del sistema sanitario: sono appunto la Calabria, la Lombardia, il Piemonte, la Puglia e la Sicilia in base alla complessa combinazione di vari criteri che vanno dai nuovi casi registrati alle condizioni degli ospedali alla capacità di svolgere indagini epidemiologiche sul territorio. Sono i criteri definiti inizialmente ad aprile, al momento delle riaperture e dell’avvio del monitoraggio settimanale.

La Toscana ha classificazione di rischio “alto” ma “progressione non valutabile” perché appunto mancano alcuni dati, in particolare c’è un ritardo nella notifica dei casi o manca, troppo spesso, la data di insorgenza dei sintomi. Questo significa, tra le altre cose, che il calcolo del tasso di riproduzione del virus Rt è particolarmente difficile. Altre sette Regioni sono in questa condizione: Abruzzo, Basilicata, Campania, Liguria, Marche, Veneto e Valle d’Aosta. Quest’ultima, però, finisce in zona rossa perché, oltre alle gravi difficoltà degli ospedali che pure hanno creato posti letto supplementari, ha la più alta incidenza di casi nei 14 giorni fino al 1° novembre: 1.246 ogni 100 mila abitanti. Nessuno ne ha di più: la Lombardia è a 768, il Piemonte a 660; la Calabria si ferma a 132 e la Sicilia a 213 ma appunto i. dati non sono ritenuti convincenti. La stessa Toscana risulta però aver già superato la soglia di allerta nelle terapie intensive, fissata al 30 per cento: è infatti al 36 per cento, mentre i reparti dell’area medica sono “solo” al 31 ma lì il limite fissato è il 40 per cento. Tre Regioni e una Provincia autonoma le hanno superate entrambe: Piemonte (34 per cento nelle terapie intensive e 54 per cento in area medica), Bolzano (35% e 52%), Umbria (46% e 47%) e ancora la Val d’Aosta (40% e addirittura 103 per cento nell’area medica). La Lombardia è al 40 per cento nelle terapie intensive e al 37 in area medica, l’Emilia-Romagna è al 33 e al 28, la Liguria al 27 per cento nelle terapia intensive ma al 60 per cento in area medica.

Le prime zone rosse e arancioni sono state definite ieri sera in tutta fretta, senza neppure acquisire il parere del Comitato tecnico scientifico. Il Dpcm fissa una durata di 15 giorni, ma le cose potranno cambiare a seconda dei dati che arriveranno.

Fonte : di Alessandro Mantovani e Paola Zanca /  5 Novembre 2020/ Il Fatto Quotidiano