Niente permesso per il serial killer

DONATO BILANCIA

 “È stato diabolico e resta pericoloso”

L’uomo che nel giro di sei mesi uccise 17 persone, e tentò di ammazzarne un’altra, chiede di uscire a incontrare un bambino disabile. Ma prima il giudice di Sorveglianza di Padova, poi il Tribunale di Venezia e ora la Corte di Cassazione hanno detto no al permesso-premio: Donato Bilancia, il serial killer delle prostitute e dei treni, non potrà recarsi nemmeno scortato all’Opera della Provvidenza Sant’Antonio di Sarmeola, di cui è ospite il ragazzino che da tempo sostiene economicamente.

Con il rigetto del ricorso presentato dal 69enne originario di Potenza, che al carcere Due Palazzi sta scontando 13 ergastoli e 28 anni per i delitti commessi fra Piemonte e Liguria, di fatto vengono confermate le precedenti valutazioni di pericolosità sociale, secondo cui all’epoca l’assassino fu “diabolicamente abile a colpire e a mimetizzarsi per depistare le indagini” e ancora adesso è un detenuto che ha condannato le proprie azioni “solo in maniera formale e meccanica”.

Secondo la difesa, rappresentata dagli avvocati Roberto Afeltra e Barbara Cotrufo, ma anche per don Marco Pozza, cappellano del penitenziario, Bilancia non è più la persona che fra il 16 ottobre 1997 e il 21 aprile 1998 si macchiò di una lunga serie di delitti. Come emerge dagli atti processuali, il lucano si dice “convinto di essere colpito da una specie di malattia non controllabile ma limitata nel tempo”, dalla quale sarebbe “guarito da sé”, al punto da essere pronto per “una progressiva apertura verso l’esterno”, essendo i reati commessi riconducibili “a una serie di contingenze che mai potranno ripresentarsi”. Di qui la sua richiesta di poter “coltivare interessi affettivi” nei confronti del piccolo portatore di handicap, a cui invia periodicamente una parte della sua pensione, nonché di contattare il difensore del marito di una delle sue vittime, “al fine di comunicare personalmente la disponibilità a forme di riparazione del danno”.

Un uomo diverso, dunque, con una nuova vita. La condotta penitenziaria “regolare”, l’impegno “particolare” negli studi (diploma in Ragioneria e alcuni esami universitari in Progettazione e gestione del turismo culturale), il lavoro “alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria”, i corsi “di francese e di inglese”, le attività del laboratorio “musicale e teatrale”, il percorso psicoterapeutico “con un professionista”, il permesso “di necessità” per recarsi a trovare la madre.

Con il bambino, invece, non ci sarà nessun incontro. Tramite una sentenza depositata nei giorni scorsi, la Cassazione ha ribadito il diniego già espresso dalla Sorveglianza di Padova nell’agosto 2019 e di Venezia nel gennaio 2020. Come riassume la Suprema Corte, non sono stati “acquisiti elementi tranquillizzanti sotto il profilo della pericolosità sociale, avendo l’osservazione della personalità palesato una tendenza alla deresponsabilizzazione per quanto commesso”.

I giudici rimarcano che Bilancia, “per pulirsi la coscienza”, ha deciso “di aiutare economicamente persone in difficoltà” e ha contattato solo una famiglia delle sue vittime, trovando “sconveniente” approcciare gli altri parenti. Un aggettivo che pesa, nella valutazione dei magistrati, in quanto “espressione utilizzata anche per definire gli omicidi commessi, in una singolare equiparazione dell’azione violenta in danno delle vittime e dell’azione riparatoria verso i loro familiari e, soprattutto, nel contesto di una valutazione legata al piano della propria convenienza, con ciò rilevandosi la distanza da una effettiva revisione critica”.

Fonte: di Angela Pederiva Il Gazzettino, 3 novembre 2020

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