’Ndrangheta. Il boato italiano per la cronista coraggiosa: “Il suono della paura è il silenzio”

Il video che arriva da un amico sembra uno dei tanti che girano in rete. Di quelli che chiedono attenzione per questo o quel tema civile mentre il Covid ci divora la testa. Lo apro e c’è come sfondo un grande murale che mi ricorda qualcuno. Persone disposte davanti a semicerchio applaudono. E una giovane donna, forse una ragazza, parla in piedi. Sola, un microfono in mano, davanti a tutti. Mi cattura il suo tono. Semplice, serio e leggero mentre dice cose drammatiche. Racconta e denuncia la ’ndrangheta di Buccinasco, la Platì del Nord nell’hinterland sudovest di Milano. Un’infilata di clan calabresi, i Papalia, i Sergi, i Barbaro e altri ancora, spesso ben trattati dai magistrati giudicanti, specie a Roma. Non capisco se sta facendo nomi e raccontando misfatti in un luogo neutro, lontano dalle famiglie che chiama in causa. Scruto e ascolto meglio. Sta parlando proprio a Buccinasco, davanti a un murale dedicato a Giancarlo Siani, uno dei grandi simboli del giornalismo antimafia. Senza saperlo tiene una splendida lezione di vita quotidiana, diffonde una brezza di libertà. Per quanto partecipi a questo genere di manifestazioni da decenni difficilmente ho sentito altrettanta forza di spirito. Le parole procedono. Si capisce che vive in quelle vie, è nata nelle case popolari.

Racconta delle minacce ricevute da Rocco Papalia, che ci ha tenuto a dirle personalmente che sa dove abita, gliel’ha pure mostrato con il dito. O della signora intrisa di clan che le ha detto che se si toglieva gli occhiali le sputava in un occhio. Dipinge con naturalezza il potere ’ndranghetista stupito e infuriato che qualcuno ne ricordi gli scempi e la prepotenza, come se su quel territorio non si fosse commerciata droga a quintali, non si fossero fatti sequestri di persona in serie, non si fosse riempita la terra di rifiuti indicibili.

Mentre la ragazza parla e spiega, la voce si increspa pochissime volte. Forse per vincere l’emozione si concede due invocazioni romanesche verso l’immagine di Giancarlo. Chi, come me, non la conosce impara che si tratta di una giornalista della generazione pagata 5-10 euro al pezzo, che – per riprendere la famosa differenza del film Fortapàsc – vuole fare la giornalista-giornalista e non la giornalista-impiegata. Alla fine chiede al pubblico radunato a semicerchio se davvero voglia sapere quale è “il rumore della paura”. “Il rumore della paura è il silenzio”, conclude amara. Nessun silenzio, dunque. I luoghi come Buccinasco cambiano grazie a questi giovani che non si piegano. Che non conoscono la ricchezza dei trafficanti, se è vero, come vengo poi a sapere, che questa giovane coraggiosa ha fatto l’università (storia dell’arte) adattandosi già dai 16 anni ai lavori più umili. Giovani che dei boss hanno più schifo che paura, e per questo non tacciono.

Come le mie laureande (quante donne ribelli…) che fanno le tesi sulla mafia a Buccinasco, a Fino Mornasco, a Cantù, a Sedriano. Giovani donne che valgono cento volte le matrone abituate a fare le mogli e le figlie dei boss. E che hanno il diritto di sentirsi dietro non il silenzio ma l’Italia, a partire dalla stampa, come è stato per questa giornalista, di nome Francesca Grillo e collaboratrice precaria del Giorno. Cesare Giuzzi, il presidente del Gruppo cronisti lombardi, l’ha difesa con una fermezza (e anche un disprezzo verso i mafiosi) che in altri contesti è mancato.

Ora ho solo una preghiera: mi è talmente piaciuta la freschezza combattiva di Francesca che non vorrei mai sentirla definire come la giornalista minacciata da Rocco Papalia. Diciamo invece che è una brava giornalista, che è il più bel complimento. E che noi vogliamo garantirle di essere sempre più brava, che è l’aiuto maggiore che le possiamo dare. Con i “rischi” e con le “scorte” abbiamo già guastato troppe persone. Lei no, per favore.

Fonte: di Nando dalla Chiesa | 2 NOVEMBRE 2020/ Il Fatto Quotidiano