Giudici onorari: la riforma per un giusto riconoscimento corre verso l’approvazione

Sono questi, in commissione Giustizia al Senato, giorni di discussione intensa sulla riforma della magistratura onoraria. Un provvedimento che ha avuto una gestazione lunga in questi anni, dovuta principalmente all’esigenza di ascoltare le associazioni dei magistrati onorari e interloquire poi con Governo e Ministero di Giustizia.

Ora che si è arrivati ad un testo base, su cui nei prossimi giorni saranno votati gli emendamenti, sento l’esigenza, per aver seguito direttamente questo percorso, di chiarire le premesse e gli obiettivi di un intervento che giudico decisamente migliorativo per la categoria.

Serva questo anche per evitare che polemiche strumentali, fomentate da alcune forze politiche in cerca di visibilità, possano annebbiare il dato di realtà. Oggi qualcuno dice fantasiosamente che il Partito democratico volta le spalle alla magistratura onoraria. È vero esattamente il contrario; non è stato così in passato, non lo è oggi.

È stato il Partito democratico, non altri, nel 2017 con il ministro Orlando, dopo anni di proroghe e incertezze subite da tutta la categoria e una procedura d’infrazione aperta in sede europea, ad assumersi la responsabilità di fornire un quadro organico che chiarisse ruolo, tipo di impegno e funzioni dei magistrati onorari. Anche le migliori riforme sul campo possono poi mostrare criticità, e così è stato in questo caso soprattutto in relazione ai magistrati in servizio, problematicità che ora noi vogliamo superare con le misure all’esame del Parlamento.

Questi magistrati, lo ricordo, oggi sono complessivamente oltre 5 mila, più della metà dei togati. A tutti loro, nell’ultimo quarto di secolo, sono state affidate funzioni sempre più ampie e impegnative, facendo di fatto crescere una componente magistratuale semiprofessionale e semi-stabilizzata che gestisce al momento una buona fetta del contenzioso di primo grado presso gli uffici del giudice di pace e nei tribunali, garantendo tra l’altro tempi accettabili e l’aggressione dell’arretrato, che altrimenti sarebbe molto più difficile.

Alla luce di questa condizione, è chiaro che oggi l’apporto della magistratura onoraria sia irrinunciabile; così come nessuno può realisticamente pensare che non lo sarà anche in futuro. Non per questo c’è bisogno però di sovvertire il dettato dell’art. 106 della Costituzione, prevedendo un reclutamento senza concorso, parallelo a quella della magistratura ordinaria. Intendo dire che temporaneità delle funzioni giudiziarie e natura non esclusiva dell’incarico restano due cardini fondamentali del sistema. All’interno di questi paletti, però, è oggi necessario muoversi per calibrare meglio l’impatto della nuova disciplina, soprattutto su giudici di pace, giudici e viceprocuratori onorari già in servizio. Per questo, dal 2018 il Partito Democratico, prima dall’opposizione poi entrando nella maggioranza di Governo, ha sempre sostenuto la necessità di dare maggiori garanzie, anche economiche, ai magistrati onorari che più avrebbero pagato la fase transitoria disegnata dalla riforma Orlando.

Il testo che oggi è all’esame del Senato credo risponda in buona parte a queste esigenze e sia in grado di raggiungere l’obiettivo di non precarizzare ulteriormente un’intera categoria che da oltre vent’anni offre un contributo significativo al nostro servizio giustizia. Va in questo senso la ridefinizione delle incompatibilità e la rimodulazione più equilibrata delle sanzioni disciplinari.

Ma soprattutto, per i magistrati in servizio, si prevede da un lato il prolungamento dell’incarico fino a settant’anni e dall’altro la possibilità di scegliere tra l’attuale regime “a cottimo”, oggi in vigore tanto per i giudici di pace quanto per got e vpo e l’indennità fissa, che può arrivare fino a 38 mila euro per chi sceglierà il massimo impiego giornaliero, dando un contributo anche nell’ufficio per il processo o collaborando con il procuratore della Repubblica. Sono poi al vaglio, ma sono fiduciosa che vadano in porto, misure per delineare al meglio il limite massimo delle otto ore giornaliere, anche in presenza di incarico presso l’ufficio del processo o del procuratore. E per allineare l’entrata in vigore del fisso con quella del cottimo, in modo da non penalizzare la scelta tra i due regimi soprattutto da parte dei giudici e dei vice-procuratori onorari.

Sono tutte richieste emerse nel dialogo parlamentare grazie al contributo essenziale delle associazioni e poi definite dopo un lungo confronto insieme al Ministero della Giustizia, con cui alla fine abbiamo trovato le risorse finanziarie necessarie. A dimostrazione che mai abbiamo creduto che si potesse fare una buona riforma a costo zero. Al contrario penso invece che oggi, ancora di più con l’esperienza consegnataci dall’emergenza sanitaria, sarebbe necessario investire in una rapida informatizzazione degli uffici del giudice di pace, che hanno bisogno di essere pienamente integrati nell’organizzazione complessiva della giustizia. Infine, c’è il tema che riguarda le tutele assistenziali (maternità compresa) e previdenziali di questi lavoratori. Nonostante sia per ora rimasto ancora fuori dal disegno di legge in discussione, è un tema che va affrontato e risolto. Bisogna essere consapevoli però che, per fornire un quadro di tutele forte e sostenibile, che resta il nostro obiettivo, servono da un lato un percorso chiaro con l’Inps per verificare la sostenibilità della creazione di una apposita cassa di gestione separata e dall’altro, nell’eventualità che questo fosse possibile, una mole considerevole di risorse ulteriori, che con serietà e impegno si possono trovare solo in una legge di bilancio, ragion per cui per ora il tema è stato escluso. Ma possiamo sin da ora impegnarci ad affrontarlo già nella prossima manovra.

Per concludere, quello che è ora all’esame della commissione, e che dovrà poi approdare in Aula nel più breve tempo possibile, è un provvedimento che, da un lato, conferma l’impostazione della riforma del 2017 e, dall’altro, accoglie molti dei rilievi che allora vennero fatti dal Csm, oltre che dalle associazioni di magistrati onorari. Ciò dimostra che il tempo trascorso non è passato invano. È invece servito a fornire un inquadramento certo a tutta la magistratura onoraria, coerente con il perimetro disegnato dalla Costituzione e capace di riconoscerle il ruolo che essa ha avuto e avrà, migliorando sensibilmente il trattamento nei confronti dei magistrati onorari in servizio soprattutto a garanzia della loro necessaria indipendenza e autonomia.

 Fonte: di Valeria Valente* Il Dubbio, 27 ottobre 2020

*Capogruppo Pd Senato Prima Commissione