“Innocenti, ma rovinati dall’Antimafia”: la rivolta degli imprenditori onesti

 A Palermo l’incontro di Nessuno tocchi Caino contro i guasti di un sistema di prevenzione asservito a interessi opachi. Cavallotti: “Troppi abusi: ci rivolgeremo alla Corte europea. L’Italia va condannata”.

 Gli obiettivi, chiari e netti, li fissa Rita Bernardini, membro del consiglio generale del Partito Radicale ed ex deputata: “Dobbiamo informare i cittadini, magari fare qualche sciopero della fame per farci sentire. E poi organizzare in Parlamento una conferenza, con l’associazione Nessuno tocchi Caino, per raccontare le storie di chi ha subito sulla propria pelle misure di prevenzione ingiuste. Persone la cui vita è stata distrutta. Perché c’è una fetta della politica ignara del fatto che parte dell’antimafia è occasione di guadagno, di affari. Con le misure di prevenzione si favoriscono le imprese che si vogliono, si distrugge l’economia del territorio. Serve più trasparenza nel settore troppo opaco della giustizia”.

 Un intervento che suona come una vera e propria chiamata alle armi, quello che domenica scorsa, ha concluso il convegno tenutosi a Palermo dal titolo “La difesa nel processo di prevenzione – la vita del diritto per il diritto alla vita delle imprese”, organizzato dall’associazione Nessuno tocchi Caino rappresentata, nel capoluogo siciliano, da Pietro Cavallotti, uno dei figli degli imprenditori edili di Belmonte Mezzagno il cui patrimonio è stato ingiustamente sottoposto a sequestro in una lunga vicenda giudiziaria legata a doppio filo col sistema messo in piedi da Silvana Saguto.

 Durante la lunga mattina che si è snodata tra i limoneti di un luogo simbolico – lo Spazio Lab di via Faraone, tenuto sotto sequestro per cinque anni e poi dissequestrato – sono state tante le storie raccontate dalla viva voce di quegli imprenditori vessati dalle misure di prevenzione che hanno distrutto le loro vite personali e professionali: da Massimo Niceta, Simona Amodeo, Ester Fedeghini, passando a Francesco Bombolino, Francesco Lena, Pasquale Saraco, Andrea Cuzzocrea, Gaetano Virga e Giuseppe Monaco. Nomi più o meno sconosciuti all’opinione pubblica “ma il cui calvario – ha detto Elisabetta Zamparutti, tra i fondatori di Nessuno tocchi Caino – è l’espressione plastica di uno Stato che usa armi non convenzionali. E noi dobbiamo andare oltre questo uso violento di armi.

 Queste storie drammatiche mettono in scena il verosimile della lotta alla mafia i cui strumenti di contrasto sono inadeguati”. Da qui nasce l’esigenza, promossa da Zamparutti, “di realizzare un libro che racconti queste storie e un altro docu-film, proprio come Spes contra spem. Pensando anche a una grande marcia che manifesti visivamente il problema di una drammatica tragedia”. Perché il passepartout della lotta alla mafia, in molti casi, garantisce carriere e affari. Lo raccontano i casi di molte interdittive sospette, di scioglimenti di Comuni pieni di dubbi che sfociano in inquietanti grumi d’interessi: “Nella lotta alla mafia c’è una vetrina e un retrobottega pericoloso”, ha detto Sergio D’Elia, segretario di Nessuno tocchi Caino e coordinatore della presidenza del Partito Radicale, domenica nella veste di moderatore del convegno. “Siamo impegnati – aggiunge – a scongiurare il pericolo concreto che nel nome della lotta alla mafia si compiano mali altrettanto distruttivi per le persone e le imprese. Di solito c’è una colpa, un reato che provocherà una sentenza e semmai una condanna.

 Con le misure di prevenzione ci troviamo davanti a un’inversione per la quale prima c’è la pena e poi, forse, si dimostra l’innocenza. Le misure di prevenzione sono afflittive. È il futuro che decide sul presente. Credo molto nel ruolo dell’opinione pubblica, dell’informazione. Ed è fondamentale che Il Riformista stia raccontando le storie di questi imprenditori”. Uomini e donne assistiti da avvocati – molti dei quali presenti al convegno – che, però, in materia di misure di prevenzione hanno le armi spuntate.

 “Ecco perché lanciamo un appello a tutti gli avvocati per rivoluzionare il modo di difendere”, ha detto Cavallotti. “Dobbiamo sollevare – ha proseguito – eccezioni di costituzionalità che metteremo a disposizione degli avvocati. Dobbiamo fare più ricorsi possibile alle alte giurisdizioni e quindi alla Corte Europea, creando un team di avvocati e professori.

 Ottenere sentenze di condanna dello Stato Italiano. Il problema non è più eludibile. Prepareremo un dossier da sottoporre alla Corte Europea per fare capire qual è lo stato dell’arte delle misure di prevenzione in Italia. In tal senso faccio un appello agli avvocati che vogliono impegnarsi per sollevare queste questioni. Il rischio è che gli avvocati continueranno a vedere ‘morirè, sotto il peso di leggi inadeguate, i loro clienti”.

 

 Fonte :di Giorgio Mannino/ Il Riformista, 7 ottobre 2020