Il primo giorno di scuola (di Stelio W. Venceslai)
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La riapertura delle scuole è il giudizio del fuoco del governo. Se non va, comincia la discesa. Troppi ritardi, troppi errori, molta confusione.
È difficile giustificare con l’emergenza una situazione simile, perché è dallo scorso marzo che esiste il problema, grosso almeno quanto gli altri.
Il Ministro Azzolina ha cercato negli ultimi tempi di correre ai ripari con proposte stravaganti, che hanno fatto ridere e indignare allo stesso tempo. Sta di fatto che a pochissimo dalla riapertura, la confusione è assoluta. Il primo tragico errore, in realtà è solo la dimostrazione della stupidità di chi ci governa: aprire le scuole il 14 per poi chiuderle il 21 e il 22, per la coincidenza con la data delle elezioni amministrative regionali e del referendum. Tanto valeva aprirle dopo.
Se qualcuno pensava che i problemi della scuola fossero prioritari è rimasto deluso. Di corsa, all’ultimo momento, si sono raffazzonate regole per lo più inapplicabili e spesso respinte dalle Autorità regionali e comunali.
Cominciamo con il dire che la data della riapertura è un optional. Regioni e Comuni apriranno più tardi del previsto. D’altro canto, se non c’è una politica, non ci può essere un obbligo.
Le strutture scolastiche sono da decenni arrangiate e fatiscenti. Non se n’è mai preoccupato nessuno ed ora esiste il problema di trovare locali adatti per il distanziamento. Un’impresa impossibile.
Ma la scuola è l’asse portante della società del futuro. È da una scuola efficiente che parte lo sviluppo di un Paese.
In Italia da anni c’è stato un disinteresse pressoché totale: indifferenza sulla qualità dei programmi, stipendi da fame, graduatorie e concorsi discutibili, un personale spesso capace ma sempre più demotivato. Adesso, siamo costretti a svegliarci, tardi e male, un po’ storditi dalla complessità del problema che si è voluto ignorare per anni.
Se un bambino ha sintomi di febbre, si apre una procedura di contatti, esami, rinvio alla famiglia, da questa al medico, dal medico alla scuola, per l’isolamento. Una procedura complessa che non funzionerà. Si mette in quarantena la classe? La scuola? Se un docente si ammala, va in quarantena il Consiglio dei docenti? Mistero.
I bambini che entrano in classe dovranno portare la mascherina o no? Dipende, non si sa bene da chi, ma anche questo è un punto interrogativo. In alcune Regioni sì, in altre non si sa. Saranno distanziati? Pare di sì. Milioni di euro sono stati spesi in modo, diciamo, leggero. Distrutti i solidi banchi di legno di una volta, che potevano essere facilmente divisi in due, stanno arrivando nelle scuole strutture misteriose, anche di plastica, talune a rotelle, che saranno annientate dalla turbolenza giovanile nel giro di qualche mese. Chi le ha ordinate? Quanto sono costate? Chi le ha fatte? Da dove vengono? È un segreto di Stato.
Circolano sui social accuse precise di truffe e di grasse tangenti. Su Amazon i prezzi variano da 59 a 131 euro per banco, molto diversi dai 284 euro, il prezzo che sembra che sia mediamente costato al contribuente. Il Commissario Arcuri, preposto alle forniture, renderà conto a qualcuno delle scelte incaute e degli acquisti fatti?
Mancano, poi, i docenti. Questa è una piaga che si protrae da decenni, fra supplenti e precari, annunci di concorso e smentite. Si parla di 83.000 docenti che dovrebbero essere assunti. Quando? Nel 2025? Quanto, poi, agli assistenti di sostegno, siamo nel deserto del Gobi.
Quindi, le scuole riapriranno nel peggiore dei modi, ma con preoccupazioni e spese notevolmente più elevate del solito.
Ma se invece di spendere tanto e così male si fossero dotati scolari e studenti di computer e di assistenti, nel caso di dover ricorrere all’insegnamento a distanza, non sarebbe stato meglio?
Qui si ragiona ancora sul trinomio di carta, penna e calamaio, mentre il mondo cammina e quello dei giovani sopravanza di gran lunga quello degli adulti.
Non è possibile prevedere quando finirà l’emergenza pandemica. Secondo il Ministro della Salute, Speranza (ma è il nome vero, non una battuta!), non ne saremo fuori prima di un altro semestre.
Israele sta tornando a un secondo lockdown di due settimane. Se dovessimo assumere una decisione, analoga, che sarebbe disastrosa sotto tutti i punti di vista, sarebbe stato meglio avere i computer a casa piuttosto che i banchi di plastica a scuola. Un’occasione eccellente per pareggiare tra famiglie ricche e povere la necessità di un’istruzione moderna.
Riaprono (forse) le scuole, per fare che? Può sembrare una domanda stupida, ma i programmi di studio dei nostri figli sono rimasti, più o meno, all’epoca della Costituzione, vecchi e superati dalle esigenze di una società diversa.
Si abolisce il latino, poi la storia, poi si torna indietro, riappare l’educazione civica, ma lingue, informatica e bricolage restano al palo dei desideri.
Lo svecchiamento dei programmi, un indirizzo culturale formativo comune, salvo poi entrare nel mondo della preparazione al lavoro, mancano da anni. Non a caso siamo in fondo nella lista dei Paesi “acculturati”. D’altro canto, per quale lavoro? Non c’è.
Quando tra poco finirà la Cassa integrazione e cesserà il blocco dei licenziamenti, ne vedremo delle belle.