Storie Maledette – Franca Leosini: “Vieto le repliche, la vita può cambiare”

E neanche lo ha mai intervistato. “Pure perché se le premesse erano queste…” Si ride, si sorride, si impara. Poco prima, il racconto del momento in cui la Leosini ha temuto per la sua incolumità. “Durante l’intervista al collezionista di anoressiche Mario Mariolini mi sono sentita minacciata. Gli ho rivolto una domanda che probabilmente lo ha innervosito, ondeggiava in modo minaccioso. Ho pensato mi avrebbe messo le mani al collo”. Sola, nella stanza, ha avuto un solo appiglio: “Il regista ha capito e ha dato lo stop”. Lucarelli e Leosini entrano anche nella profondità del buon giornalismo. “Chiedo sempre che non ci siano agenti di sicurezza in stanza con me e i detenuti. Anche se sanno che milioni di persone seguiranno la trasmissione, non sopportano il giudizio di prossimità”. Le interviste a chi è stato condannato per un delitto sono il frutto di un delicato equilibrio tra preparazione, convinzione e sensibilità: “Storie maledette è un programma difficile ed è il motivo per cui le puntate hanno un numero limitato – ammette la Leosini -. Studio gli atti del processo dall’ inizio alla fine, anche diecimila pagine dalle quali traggo la struttura narrativa”. Il procedimento ha una scansione etica stringente: nessuna intervista se il movente è il denaro (“Cerco l’anima delle persone, anche quando è diventata nera”), nessun racconto se c’è qualcosa di irrisolto o poco chiaro e neanche quando c’è un interesse ‘fuori luogo’: “Una volta mi sono accorta che una persona voleva servirsi di me o della trasmissione per raccontare la sua versione della storia, una versione alterata degli atti. Non mi convincevano neanche certi gesti di confidenza”. Infine, la cura che continua dopo la trasmissione: “Non permetto che vengano mandate repliche perché le storie delle persone cambiano, anche in carcere. Riproporre quella storia, a distanza di anni, magari può influenzare la vita di quelle persone. Si sono fidate di me e hanno scelto di portarmi nel loro inferno: devo rispettarle”. Un’oasi in quello che Lucarelli definisce come un “imbarbarimento” del modo di trattare la cronaca: “Imbarbarimento è un giudizio severo – replica Leosini – . Certo c’è lo sfruttamento della morbosità” che risponde a domanda e offerta e quindi “a pubblicità e denaro”.

Infine, il caso su cui le restano più dubbi, ferma restando per Leosini la sicurezza che i magistrati italiani abbiano – come si richiede loro – “una capacità di giudizio che vada oltre qualsiasi parola o suggestione”: la risposta è Avetrana, per l’omicidio di Sarah Scazzi. Spiega che a Sabrina e Cosima viene dato l’ergastolo ma senza che ci fosse premeditazione mentre a Parolisi, che ha accoltellato la moglie con 29 colpi, sono stati dati 20 anni: “So che nessuna pena risarcisce una vita distrutta” dice. Ma resta, di fronte a queste discrepanze, il mistero del criterio con cui a volte si applica il codice penale. Un mistero che sarebbe meglio non ci fosse.

Fonte: di Virginia Della Sala / 7 SETTEMBRE 2020/ Il Fatto Quotidiano