Santa Maria Capua Vetere (Ce). Torture in carcere, ancora denunce dai detenuti

“Nudi. Cantavamo inni alle guardie”. Un’altra testimonianza raccolta da Casertanews sui pestaggi nella casa circondariale “Francesco Uccella” dopo le proteste per i contagi tra i reclusi”. Non solo botte e capelli e barbe tagliati. A inizio aprile, dopo le proteste per i primi casi di Covid in cella, i detenuti sarebbero stati costretti a denudarsi e cantare inni alla polizia penitenziaria. Sono questi alcuni dei passaggi agghiaccianti contenuti nella denuncia sporta da uno dei reclusi del reparto Nilo dove si sarebbero verificate torture ai loro danni ad opera degli agenti. Circostanze che sono finite al centro di un’inchiesta della Procura di Santa Maria Capua Vetere che, a giugno, ha notificato 57 avvisi agli indagati, fermati prima di entrare per il turno di lavoro nella casa circondariale “Francesco Uccella”.

Una nuova denuncia – A distanza di quasi 5 mesi da quelle presunte atrocità, dunque, il fascicolo nelle mani degli inquirenti continua ad arricchirsi di testimonianze. Tra le ultime quella depositata dall’avvocato Gennaro Caracciolo per un suo assistito, tra le vittime di pestaggi ed umiliazioni. Secondo il racconto, messo nero su bianco, dopo le proteste da parte dei detenuti in seguito ai primi contagi tra di loro, la reazione della penitenziaria sarebbe sfociata in una sorta di rappresaglia da campo di concentramento.

“Ci fecero spogliare nudi” – Era il pomeriggio del 6 aprile quando i detenuti sarebbero stati fatti uscire dalle celle e costretti a mettersi faccia al muro. Ad attenderli c’erano “tantissimi agenti in tenuta antisommossa”, cioè muniti di scudi, manganelli, guanti e caschi neri. “Ci fecero spogliare facendoci restare completamente nudi e ci imposero di fare 3-4 piefamenti sulle braccia (flessioni)”. Tra i detenuti c’era anche un iraniano che “veniva picchiato perché si rifiutava di abbassare i pantaloni e le mutande”. Un altro venne picchiato perché nel rifiutare di spogliarsi sfidò una guardia dicendo “non ci potete togliere la stima e la dignità”.

I pestaggi – Dopo questo episodio, prosegue la denuncia, i detenuti vennero fatti rivestire e condotti nel corridoio di passeggio. “Giungevano sempre più detenuti da altri padiglioni. Ricordo che alcuni avevano le maglie stracciate per le percosse ricevute, altri erano pieni di sangue sulla schiena”. Dopo l’adunanza i detenuti vennero fatti uscire “tre alla volta” e con l’ordine tassativo di procedere “mani dietro la schiena, testa bassa e schiena bassa”. Una “processione” che li conduceva in un corridoio dove dovevano passare tra due file di agenti. “A quel punto iniziavano una serie di pestaggi immotivati”.

Le torture. Ci facevano cantare “Evviva le guardie” – Ma la rappreseglia non si sarebbe esaurita il 6 aprile. Il giorno seguente, racconta ancora il detenuto, “ci dicevano che dovevamo tagliarci la barba e i capelli”. Non solo. “Ci facevano addirittura cantare una canzone: ‘Chi comanda qua?’ E noi dovevano rispondere ‘Evviva le guardie, evviva la polizia penitenziaria, evviva”.

Fonte: di Attilio Nettuno/ casertanews.it, 4 settembre 2020