De Luca-Tribù: quindici liste per punire Zingaretti

La Sanità. La partita si torna a giocare lì: intorno al moloch che si mangia oltre il 60% delle risorse della Regione Campania. La Sanità che muove voti, clientele, prebende. La sanità uscita a dicembre dal commissariamento governativo grazie al pareggio per sei anni consecutivi dei conti di Asl e ospedali (tranne il deficit di 78 milioni di euro della Asl Napoli 1, sulla quale pende una richiesta di scioglimento per camorra misteriosamente ferma al Viminale), un risultato ottenuto però sacrificando 45mila posti di lavoro. La Sanità salita nei livelli di assistenza essenziale (i Lea) dagli scarsi 106 punti del 2015 ai 170 punti del 2019, ma siamo sempre penultimi, solo la Calabria è messa peggio. La Sanità che dovrà gestire il pozzo senza fondo dei finanziamenti per la gestione dell’emergenza Covid-19, alcuni già sotto inchiesta, come i 18 milioni di euro spesi per gli ospedali modulari tra Napoli, Salerno e Caserta. “Sarebbe interessante fare uno screening delle candidature al consiglio regionale collegate a interessi nella sanità, sembrano tantissime” commenta il sociologo esperto di camorra Marcello Ravveduto, secondo il quale “sui soldi dell’emergenza Covid sta avvenendo la ristrutturazione delle organizzazioni criminali più attente al mercato”.

I candidati sono gli stessi del 2015: il governatore uscente Vincenzo De Luca per il Pd e il centrosinistra, Stefano Caldoro per Forza Italia e il centrodestra, Valeria Ciarambino per il M5s (e De Luca e Caldoro c’erano pure nel 2010). Il sindaco di Napoli Luigi de Magistris, per mesi in predicato di guidare una coalizione che riunisse le anime della sinistra, si è tirato fuori dalla partita. Un paio di esponenti di DemA si candidano in ‘Terra’, movimento ambientalista guidato da Luca Saltalamacchia. In DemA uno ha fatto una scelta diversa: il presidente di municipalità Francesco Chirico è sceso in campo con De Luca, l’acerrimo avversario del primo cittadino.

A costruire in Campania l’intesa giallorosa, i dem e i pentastellati non ci hanno nemmeno provato. Sarebbe dovuta passare per la rinuncia di De Luca e la candidatura del ministro Sergio Costa. Il virus ha stravolto tutto. Il governatore l’ha cavalcato con spregiudicatezza, tra “lanciafiamme e guanto di velluto”, rimpolpando con fondi regionali le pensioni minime e distribuendo alle imprese soldi a pioggia in aggiunta ai bonus statali.

Gli indici di popolarità e consenso di De Luca sono così schizzati alle stelle. Altro che richiesta di passo indietro, che qualcuno in casa Pd, come Umberto Del Basso De Caro, aveva avanzato: è invece scattata la corsa a salire sul carro. Quindici liste partecipano alla coalizione del presidente uscente. Non si respira il sentimento della costruzione di un progetto politico. Semmai lo spirito di chi si siede a tavola per la spartizione di una torta. Tra i commensali ci sono ex democristiani che odorano di antico e che di solito sedevano dall’altra parte: Clemente Mastella, Paolo Cirino Pomicino, Ciriaco De Mita. L’ex premier irpino non aveva nomi sufficienti per fare una lista autonoma ed è ospitato in Fare Democratico, dopo aver smentito un accordo con Italia Viva di Matteo Renzi. Tra De Mita e Renzi l’antipatia reciproca è nota: sarebbe stata una notizia, era una bufala.

C’è chi offre una chiave di lettura diversa: De Luca moltiplica le liste per punire Zingaretti e il Pd che non voleva confermarlo. E infatti i suoi ‘uomini forti’ – tra cui Luca Cascone, indagato per il caso degli ospedali modulari – non si candidano nel Pd. Sono divisi tra ‘Campania Libera’ e ‘De Luca presidente’. All’abbondanza del centrosinistra fa da contraltare la penuria del centrodestra: sei liste per Caldoro, la cui civica ‘Caldoro presidente’ si è fusa con l’Udc per essere riempita. In Forza Italia si respira un’aria mesta. Non è stato digerito l’ordine della Lega di Matteo Salvini, che per accettare l’azzurro Caldoro ha chiesto la testa del campione di preferenze Armando Cesaro, il figlio del senatore plurindagato Luigi ‘a purpetta Cesaro. In uno sfogo sul Mattino Cesaro jr. ha fatto capire che non muoverà un dito in campagna elettorale. “Sono deluso da Caldoro che non mi ha difeso”. Mentre in Fratelli d’Italia ci sono indagati e condannati, senza proteste.

De Luca è dipinto come un vincitore annunciato. Condannato, però, a rimanere un capo tribù. Impossibilitato al ritorno a una dimensione ‘nazionale’ sfiorata qualche anno fa con il ruolo di viceministro delle Infrastrutture, ricoperto mentre era sindaco di Salerno. Il perché può essere ricavato dalle parole dell’economista Mariano D’Antonio: “La cifra personale e politica di De Luca è quella di un accentratore che non vuole collaboratori ma esecutori: se qualcuno tira la testa fuori dal sacco lui gli dà una botta per ricacciarlo indietro”. D’Antonio snocciola esempi di imprese e attività che De Luca avrebbe frenato per carenza di modernità: “Penso al mancato sviluppo delle Zes nei porti, al mancato sostegno delle idee innovative di Luciano Stella nel settore del cinema e dell’animazione, penso all’Apple a San Giovanni a Teduccio, una dinamica che ha visto la Regione completamente assente”.

Ed eccoci al tema del ‘Salernocentrismo’ imposto da De Luca, che ha spostato nella sua città tutti gli assi decisionali. “È forse la ragione principale della mancanza di modernità di De Luca, piccolo dittatore di provincia estraneo al flusso di idee e di esperienze della grande area napoletana. Ha preferito creare una dinastia familiare (il riferimento è ai figli, uno deputato e uno già assessore a Salerno, ndr). Le pare una mentalità del 21esimo secolo, quella di tramandare a figli e sodali il potere?”. Sulla questione ha qualcosa da dire il segretario generale Cgil Campania Nicola Ricci: “Il salerno-centrismo e la competizione miope tra De Luca e De Magistris hanno rovinato la situazione dei trasporti pubblici. Servirebbe sinergia”. Ricci però apprezza il buon lavoro di De Luca per uscire dal commissariamento della sanità “anche se ne è uscita penalizzata la medicina territoriale, lasciandoci eccellenze ospedaliere che però le periferie non riescono a utilizzare”. Secondo i calcoli del sindacato, da qui a dicembre pioveranno in Campania 4 miliardi di fondi europei in aggiunta al miliardo stanziato durante l’emergenza. Sui quali c’è il rischio che De Luca, parole di Ricci, lavori come “un uomo solo al comando. Dovrebbe avere il coraggio di dare delle deleghe, cosa che in settori come i trasporti e l’agricoltura non ha fatto”.

Fonte /di Vincenzo Iurillo/ Il Fatto Quotidiano/  25 AGOSTO 2020- Il meglio del giornalismo on line