Io, Falcone e la sua esperienza romana/  di Giuseppe Di Federico/ Il Riformista, 19 agosto 2020

Una ricostruzione diversa da quella che fa Calogero Mannino. Il giudice non venne nella capitale al Ministero per scappare dalla procura di Palermo. E non voleva che il suo trasferimento fosse mal interpretato. Vi racconto cosa mi suggerì Cossiga e cosa.

Come arrivò a Roma Giovanni Falcone, e perché? Si è aperta una discussione, in particolare dopo una intervista dell’ex ministro Calogero Mannino all’AdnKronos e una successiva intervista al Riformista. Il professor Giuseppe Di Federico, che fu amico stretto di Falcone, ci ha mandato questo articolo che fu pubblicato dal Messaggero il 29 maggio del 2002, nei giorni successivi al decennale della morte. E che contiene una ricostruzione abbastanza diversa da quella di Mannino.

La scorsa settimana la figura di Giovanni Falcone è stata ricordata in convegni, trasmissioni televisive e molti articoli.

Di lui hanno parlato in molti, spesso raccontando cose che Falcone avrebbe loro confidato. Tra le cose dette quella che più merita una smentita è quella riferita da un articolo di Saverio Lodato su l’Unità di domenica 19 maggio scorso, e da altri ripresa, secondo cui agli inizi del 1991 Falcone sarebbe “scappato” dalla Procura di Palermo e si sarebbe trasferito al Ministero della giustizia perché il procuratore di Palermo, Giammanco, gli impediva di perseguire efficacemente la criminalità mafiosa.

Anche chi ha conosciuto Falcone meno bene di me non può che sorridere all’idea che egli “scappasse” di fronte a difficoltà che incontrava sul lavoro. La verità è che egli accettò l’offerta di Martelli di trasferirsi a Roma quale Direttore generale degli affari penali del Ministero della giustizia perché da quella posizione avrebbe potuto perseguire con più efficacia un suo disegno riformatore che riteneva essenziale per rendere più efficiente la repressione dei fenomeni di criminalità organizzata. Sono cose che conosco bene perché io stesso ho svolto un ruolo non secondario in quella vicenda.

Prima di riferire in merito, basandomi non su confidenze fattemi ma su circostanze piene di riscontri, vorrei ricordare che fin dall’ultimo periodo di permanenza nell’ufficio istruzione di Palermo Falcone aveva maturato l’idea che le conoscenze ed esperienze da lui accumulate potessero e dovessero sfociare in iniziative riformatrici anche con un suo eventuale impegno personale in ruoli istituzionali di livello nazionale e di tipo “tecnico”.

Non posso certo pretendere di conoscere tutte le vie da lui utilizzate in tale esplorazione. So però che proprio per coadiuvarlo in questa sua esplorazione, con le cui finalità concordavo, io stesso organizzai per lui una serie di incontri presso l’Arel (l’Agenzia di Ricerche e Legislazione fondata dal Prof. Nino Andreatta) e della quale io ero stato chiamato a far parte come esperto del settore giustizia.

In quella sede Falcone illustrò a uomini politici e di governo le innovazioni necessarie per un’azione più efficace contro la criminalità organizzata (più efficienti forme di coordinamento nella conduzione delle indagini a livello nazionale ed internazionali, maggiore professionalità e specializzazione di magistrati e forze di polizia, una avanzata modernizzazione organizzativa e tecnologica degli uffici giudiziari).

A questi incontri parteciparono, tra gli altri, anche il Ministro degli interni, On. Rognoni ed il presidente della Commissione giustizia della Camera, On. Gargani. Ad uno o più incontri, non ricordo bene, Falcone volle che partecipasse anche l’attuale capo della Polizia, Gianni De Gennaro. La sua ricerca di un ruolo istituzionale di livello nazionale da cui poter perseguire gli obiettivi innovativi che si proponeva, d’altro canto, risulta evidente anche dal fatto che oltre un anno prima di accettare l’offerta del Ministro Martelli decise di partecipare alle elezioni per il rinnovo del Csm, nonostante fosse già evidente la diffusa avversione della magistratura organizzata nei suoi confronti.

Ottenne solo un pugno di voti e venne sonoramente bocciato dai suoi colleghi. Martelli divenne ministro della Giustizia il primo febbraio 1991. Uno o due giorni dopo mi chiese di fargli da consulente. Tra i miei primi suggerimenti vi fu quello di chiamare Falcone alla Direzione generale degli affari penali. Non essendo sicuro della sua disponibilità ad accettare quell’incarico, Martelli volle che fossi io a consultarlo preventivamente. Gli telefonai a casa (era ora di cena) dall’ufficio della dott. Liliana Ferraro. Prima di darmi la sua disponibilità Falcone mi chiese se ritenevo che Martelli avrebbe assecondato quelle iniziative riformatrici in materia di coordinamento delle attività del pm e di innovazione tecnologica delle quali lui ed io avevamo spesso parlato.

Gli dissi di sì. Tornai quindi dal ministro per dargli la disponibilità di Falcone. Ne fu molto contento e gli telefonò subito. Il giorno dopo Falcone venne a Roma e accettò l’offerta di Martelli. Il Csm deliberò il suo trasferimento al Ministero della giustizia il 27 febbraio. A riprova che tra le motivazioni di Falcone non vi fosse quella di “scappare” da Palermo vi è un episodio che chiaramente mostra come egli non volesse in nessun modo che il suo trasferimento al Ministero potesse essere mal interpretato.

Scoraggiamo chi ancor oggi pretende di aver ricevuto confidenze che accrediterebbero la storiella della sua fuga dalla Sicilia di Falcone al Ministero, Martelli aveva richiesto che venisse trasferito da Palermo al suo Dicastero anche il pm Giuseppe Ayala il quale desiderava lasciare Palermo perché temeva per la sua sicurezza. Falcone mi telefonò e mi disse che nel caso anche Ayala fosse venuto al Ministero egli avrebbe ritirato la sua disponibilità al trasferimento.

Non era per lui accettabile che si potesse pensare che anche lui lasciava Palermo per paura della mafia. Cercai Martelli senza riuscire a trovarlo. Telefonai allora al suo capo di gabinetto, Giuseppe Verde, il quale mi disse che Martelli era irreperibile. Mi disse anche che il Csm era in procinto di decidere il trasferimento di Ayala e che in assenza del Ministro lui non poteva far nulla per impedirlo. Sapendo che avevo rapporti di collaborazione anche con il Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, Verde mi suggerì di telefonargli perché chiedesse al magistrato del Csm responsabile della pratica relativa ad Ayala di ritardarne la trattazione fino al ritorno del Ministro Martelli. Lo feci immediatamente e subito dopo Cossiga mi ritelefonò per dirmi che la trattazione del trasferimento di Ayala era stata rinviata.

Falcone assunse quindi le sue funzioni al Ministero della Giustizia il 13 marzo 1991. Le iniziative di innovazione che promosse insieme a Martelli nel periodo in cui fu Direttore generale del Ministero sono in piena concordanza con quelle da lui in precedenza indicate, nei suoi scritti, come necessarie ad una più efficiente lotta alla criminalità organizzata.

Anche e soprattutto questo avrebbe dovuto scoraggiare chi ancor oggi pretende di aver ricevuto confidenze da Falcone che accrediterebbero la storiella della sua fuga da Palermo per dissapori col procuratore della Repubblica Giammanco.