Fonte: editorialista/    Elena Tebano

Ci sono: un olandese 59enne dai lunghi capelli biondi, che va in giro con cappotti di pelle nera, si fa chiamare Xennt in onore della sua passione per la fantascienza e ha fondato una comune libertaria autoproclamatasi Repubblica secessionista di Cyberbunker; un ex rifugio antiatomico tedesco costruito sotto un gruppo di caserme naziste e difeso da un branco di rottweiler; un boss mafioso irlandese specializzato in traffico internazionale di droga tra il Marocco e la Spagna, soprannominato il Pinguino; un intero piano riservato a computer che consumano 15 mila euro di elettricità al mese e custodiscono i dati dei siti più disparati: da Wikileaks, alla formazione eversiva di estrema destra tedesca Movimento identitario, a Wall Street Market, uno dei più grandi mercati illegali del dark web, la sezione della rete inaccessibile ai normali motori di ricerca. E ancora: un programmatore anarchico dell’”estrema destra” libertaria, probabilmente paranoico e sospettato di aver creato uno strumento per navigare tra le altre cose siti pedopornografici; una società che vende ai criminali europei telefoni completamente criptati, impossibili da intercettare; un gruppo di cyberpoliziotti che sembrano una confraternita di nerd; un agente infiltrato come giardiniere e un raid con 650 tra agenti e forze speciali nel ristorante di un villaggio bucolico.

Sono gli ingredienti incredibili della più grande storia di cronaca nera dell’anno, che riguarda una presunta organizzazione accusata di fornire le infrastrutture per le reti criminali online, «rendendo possibili i loro crimini», dai traffici di armi e droga alla pedopornografia, come ha detto Jürgen Brauer, il procuratore tedesco che ha guidato le indagini.

Una storia così complessa e intricata che anche i media hanno fatto fatica a raccontarla: dopo la notizia degli arresti, il 26 settembre scorso, riportata da Ap e dal sito specializzato in sicurezza informatica Krebsonsecurity, l’ha ricostruita prima una lunga inchiesta dello Spiegel (qui in inglese) e adesso un’altra del New Yorker, che permette di aggiungere nuovi elementi.

Al centro ci sono le attività messe in piedi da Herman-Johan Xennt, un pioniere della rete, convinto da sempre che il web debba essere uno spazio di libertà assoluto, nascosto dalla «tirannia» dei governi. Xennt, che fin all’infanzia aveva una fascinazione per le astronavi, la fantascienza e i bunker (amava viverci e voleva esserci seppellito una volta morto), nel 1995 ha comprato un primo rifugio sotterraneo, a Goes, una città olandese, e lo ha riempito di computer, pubblicizzando i suoi server «a prova di bomba» e affittandoli per i gestori di siti internet. Tutti i siti e i loro dati devono infatti essere salvati «fisicamente» da qualche parte: che sia un pc o un server, cioè un computer mantenuto sempre in funzione. Xennt con la sua società Cyberbunker forniva i server ai gestori dei siti e si occupava della loro gestione in cambio di un affitto mensile, sostenendo che stando nel bunker erano «impenetrabili». Lui e i suoi soci «sono noti per fare da host (cioè ospitare sui propri server, ndr) a truffatori, pedofili, tutti. È una cosa che fanno da secoli e sono famosi per questo» ha detto a Krebsonsecurity Guido Blaauw, direttore di Disaster-Proof Solutions, un’azienda che ristruttura e rivende vecchi bunker militari e rifugi sotterranei, tra cui quello di Xennt a Goes. L’olandese lo ha venduto dopo che nel 2002 ha preso fuoco: i pompieri nello spegnerlo hanno scoperto che l’incendio era stato causato da un’esplosione in un laboratorio di metanfetamine. Xennt ha perso la licenza per fare affari in Olanda, ma non è stato incriminato: ha detto di essersi limitato ad affittare un piano del suo bunker, senza sapere cosa ci facessero dentro gli affittuari.

È lo stesso argomento in base al quale i suoi server potevano ospitare attività criminali senza che lui venisse incriminato: secondo la legge olandese e quella tedesca è legale fare da host a un sito web contenente materiale illecito, purché chi lo ospita non sia a conoscenza del contenuto e non assista attivamente il proprietario del sito in comportamenti illegali.

Nel 2013 Xennt ha comprato un altro bunker, nella cittadina tedesca di Traben-Trarbach, seimila abitanti vicino al confine con il Belgio, e ha riaperto oltreconfine la sua azienda, Cyberbunker. Il nuovo bunker aveva cinque piani, di cui 4 sottoterra, era grande circa 5500 metri quadrati ed era «progettato per resistere a un attacco nucleare» scrive il New Yorker. Comprendeva un magazzino capace di contenere viveri per 80 giorni, un gruppo di alimentazione elettrica di emergenza e cisterne per più di un milione di litri di acqua potabile. Le pareti di cemento, spesse trentuno centimetri e in parte rivestite di rame, erano insonorizzate e schermate, la temperatura interna stabile a 21 gradi. Tra il 1978 e il 2012, il bunker era stato il quartier generale della divisione meteorologica dell’esercito tedesco.

Xennt vi si è trasferito insieme al programmatore anarchico con cui già lavorava, Sven Kamphuis, e con cui dopo l’incendio nel rifugio di Goes aveva pubblicato una dichiarazione di indipendenza per un nuovo Stato, la Repubblica di CyberBunker, di cui si erano autoproclamati sovrani. Insieme a loro c’erano sempre varie persone, in una sorta di comune libertaria e nerd, compreso un cuoco con la pettinatura da moicano, un giardiniere, programmatori che andavano e venivano, amici dal variegato mondo di internet, le ragazze di Xennt (che dormiva nel bunker con lenzuola nere e una statua a grandezza naturale dell’eroe Marvel War Machine), e i suoi figli più grandi, avuti dall’ex compagna.

Le attività di Xennt sarebbero potute andare avanti ancora a lungo se non fosse che a un certo punto, nel 2015, nel bunker è comparso un certo «Mr. Green», ovvero George Mitchell, un irlandese soprannominato “Il Pinguino” sospettato di essere uno dei più importanti trafficanti di droga europei, arrestato negli anni 80 per aver venduto computer rubati, e poi trasferitosi all’estero, tra la Spagna e il Marocco (Mitchell respinge tutte le accuse e dice di essere un onesto imprenditore che si occupa di import-export). La sua presenza ha attirato l’attenzione delle autorità tedesche, già insospettite da Xennt e dal suo bunker. Secondo la ricostruzione del New Yorker, Mitchell è entrato in affari con Xennt per creare un sistema di comunicazione a prova di intercettazioni: app per chiamate e messaggistica cifrate, impossibili da decodificare. Mitchell, ormai sessantenne, voleva abbandonare il traffico di droga, diventato troppo pericoloso, e avrebbe fatto da finanziatore e rappresentante di commercio a Xennt: è stato intercettato mentre cercava di vendere la app ai cartelli di droga colombiani e alle bande di motociclisti di Mallorca. È un business che su larga scala può fruttare anche 80 milioni di dollari l’anno.

Gli inquirenti tedeschi non hanno ottenuto abbastanza prove per incriminare Mitchell. Ma hanno capito che Xennt poteva essere il centro di molti traffici. Così un team di giovani cyber-agenti ha costruito un finto sito del dark web e ha contattato Cyberbunker per comprare spazi sui loro server. Grazie anche a un poliziotto infiltrato come giardiniere nella proprietà di Xennt (oltre al bunker comprende un gruppo di ex caserme naziste dove erano alloggiati gli altri membri della sua comune/organizzazione) sono riusciti a ottenere abbastanza elementi per chiederne l’arresto. E hanno organizzato il raid attirando tutti i residenti del bunker in un ristorante di Traben-Trarbach, dove sono intervenute anche le forze speciali.

In autunno inizierà il processo, ritardato finora dall’epidemia di coronavirus. «I giudici non sono in una posizione invidiabile. Anche se è chiaro che il bunker era una sorta di centro nevralgico tecnico, un servizio di hosting fondamentale per il dark web, per numerosi siti internet criminali e mercati dubbi, sarà probabilmente molto difficile dimostrare che gli operatori conoscevano e sostenevano ciò che vi accadeva. E se lo Stato non sarà in grado di provarlo, sarà una significativa sconfitta per la Legge» scrive lo Spiegel. Gli inquirenti hanno sequestrato 2 miliardi di megabite di materiale: dicono che in quello analizzato finora non hanno trovato neppure un sito legale. Xennt ovviamente sostiene di essere assolutamente innocente e di essere stato incastrato perché le autorità non volevano che andasse avanti con la sua app per le comunicazioni sicure. Quello che c’era sui siti, sostiene, non era affar suo, ma «un segreto dei suoi clienti».