Strage di Bologna. L’appello dei legali di Cavallini “Mattarella desecreti gli atti”

Fra i documenti top secret quelli della commissione Moro: “Lì la verità”. La difesa dell’ex Nar Gilberto Cavallini, condannato in primo grado all’ergastolo a gennaio per concorso nella strage del 2 agosto, chiama in causa direttamente il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, alla vigilia della sua visita in città per commemorare le vittime delle stragi di Ustica e della stazione.

Gli avvocati Gabriele Bordoni e Alessandro Pellegrini lanciano un appello affinché la prima carica dello Stato intervenga “per togliere il segreto sulle carte della commissione di inchiesta sul caso Moro”. Per i due legali – e non solo per loro – in quelle carte e nel carteggio tra gli ufficiali dei servizi di Roma e di Beirut tra il 1979 e il 1980 ci sarebbe “la verità sulla strage”. Diversa da quella scritta dalle sentenze passate in giudicato secondo le quali, appunto, gli esecutori materiali furono i Nar.

“È una legge vergognosa e inqualificabile – attacca Bordoni – quella che permette che, caduto il segreto di Stato dopo 30 anni, rimanga il segreto amministrativo. Il presidente della Repubblica dovrebbe intervenire. Siamo pronti anche a ricorrere alla Consulta”. I legali ricordano anche che “il ministro della Giustizia Alfonso Buonafede e altri esponenti del governo negli ultimi due anni sono venuti alle commemorazioni a dire che tutte le carte sono ormai disvelate ma non è così, ci hanno preso in giro”.

Altre carte “classificate” sono contenute nel fascicolo d’indagine della Procura generale che ha chiesto il rinvio a giudizio, nell’ambito dell’inchiesta sui mandanti della strage, di Paolo Bellini, ex di Avanguardia nazionale, e di altre tre persone accusate di depistaggio, tra cui due ex ufficiali dei carabinieri. La difesa di Cavallini ha ottenuto dal gip il permesso di visionare il fascicolo ma non il faldone di carte “classificate” dai servizi segreti e chiedono di rimuovere questo diniego. Inoltre, mentre si attendono le motivazioni della condanna in primo grado di Cavallini, fanno sapere che in Appello impugneranno le ordinanze con cui la Corte d’Assise ha rigettato una serie di richieste della difesa, tra le quali quella di sentire come teste il terrorista filopalestinese Carlos, detenuto in Francia, che dice di conoscere retroscena sulla strage, e quella di eseguire il test del dna sui resti di sette vittime donne, per capire se il lembo di volto rinvenuto nella tomba di Maria Fresu appartenga a loro. La perizia medico-legale ha escluso che appartenesse all’unica vittima che sembra essere stata disintegrata dall’esplosione.

Bordoni e Pellegrini, inoltre, rifiutano l’ipotesi della Procura generale secondo cui il Venerabile maestro della P2 Licio Gelli finanziò la strage con 5 milioni di dollari sottratti dal crac del Banco Ambrosiano, di cui uno consegnato in contanti ai Nar il 31 luglio 1980. “È impensabile – dicono – che ci siano stati rapporti tra i Nar e Gelli, che depistò le indagini contro di loro”, “si vogliono processare i morti” dicono.

Nelle carte della Procura generale c’è poi un’intercettazione ambientale in cui Carlo Maria Maggi, esponente di Ordine nuovo condannato per la strage di Brescia, dice alla moglie e al figlio parlando di Giusva Fioravanti: “Eh… intanto lui ha i soldi”. Era la sera del 18 gennaio 1996. “Qua nei nostri ambienti – prosegue poi Maggi – erano in contatto con il padre di sto’ aviere… e dicono che portava una bomba”. Per l’accusa Maggi parlava di Paolo Bellini, che aveva il brevetto da aviatore. Gli avvocati di Cavallini precisano che “non sono dimostrati rapporti tra i Nar e il signor Bellini”.

Fonte: di Andreina Baccaro/  Corriere della Sera, 30 luglio 2020