Nazionalismo accattone

(di Stelio W. Venceslai)

Cerchiamo di capire cosa sta succedendo a Bruxelles.

            Dunque, l’Unione europea propone agli Stati membri due misure d’intervento. La prima, derivata dal MES, uno strumento già esistente da tempo, finalizzato ad interventi sanitari: un prestito senza condizioni, peraltro da definire dal punto di vista giuridico ed in merito al cui possibile utilizzo c’è ancora una grande confusione in Italia.

            Il secondo è il Recovery Fund,o Fondo per la ricostruzione post pandemia, un intervento finanziario massiccio, nuovo, in parte a fondo perduto e, in parte, quella più importante, sotto forma di prestito a tassi agevolati, proposto dalla Commissione su ispirazione franco-tedesca. E’ di questo nuovo strumento finanziario che si discute a Bruxelles, perché se ne deve stabilire il quantum, la ripartizione tra aiuti a fondo perduto e prestiti, decidere in concreto gli obiettivi, le procedure, le regole di approvazione.

            Il Consiglio dell’Unione è diviso tra i Paesi, cosiddetti “frugali” (Paesi Bassi, Austria, Danimarca e Svezia, con Finlandia e Slovacchia, ma forse possiamo mettere nel sacco anche l’Ungheria e la Repubblica Ceca)) e quelli mediterranei (Francia, Italia, Spagna, Portogallo e, suppongo, Grecia e Cipro).

            In mezzo c’è la Presidenza di turno, che è tedesca, con un peso massimo, la Merkel, che si gioca il ruolo di mediatore in un momento importante della vita comunitaria con un Presidente della Commissione anch’essa tedesca, la von der Layen.

            I Paesi “frugali”, e per essi, in particolare, i Paesi Bassi, non sono d’accordo con la proposta della Commissione. La ritengono eccessiva dal punto di vista dell’impegno finanziario, e quindi vorrebbero ridurlo. Inoltre, vorrebbero diminuire, se non annullare, il contributo a fondo perduto, che ritengono che sia un principio da non accettare con  un’esposizione finanziaria eccessiva per il bilancio comunitario.

            Contro i Paesi “frugali” sono, ovviamente, i Paesi mediterranei e, in particolare l’Italia, tra i più bisognosi di un intervento comunitario.

            Cosa vuole l’Italia? Quattrini, possibilmente senza condizioni e con gli interessi più bassi possibili. Ovviamente.

            Che dice l’Olanda, in rappresentanza dei “frugali”? I quattrini sono troppi e di contributi a fondo perduto non se ne parla neppure, visti i vostri precedenti e il vostro indebitamento. Poi l’Olanda chiede: comunque, questi aiuti vi servono per fare che?

            L’Italia risponde: investimenti per l’innovazione, l’economia verde, le infrastrutture, le energie alternative.

            L’Olanda dice: queste sono chiacchiere. Sono decenni che lo dite e non lo fate mai. Non ci fidiamo. Se volete i nostri quattrini dobbiamo sapere dove vanno a finire, anche per evitare che finiscano nelle mani della mafia, se va bene, o altrove. Non lo diciamo noi, lo dice la vostra stampa e la vostra magistratura.

            L’Italia risponde: il piano non ce l’abbiamo ancora ma lo stiamo facendo (il che non è vero).

            L’Olanda dice: bene,  fateci vedere quello che volete fare. Se siamo d’accordo, ok, avrete i nostri soldi.

            L’Italia dice: il nostro piano è solo di competenza nostra. Ne va della nostra sovranità e della dignità nazionale.

            Risposta olandese: e allora niente soldi. Siamo in una Comunità e i quattrini sono di tutti. La sovranità non c’entra.

            L’Italia chiede: e chi dovrebbe decidere se il piano è buono o no?

            Qui si apre un altro contenzioso. L’Olanda risponde: chi paga e, cioé, il Consiglio con votazione unanime (il che è evidentemente una sciocchezza, perché con l’unanimità non si va da nessuna parte).

            L’Italia ritiene, invece, che dovrebbe essere la Commissione (più manovrabile), il che sarebbe peraltro più ortodosso.

            Però l’Olanda (e gli altri) non si fidano. Sono troppe le cose appena iniziate e rimaste a metà, in Italia, o completate, e male, dopo trent’anni (la Salerno-Reggio Calabria, il Mose e così via). Quindi pretende un controllo regolare degli Stati membri sugli stati di avanzamento dei lavori in Italia. Non vogliono più fregature.

            Ovviamente, l’Italia non ci sta e risponde: ma voi avete le tasse più basse delle nostre, voi come il Lussemburgo e l’Irlanda. Questo ci danneggia. E’ concorrenza sleale.

            Risponde l’Olanda: che c’entra? Questo è un altro problema. Fino ad ora non avete mosso un dito per sanare questa situazione e, poi, se voi tassate troppo, questo è un problema vostro, non nostro. Noi, i soldi del contribuente non li buttiamo dalla finestra.

            Questo tema merita una riflessione a parte. Dopo settant’anni l’Unione europea non ha fatto nulla in materia. L’armonizzazione fiscale è un miraggio, perché conviene a tutti. Mi spiego: se un Paese A tassa all’80% e un Paese B al 20%, è evidente che gli investimenti vanno dove la tassazione è minore (i paradisi fiscali).

            In una Comunità seria questo non dovrebbe accadere, perché da una politica fiscale comune discenderebbe un’analoga politica finanziaria comune tale da supportare l’azione della Banca europea che, solo con la manovra monetaria, ha poco spazio per influire decisamente sullo sviluppo dell’economia dei Paesi membri.

            Perché fino ad ora non s’è fatto? Perché non conviene a nessuno.

            Tra il 75 e il 25% di tassazione, una ragionevole soluzione mediana porterebbe alcuni Paesi a diminuire la tassazione e altri a rialzarla per raggiungere un livello comune.

            Mi figuro le proteste degli Olandesi, dei Lussemburghesi, degli Irlandesi, che dovrebbero pagare di più, e lo sconcerto dei governanti nostrani che spremono le tasse, (pagate per l’80% dai contribuenti a reddito fisso) in tutti i modi, per le pezze a colore più impensate.

            Aggiungo: ci rimettono i Paesi che fanno pagare di meno? No, perché i vantaggi fiscali attirano gli investimenti esteri, danno lavoro e ricchezza, esattamente il contrario di ciò che avviene da noi. Quello che perdono in tasse rientra in altro modo. Da noi esce soltanto.

            In conclusione: politiche sbagliate, negoziati in perdita, compromessi da quattro soldi. I “frugali” non ce l’hanno con noi, come certi populisti vorrebbero far credere, ma con il nostro pessimo modo di amministrare lo Stato e di muoversi nel contesto internazionale. Non basta fare la faccia feroce quando si chiedono quattrini senza dare una garanzia minimale di serietà. E il nostro, purtroppo, non è un Paese serio. Bengodi è finita, grazie alla pandemia.

            Non ci sarà da ridere nei prossimi mesi.