Sono decine quelli in aspettativa o “fuori ruolo presso altri uffici”. Intanto Bruxelles ci bacchetta: in Italia processi troppo lenti. Fare il magistrato? Sempre meglio che lavorare. Lo si dice con il dovuto rispetto, figurarsi, e ammettendo subito che la battuta nasce in riferimento ai giornalisti.

E tuttavia, per capire che siamo in buona compagnia e che c’è qualcosa di schiettamente disfunzionale nel mondo dei togati italiani, basta sfogliare il rapporto annuale sullo stato dei sistemi giudiziari dell’Ue appena diffuso dal commissario europeo alla Giustizia, il belga Didier Reynders, e concedersi subito dopo una breve passeggiata sul sito del Consiglio superiore della magistratura.

Reynders non fa che confermare quanto Bruxelles sostiene ormai da anni: in Italia la giustizia è lenta, non troppo indipendente e sempre meno popolare; per arrivare a una sentenza di primo grado ci vogliono poco più di 500 giorni, che possono diventare 1.200 per giungere al verdetto della Cassazione. Il che, in estrema sintesi, è dovuto a un sistema troppo farraginoso nel quale si contano ogni cento abitanti almeno 4 contenziosi affidati a un organico largamente insufficiente: 9.408 sarebbero infatti i magistrati in servizio secondo le ultime stime ufficiali risalenti al 2017 (più di tre anni fa!). Di qui il bisogno di riformare la giustizia il prima possibile e di allargare gli effettivi chiamati a farla funzionare.

Nel frattempo, e veniamo così al Csm e ai suoi mirabili appannaggi, non sarebbe il caso di far lavorare i 200 e più togati fuori ruolo che rappresentano oltre il 2 per cento dell’organico? Domanda retorica, convalidata da uno sguardo attento ai nomi e alle funzioni all’origine della non trascurabile voragine in questione. Ebbene, tolti i 2 magistrati in aspettativa per congiungimento coniugale e altri 20 sottratti al loro lavoro per via degli incarichi elettivi (3 sono in Parlamento; 16 vengono impegnati nel Csm e uno, il governatore pugliese Michele Emiliano, risulta “in aspettativa per assumere funzioni di governo”), ce ne sono 149 “fuori ruolo presso altri uffici o enti” e altri 44 “fuori ruolo non rientranti nel limite dei 200”.

In quest’ultimo blocco figurano 18 togati allocati tra la segreteria e l’Ufficio studi del Csm, 22 parcheggiati alla Corte Costituzionale come assistenti di studio e 4 al servizio del Quirinale (un consigliere giuridico, un collaboratore dell’Ufficio affari dell’Amministrazione della Giustizia e due segretari generali della Presidenza della Repubblica). Ma è indagando sul grosso della truppa dei presenti/assenti, ovvero quei 149 magistrati dislocati “presso altri uffici o enti”, che si scoprono i dettagli rivelatori dell’indispensabile casta instradata sulla via di una progressiva (auto) delegittimazione.

Stiamo parlando di una lunga lista di persone verosimilmente preparate e meritevoli, le quali tuttavia occupano alcune postazioni tanto prestigiose quanto sindacabili circa la loro utilità. Si va dal presidente e dal capo di gabinetto dell’Autorità garante per la Concorrenza e il Mercato fino a un fantomatico giudice del Tribunale speciale per il Libano (con sede a l’Aja), passando per una pletora di quasi 80 togati impegnati al ministero della Giustizia con le funzioni più disparate: a parte i direttori degli uffici più importanti come il personale e la formazione o gli affari legali, la maggior parte di loro è rubricata al servizio di non meglio precisate “funzioni amministrative”; altri fanno gli ispettori generali, altri ancora si occupano di sistemi informativi automatizzati o collaborano con il gabinetto del ministro Alfonso Bonafede.

Parecchio lontani dal Guardasigilli sono invece i fortunati “esperti giuridici” presso le ambasciate o meglio ancora i “magistrati di collegamento” con i dicasteri gemelli degli altri Paesi, come il Marocco e l’Albania o il Principato di Monaco (ufficio di cui s’indovina subito l’importanza strategica). Vengono poi i giudici internazionali o gli “esperti distaccati” alla Corte penale internazionale, alla Corte di Giustizia dell’Unione europea e a quella dei Diritti dell’uomo.

Non mancano un “International Prosecutor” stanziato nei Paesi Bassi in quota “Kosovo Specialist Chambers” e alcuni “Esperti della rappresentanza permanente per l’Italia” all’Onu ma anche in Perù o a Vienna e naturalmente a Bruxelles e Strasburgo (Consiglio d’Europa). Meno fortunata, a quanto pare, la “Judiciary expert” inviata a Ramallah assieme alla sua “Prosecution Expert”.

Al loro confronto, possono perfino sembrare pochi i sei magistrati occupati nel Consiglio direttivo della Scuola Superiore della magistratura… E così siamo ritornati entro i confini nazionali, dove almeno 4 togati esercitano il mestiere nella Commissione parlamentare Antimafia; due in quella che si occupa del Ciclo dei rifiuti (non è uno scherzo, c’è scritto così); cinque assistono Luigi Di Maio alla Farnesina, tra Cooperazione e sviluppo e affari legali; altri sono stati piazzati negli uffici legislativi dei ministeri dei Trasporti o dell’Ambiente o alla Salute.

Beati loro? Chissà. Dopotutto, chi siamo noi per giudicare la qualità professionale e l’importanza di certi servigi resi dai magistrati alla Repubblica italiana?

Di una cosa tuttavia possiamo essere certi: quando le nostre vicende giudiziarie finiscono seppellite nei cassetti dei tribunali più ingolfati d’Europa, è lecito ricordarsi anche dei magistrati fuori ruolo che transitano per le porte girevoli di un sistema lubrificato molto selettivamente e di rado a beneficio del cittadino comune. I nomi? Per lo più sono sconosciuti: uno vale uno, come abbiamo appreso dal partito dei giudici che governa da Palazzo Chigi; il problema è che la somma non fa il totale del fabbisogno e i conti della giustizia, in Italia, ancora non tornano.

Fonte: di Alessandro Giuli/ Libero, 13 luglio 2020