Perché Calenda?

(di Stelio W. Venceslai)

 Da un po’ di tempo sono molte le persone che mi parlano o mi scrivono di Calenda. Il suo movimento “Azione” è ancora un cucciolo ma ogni intervento del suo leader, in televisione, lascia il segno.

            Indubbiamente è un uomo, considerazione ovvia solo a guardarlo, ma sembra con la U maiuscola. Non siamo più abituati a questo genere di persone ma, piuttosto, a citrulli mal vestiti e ignoranti, pieni di sussiego. Dando una sbirciata alla sua vita, ha fatto un po’ di tutto. Ha una laurea in giurisprudenza e ha cominciato a lavorare nel settore finanziario prima e, poi, alla Ferrari, con Cordero di Montezemolo. Uomo d’industria, quindi, un manager.

            Entrato in politica ai tempi di Monti, e non eletto, nel 2013, con i governi Letta e Renzi viene nominato vice Ministro dello Sviluppo economico, con delega al Commercio Estero. Per un paio di mesi fa il Rappresentante permanente italiano presso l’Unione europea, ma poi Renzi lo richiama a Roma con l’incarico di Ministro dello Sviluppo Economico, riconfermato dal governo Gentiloni.

            Nel marzo del 2018 aderisce al Pd e nella sua circoscrizione nord-orientale viene eletto con il più alto numero di preferenze al Parlamento europeo. Uscirà dal Pd nell’agosto 2019, con l’avvento del governo giallo-rosso e fonda un suo movimento politico: “Azione”. Quindi, è anche un uomo d’amministrazione e un politico.

            A giudicare da questo breve curriculum è anche un uomo agitato che cerca un suo spazio nella politica. Nulla di male, perlomeno ha le carte in regola. Formalmente, si presenta come un liberal-socialista con venature democristiane, pericolosamente buono a tutti gli usi. Ma abbiamo visto di molto peggio.

            Si fa spazio tra la gente “bene”, i benpensanti e quelli che non votano più perché sono disamorati della politica. Un terreno molto fertile, se ci sa fare. Diciamolo pure, si presenta bene, non urla, ragiona con calma, è informato e, soprattutto, è educato. Di questi tempi, è un animale insolito.

            Ci sono però, alcune ombre su ciò che vorrebbe fare da grande.

            La prima ombra è quella d’essere entrato nel Partito democratico. Stimandolo persona coscienziosa, è un mistero capire da cosa sia stato attratto, forse dalla gratitudine nei confronti di Letta e di Renzi e di Gentiloni. Ne è uscito, onore al merito, non condividendo la scelta del Pd (e di Renzi) di associarsi nel governo con 5Stelle.

            La seconda ombra è data dalla natura troppo ambigua della sua proposta politica: un occhio a destra (Forza Italia), un occhio a sinistra (Righetti), un occhio al centro che non c’è (i latitanti del voto e i benpensanti). Sa troppo di ammucchiata futura e di salvataggio di formazioni in declino.

            La terza ombra, ma più che altro è una perplessità, riguarda il futuro politico del suo movimento. Al momento ha percentuali molto basse, quasi al di sotto di quelle d’”Italia Viva” di Renzi, il che è tutto dire. Ma non si sa mai. L’umore dell’elettorato è mutevole.

            La questione fondamentale è la sua proposta politica. Dove vuole andare? Al governo certo, ma con chi?

            Gli spazi attuali, in Parlamento, visto che ormai non si vota più, sono lo specchio un po’deformato dei risultati delle ultime elezioni. È un po’ deformato perché ci sono partiti minori o “minorissimi”, come LEU o Italia Viva, partiti in evidente declino (come Forza Italia), partiti divisi al loro interno da faide ideologiche per noi di scarsa importanza (v. 5Stelle).

            Con 5Stelle, la Lega e Fratelli d’Italia, almeno al momento, sembra da escludere un accordo. Ciò che resta è ben poca cosa, solo Forza Italia e il Partito democratico. Su Berlusconi si può contare. Tale è la smania di tornare ad essere importante sulla scena politica, anche se il suo partito è a pezzi, che sarebbe pronto a qualunque accordo. Non dimentichiamo la squallida vicenda del Patto del Nazzareno fra Renzi e Berlusconi, ma allora tirava tutt’altra aria: occorreva eleggere il Presidente della Repubblica e Renzi era sulla cresta dell’onda. Che Forza Italia, nata con un anticomunismo viscerale, facesse la corte al Partito democratico, sembrò uno scandalo solo a qualcuno.

            Poiché Calenda, da questo punto di vista, ha le mani pulite, perché nel Pd c’è entrato e poi ne è uscito, l’affare si potrebbe fare.

            Calenda si presenta bene ai benpensanti, che sono in gran parte ancora in Forza Italia. Sarebbe una proposta di destra-centro con un ammiccamento a sinistra. Ma i voti?

            Il vero problema è tutto lì. Azione e Forza Italia, se raggranellassero un 10%, avrebbero raggiunto un grande risultato, ma non basterebbe. C’è, però, la sirena del Pd, messo alle corde dalla faticosissima convivenzacon 5Stelle. Tutta quest’operazione nuova, dunque, potrebbe partire con i voti di Calenda, (quelli che riuscisse a raccogliere con la sua “Azione”), con gli stracci di Forza Italia e l’apporto del PD.

            Francamente, se questo è il nuovo che propone Calenda, ne farei volentieri a meno.

            Certo, se un bel giorno si andasse a votare, i risultati elettorali darebbero numeri e rappresentanze diversi e un nuovo Parlamento, con il ridimensionamento di un po’ tutti i partiti oggi presenti, si presenterebbe con un aspetto numerico diverso.

            La sfida elettorale, se mai ci sarà, potrebbe vedere l’inerte massa dei non votanti optare per il nuovo, rappresentato da Calenda, sempre che la sua campagna elettorale fosse diretta a risvegliare le coscienze e a raccogliere consensi anche tra gli sfiduciati, un’operazione, peraltro, tentata da tutti e sempre molto difficile.

            È su questo terreno che si gioca il cambiamento che tutti auspichiamo, non sulle pseudo riforme annunciate, gridate e poi lasciate a metà tra polemiche e inutili vertici.

            Un cambiamento che non sia il passaggio da una poltrona ad un’altra, ma verso  un futuro cui nessuno pensa ma che ci attende al varco, una volta finita la pandemia. Perché occorrerà ristrutturare tutto e non immaginare ingenuamente di restaurare il passato. È sulla previsione del futuro che si giocano le vere sorti del Paese.