Una tazzina di parole ogni giorno sul Corriere della Sera. “Il caffè è un rito quotidiano, una pausa, un piacere e anche un luogo di incontro in cui si discute, si scherza, ci si sfoga e ci si consola”.

Perché l’estate si è portata via la paura? Le spiagge registrano ammucchiate di corpi degne di un raduno hippy del secolo scorso e i pochi asociali che si ostinano a indossare la mascherina lo fanno per timidezza, avendo cura di non coprirsi troppo il naso. Persino il famigerato doppio bacetto di saluto sulle guance, la cui scomparsa sembrava una delle poche conquiste felici di quest’anno disgraziato, sta tornando alla ribalta come gesto trasgressivo. E sì che nel mondo i contagi non sono mai stati tanto alti, in Mongolia è addirittura tornata la peste bubbonica (con il conseguente divieto di mangiare le marmotte) e in Italia i litigi nel Pd. Ogni giorno i virologi aumentano la dose, disegnando scenari da incubo: quello di ieri descriveva un Covid col turbo capace di sfrecciare nell’aria senza autovelox. Per molto meno, a marzo ci saremmo nascosti dentro un armadio. Adesso non funzionano nemmeno le minacce di Zaia contro gli sciagurati che violano «l’isolamento fiduciario», altra espressione strepitosa della neolingua del virus.

Tutti si chiedono che cosa abbia trasformato i cavernicoli di ieri nei tarantolati di oggi. Il caldo, le divisioni tra scienziati, la sensazione di cessato pericolo. Io ci vedo anche una certa incapacità di adattamento alla Fase Due. Non funzioniamo come le manopole, dosabili secondo necessità, ma a scatti, come gli interruttori. O accesi o spenti, o liberi o prigionieri. Le vie di mezzo sono per gli esseri evoluti. Noi mangiamo ancora le marmotte.

Fonte: di Massimo Gramellini | 07 luglio 2020/ Il caffè del Corriere della Sera