Lapidato post mortem, le toghe contro Amedeo Franco

L’Anm dovrebbe aprire una riflessione sulla crisi di credibilità della giurisdizione. La veridicità del racconto del giudice dovrà essere accertata ma non sarà un fiume di indignazione e ostentato stupore a renderla inverosimile. Che un giudice di Cassazione, relatore ed estensore di una sentenza confermativa della condanna, abbia voluto insistentemente incontrare l’imputato, per dirgli quanto ingiusta fu la sentenza da lui stesso scritta (ed in verità inusitatamente vergata da tutti i componenti del Collegio in ogni sua pagina), è obiettivamente un fatto anomalo ed eccezionale. Sono dunque legittime, ed anzi doverose, cautela e prudenza nella valutazione di questa vicenda molto, molto particolare.

Ma pretendere che questa anomalia debba essere valutata solo nel senso che quel giudice, che certo ora non può più chiarire, fosse sotto ricatto, o altrimenti corrotto, e non anche che abbia potuto raccontare una clamorosa verità, è tipico della più testarda autoreferenzialità che connota ormai da tempo la voce politica della magistratura italiana.

Lasciamo perdere il circo Barnum politico-mediatico che scatta appena pronunci le prime lettere della parola “Berlusconi”: si tratta di un circuito politico-editoriale che ha costruito le sue fortune su ogni possibile forma di colpevolezza del Cavaliere, non potremmo aspettarci altro. Ma è davvero sorprendente come i vertici politici della magistratura italiana non siano capaci di comprendere ciò che questa vicenda – i cui esatti termini saranno valutati da chi è funzionalmente deputato a farlo – evidenzia già in modo inequivocabile.

E cioè che questa storia di una vicenda giudiziaria pesantemente orientata alla eliminazione politica di un protagonista della vita pubblica, nessuno ancora sa se sia vera, ma siamo tutti, ma proprio tutti certi che sia almeno verosimile. Non c’è una sola persona di buon senso, sia tra gli addetti ai lavori che tra la gente comune che, ascoltata la voce (spregiudicatamente registrata) di quel giudice da tutti apprezzato e stimato, possa sinceramente trasecolare di fronte al quadro ed al contesto politico-giudiziario che il giudice Franco ha delineato, e dire: ma di quale assurda follia costui sta parlando?

È ben ovvio che il Presidente e gli altri componenti quel Collegio rivendichino orgogliosamente la piena correttezza, indipendenza e libertà del proprio operato; ed anche che l’Anm difenda, fi no a prova contraria, la onorabilità di quei giudici. Ma intanto, anche il giudice Amedeo Franco ha diritto a veder rispettata la sua persona ed il tormento che egli dichiara averlo portato a compiere un gesto così inusitato e grave, prima di essere crocefisso e lapidato post mortem.

E soprattutto, dalla voce politica della magistratura associata ti aspetteresti almeno qualche riflessione in più, nella consapevolezza del generale sentimento di verosimiglianza che suscita quel racconto, in attesa che ne sia appurata con certezza la verità.

Cioè una riflessione sullo stato della credibilità della giurisdizione agli occhi della pubblica opinione, con particolare riferimento alle sue due connotazioni fondamentali: l’indipendenza dalla politica, e l’indipendenza della magistratura giudicante dalla magistratura inquirente (che è poi, se andiamo a stringere, il caso che ci occupa).

Mi chiedo a chi possa essere utile ignorare con tanta iattanza la diffusa ed anzi crescente sfiducia della pubblica opinione, confermata senza eccezioni da ogni possibile sondaggio, nella tenuta di questi due requisiti fondativi della credibilità della giurisdizione. E invece, la presa di posizione inutilmente tonitruante di Anm sulla vicenda sembra né più né meno che la premessa in fatto delle querele già legittimamente annunciate dal Presidente di quel Collegio.

Atteggiamento ancora più allarmante, viste le acque procellose nelle quali già da tempo naviga la magistratura italiana, e dalle quali non credo potrà trarsi in salvo né riducendo la cosiddetta “vicenda Palamara” ad un fenomeno di scarsa etica professionale di un gruppetto di magistrati deviati, né adoperandosi per quella che già si annuncia come la più gattopardesca ed inutile delle riforme ordinamentali. Naturalmente, non occorre per forza pensarla come noi penalisti. Noi, lo sapete, siamo persuasi che l’indipendenza politica e culturale della giurisdizione non possa e non debba essere rimessa né alle virtù etiche e professionali del singolo magistrato, né alla fantomatica “cultura della giurisdizione” (che è poi il minimo sindacale che devi pretendere da un magistrato). Quanto sia illusoria questa strada è oggi sotto gli occhi di tutti.

Noi pensiamo che quella indipendenza debba essere scritta negli assetti ordinamentali: indipendenza della Magistratura dal potere esecutivo, indipendenza del Giudice dagli Uffici di Procura. Non siete d’accordo? Proponete delle alternative serie con le quali confrontarsi, ma abbandonate una volta per tutte abiure e faziosità, e soprattutto aprite gli occhi sulla realtà, ascoltate cosa pensa di voi la pubblica opinione, anche in parte ingiustamente ed ingenerosamente, come sempre accade tuttavia nel giudizio popolare.

A noi sta a cuore la credibilità della giurisdizione almeno quanto sta a cuore a voi. Vogliamo che il nostro giudice non solo sia indipendente dalla Politica e dal peso condizionante della Pubblica Accusa, ma che soprattutto lo appaia, restandone garantito ed anzi blindato dall’assetto ordinamentale, perché nessuno possa mai dubitarne. La voce registrata del giudice Amedeo Franco racconta fatti la cui veridicità dovrà necessariamente essere accertata: ma se pensate che basti un fiume di indignazione e di ostentato stupore a renderla inverosimile, ho davvero l’impressione che stiate da tempo – come si suole dire – guardando un altro film.

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Fonte : di Gian Domenico Caiazza/ Il Riformista, 4 luglio 2020