L’Istat: giovani e donne i più colpiti dalla crisi Diecimila nati in meno
Il 12% delle aziende propenso a tagliare posti di lavoro
Una fotografia dai contorni incerti, scattata nel mezzo di una tempesta chiamata coronavirus che ha sconvolto la società e l’economia. Il Rapporto 2020 dell’Istat è in questo senso unico. Orientarsi è difficile perché l’incertezza è massima, ammettono gli stessi curatori del documento (288 pagine, ricche di grafici e tabelle). Ma quello che appare in maniera evidente è che i problemi di fondo dell’Italia, che probabilmente spiegano anche le tante debolezze emerse nella crisi, escono purtroppo accentuati dall’impatto della pandemia. Le diseguaglianze interne stanno aumentando e il rischio è che la distanza dell’Italia con i Paesi che hanno retto meglio, Germania in testa, si accentui. È vero, come dice il presidente dell’istituto di statistica, Gian Carlo Blangiardo, che gli italiani hanno dimostrato una singolare resilienza e riscoperto valori importanti: dalla fiducia nelle istituzioni al senso civico dimostrato, alla centralità della famiglia. E la crisi ha fatto scoprire novità potenzialmente positive: lo smart working, per esempio, che in teoria potrebbe interessare 7-8 milioni di lavoratori (ma va regolato) e la volontà di perseguire un maggiore equilibrio tra sviluppo e tutela dell’ambiente. Ma resta il rischio di tensioni sociali.
La questione lavoro incombe: il 12% delle imprese è propenso a ridurre l’organico quando termineranno la cassa integrazione e il blocco dei licenziamenti. Più a rischio sono le donne e i giovani, sia quelli col contratto a termine sia quelli che si affacciano per la prima volta sul mercato del lavoro. E c’è una sanità da ricostruire: avevamo 3,5 posti letto in ospedale ogni mille abitanti contro 5 di media nell’Ue e 8 in Germania. Le indagini dell’Istat confermano un fenomeno già riscontrato in altre società avanzate: la pandemia ha fatto più morti tra le persone con più basso titolo di istruzione. La diseguaglianza, già forte prima del Covid, aumenta. Per la prima volta l’ascensore sociale funziona al contrario: tra le nuove generazioni (i nati tra il 1972 e il 1986) le persone che si muovono verso classi inferiori a quella d’origine sono di più (il 26,2%) di quelle che si muovono verso classi superiori (24,9%). Finora era stato il contrario.
Fonte: di Enrico Marro /3 luglio 2020/ Corriere della Sera / Cronache