Giustizia per ricchi. Per avere gli atti del processo servono 80.000 euro

La combinazione tra dimensione dei processi, vetustà delle norme sui diritti di copia, e moltiplicazione dei materiali d’indagine resa sempre più riproducibile dalla tecnologia, rischia di far tornare il diritto di difesa un lusso per benestanti. Più di 80.000 euro solo per conoscere gli atti del proprio processo. La combinazione tra dimensione dei processi, vetustà delle norme sui diritti di copia, e moltiplicazione dei materiali d’indagine resa sempre più riproducibile dalla tecnologia, rischia di far tornare il diritto di difesa un lusso per benestanti.

Anzi proprio per ricchi, se ad esempio lo si misura sul costo degli atti di un maxiprocesso di ‘ndrangheta come “Rinascita-Scott”, istruito dalla Dda di Catanzaro a carico di 479 persone, delle quali 334 arrestate in gennaio. Un albergatore, del quale il gip respinse l’arresto chiesto dall’accusa per reimpiego di capitali illeciti, ora a fine indagini riceve insieme a 144 non arrestati l’avviso di deposito degli atti da consultare entro 20 giorni, e ne chiede copia. Comoda, su cd.

Ma con il problema che, se i 237 faldoni depositati al momento dei 334 arresti costavano già 35.000 euro, a fine indagini sono depositate altre 890.000 pagine al costo di ulteriori 48.000 euro. Perché così tanto? Non esistendo un protocollo normativo unico sul modo per gli uffici giudiziari di comporre un fascicolo digitale, qui la Procura argomenta di aver dovuto scannerizzare a mano “files” non nativi digitali, mentre i legali lamentano che così un fascicolo digitale venga fatto pagare come se fosse tutto cartaceo.

E avere gli atti è solo il primo passo per conoscerli: in un processo milanese di tangenti, per farsi un’idea di centinaia di migliaia di fonìe in 715 giorni di registrazione, pari a 10.000 ore trasfuse in 91 dvd e riassunte in 32.000 pagine di brogliacci, un imputato ha messo in conto 80.000 euro tra spese materiali e due giovani distaccati dallo studio legale agli ascolti per tre giorni a settimana per sei mesi. Lasciando il dubbio su quanti possano permettersi standard del genere per dare contenuto a un altrimenti guscio vuoto di garanzia.

Fonte: di Luigi Ferrarella/ Corriere della Sera, 30 giugno 2020