La fuga degli avvocati: “Costretti a cambiare lavoro per sopravvivere”

 C’è chi è diventato amministratore di condominio e scrittore umoristico o chi ha aperto un’attività commerciale. C’è chi poi, purtroppo, ha oramai un’età in cui fatica a ricollocarsi nel mercato del lavoro, ed è costretto alla precarietà di lavori più modesti, ben lontani dai grandi fasti che alimentano solitamente le ambizioni di chi intraprende la carriera legale.

Parliamo di avvocati, o meglio, di ex avvocati, professionisti che dopo anni di studio, lavoro e sacrifici hanno rinunciato al nobile sogno di difendere i diritti dei cittadini di fronte al muro insormontabile della crisi della professione. Oramai da molti anni il numero di iscritti all’Albo decresce vertiginosamente, per non parlare di chi sceglie di rinunciare all’iscrizione pur di non far fronte agli oneri contributivi e a tutte le spese connesse ad un mestiere prestigioso ma attraversato da una crisi dalle radici profonde.

“Già a partire dal 2006 – ricorda Antonio Tafuri, Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Napoli – le cosiddette liberalizzazioni di Bersani avrebbero dovuto essere uno stimolo per la concorrenza e un aiuto per i giovani, ma in realtà si tradussero soltanto in un ulteriore restringimento della concorrenza”.

C’è poi il problema dell’obbligo di iscrizione alla cassa forense, legato all’imposizione di minimi contributivi molto alti, che ha portato moltissimi giovani avvocati a rinunciare al loro sogno, soffocato da proibitivi oneri previdenziali. La saturazione del mercato, la concorrenza sleale al ribasso e un sistema giudiziario dai tempi talmudici e da una burocrazia soffocante e kafkiana, hanno fatto il resto, lasciando affogare i “pesci piccoli”, a vantaggio di pochi navigati studi legali. Con la crisi legata al Covid poi, dalla tragedia si è passati alla farsa: “non è un mistero che tutti i settori della società hanno riaperto tranne le scuole e le udienze in tribunale. E questo oggi è una cosa che se non fosse drammatica sarebbe da definire ridicola”, sottolinea Armando Grassitelli, che tra una pratica e l’altra della sua attività di amministratore di condominio ha trovato anche il tempo di passare dal linguaggio tecnico dei testi legali a quello artistico della letteratura, fino a vincere il prestigioso Premio “Massimo Troisi” con la raccolta di racconti “Una Famiglia con la Emme Maiuscola”.

Collabora con una piccola attività commerciale di famiglia invece Paolo Mariani, nei cui occhi si legge il vivo rancore per una scelta di vita gravida di aspettative e di promesse, che si è poi tristemente rivelata insufficiente per “tirare avanti e crescere una famiglia, con le relative spese e le incombenze”.

Per lui, come per Manuela Turchiarelli e Vincenzo Barbato, l’avvocatura, prima di essere una professione, costituiva un grande sogno, nutrito dall’ambizione e dall’intraprendenza che da ragazzi ha portato tutti loro a investire tempo e fatica in studi complessi e in una lunga e tortuosa formazione. Passione e sudore che non hanno retto, a lungo termine, di fronte alla cruda realtà dei fatti. Manuela e Vincenzo si amano, e un velo di nostalgia li avvolge mentre ci parlano di quando si sono conosciuti, proprio in concomitanza della prova d’abilitazione alla professione. Dopo anni di tentativi, sono stati costretti ad abbandonare il loro studio a conduzione familiare, per ritrovarsi indebitati e senza un posto stabile, né giovani né vecchi, a dover accettare di intraprendere professioni precarie e lontane dalle loro ambizioni di partenza.

“La crisi e la fine della nostra carriera ci ha impedito di sposarci e di avere bambini”, racconta Manuela, con legittima rabbia e delusione. “Ma bisogna smettere di non parlare della crisi della professione solo per non intaccarne il prestigio nominale e nasconderne la progressiva proletarizzazione”. Vincenzo le sorride, la guarda, e le promette che quando sarà possibile la sposerà, “non appena le loro vite lavorative avranno raggiunto nuovamente una maggiore stabilità e sicurezza economica”. Dura lex.

Fonte: di Amedeo Junod/ Il Riformista, 28 giugno 2020