«Procure, sì al sorteggio per una rosa di selezionati»

«OCCORRE UN BAGNO DI UMILTA’, FARE PARTE DI UN GRUPPO NON SIGNIFICA AVERE UNA POLIZZA SULLA CARRIERA»

Non ha dubbi il giudice Raffaello Magi, che in passato ha firmato la condanna di primo grado nel processo Spartacus-uno (21 ergastoli contro i boss casalesi, che gli è costato anni di vita sotto scorta), da sette anni consigliere della prima sezione penale della Corte di Cassazione, dopo aver svolto un ruolo associativo (in forza a Md) a Napoli e  a Santa Maria Capua Vetere

 Come tanti suoi colleghi ha assistito alla mole di intercettazioni legate al caso Palamara e, come tanti altri magistrati italiani, si affida a una riflessione: “Bisogna restituire dignità alla magistratura, che è un organo decisivo per la vita democratica, perché ogni cittadino si rivolge alle toghe per vedere riaffermati i propri diritti e per vedere riconosciuti i fondamenti della nostra cultura”.

Non ha dubbi il giudice Raffaello Magi, che in passato ha firmato la condanna di primo grado nel processo Spartacus-uno (21 ergastoli contro i boss casalesi, che gli è costato anni di vita sotto scorta), da sette anni consigliere della prima sezione penale della Corte di Cassazione, dopo aver svolto un ruolo associativo (in forza a Md) a Napoli e a Santa Maria Capua Vetere: “Basta carrierismo, bisogna cambiare cultura oltre a introdurre le riforme giuste per selezionare i vertici degli uffici giudiziari, a cominciare dai posti più ambiti, quelli delle Procure”.

Consigliere Magi, a cosa fa riferimento quando parla di selezione dei capi degli uffici? “Quando si deve procedere alla nomina di un ufficio di Procura o di un Tribunale particolarmente strategico e ambito, si potrebbe spezzare la logica delle maggioranze, con una selezione degli aspiranti fondata su titoli e meriti, da cui venga fuori una rosea di idonei, di magistrati di pari livello, su cui operare un sorteggio. Penso a un paniere di parimenti titolati, che consenta da un lato di fare una selezione, dall’altro di evitare l’accordo sotto banco, il compromesso e la mediazione tra le correnti come unico strumento per selezionare la classe dirigente degli uffici chiave in Italia”.

Cosa prova leggendo le carte più recenti del caso Palamara?

“Non entro nel merito delle singole vicende, non spetta a me farlo. Da osservatore esterno, penso che ci troviamo di fronte alla conferma di quanto avevamo capito lo scorso anno”.

Un anno fa fece scalpore il ruolo improprio della politica (l’ex ministro Lotti) a tavola con cinque consiglieri del Csm, oggi però assistiamo a una corsa di tanti per avere favori da Luca Palamara. È il trionfo del correntismo, non trova?

“È una degenerazione dell’associazionismo. Vede, le correnti dei magistrati, come tutte le aggregazioni in una società civile, sono un luogo di discussione, di crescita culturale, come ho imparato anni fa dall’indimenticato Enzo Albano. Poi, però, nel corso del tempo, l’appartenenza a una corrente è diventata una cosa diversa: essere in un gruppo per qualcuno è stato come avere in tasca una polizza per la propria carriera. Ed è un problema di mentalità, di cultura sbagliata che bisogna sradicare in modo definitivo. Assieme ai miei colleghi ci siamo sempre dati questo tipo di bussola: bisogna imparare a sostenere le legittime aspirazioni di carriera anche di chi non appartiene al tuo gruppo, ma ha i requisiti e le attitudini giuste».

Come si è giunti alla degenerazione oggi raccontata dalle chat del caso Palamara?

“Un certo tipo di carrierismo è stato agevolato dalla gerarchizzazione delle Procure, perché in fondo sono soprattutto certi uffici inquirenti ad essere più ambiti. Nelle Procure si coltiva l’ipotesi investigativa e c’è una maggiore esposizione mediatica, anche al netto del riserbo dei pm. Per questo va auspicato un cambio di mentalità”.

Eppure, sembra che siano saltati certi filtri interni alla magistratura: a leggere le valutazioni espresse nei consigli giudiziari o dai singoli capi degli uffici, sembra che siano tutti meritevoli allo stesso punto. Non crede che siano saltati alcuni filtri intermedi nella selezione dei futuri capi?

“Diciamo pure che dopo una certa età diventiamo un esercito di generali. Battute a parte, bisognerebbe inserire indicatori diversi, specie per quanto riguarda la valutazione dei pm: penso al tempo di conduzione delle inchieste o alla resistenza di un’ipotesi di accusa nei vari gradi di giudizio. Insomma, se si viene smentiti nove volte su dieci, bisogna pur valutare questo dato, ovviamente in sede di confronto in seno alle commissioni del Csm. Ma al di là di queste valutazioni, ritorno su un concetto: un cambio di passo culturale e un bagno di umiltà servirebbe a ridare dignità alla funzione di magistrato”.

Fonte: Leandro Del Gaudio / Il Mattino – giugno 20