Garofalo: la peste e la crisi della giustizia: una lezione di storia del passato con il riferimento alla Pandemia del Coronavirus

 Giuseppe Garofalo, avvocato penalista, scrittore e storico ha rilasciato alcune dichiarazioni sulla vicenda di Pasquale Zagaria, (malato di tumore, è diversa da quella di Totò Riina e dal recente caso del “professore” Raffaele Cutolo) e sulla questione delle scarcerazioni. Ha parlato della Peste:Nel 1656 a Napoli le autorità permisero ai detenuti di uscire dal carcere, a patto che aiutassero a trasportare i morti per il contagio. Infatti Un organismo battezzato “Deputazione della salute” doveva stabilire le distanze da tenere e chi doveva essere ricoverato al lazzaretto. Sui tribunali Garofalo ha chiarito che gli uffici giudiziari erano chiusi per la pestilenza, ma i giudici potevano mandare a morte.  E a Bari fu istituita la “zona rossa”.

 La scarcerazione dei detenuti a causa dell’emergenza sanitaria tiene banco negli ambienti giudiziari e non solo.

Ma la questione, spiega a “Cronache” l’avvocato Giuseppe Garofalo, decano dei penalisti del Foro

di Santa Maria Capua Vetere, non è nuova e si può trovare qualcosa di simile addirittura nelle cronache di diversi secoli fa.

 Quindi la situazione attuale le ricorda qualche avvenimento storico?

 Durante la peste di Napoli del 1656, c’erano 2800 detenuti, divisi fra Castel Capuano e carceri minori: 2000 di loro morirono per il contagio. Il Governo dell’epoca disse che chi voleva poteva uscire dal carcere, a condizione però che aiutasse i becchini a portare i morti alla sepoltura: in quei giorni c’erano molti cadaveri abbandonati in strada. Quasi tutti i detenuti che accettarono queste condizioni morirono. Un cronista dell’epoca racconta che “andarono a morte senza il boia”.

In prigione c’erano anche due medici: furono liberati a condizione che andassero a servire nei lazzaretti e anche loro morirono. Inoltre, fu creata la Deputazione della salute, composta da nobili e popolani, che aveva ampio mandato per stabilire le distanze fra le persone, chi doveva stare in casa e chi al lazzaretto e altre norme.

 Una sorta di unità di crisi, quindi. Altre similitudini?

 All’epoca i tribunali, a causa della peste, erano chiusi, come oggi. Questo, però non escludeva che i giudici condannassero a morte, tanto che furono disposte una decina di pene capitali. Un cronista scrisse che il vicerè aveva messo un lazzaretto per gli infermi e un altro nelle carceri, per chiuderci chi non la pensava come lui.

Questi erano soprattutto i seguaci di Masaniello: non va dimenticato che la rivolta c’era stata pochi anni prima e il vicerè ne approfittò per mettere persone in carcere. E poi c’è la vicenda della peste di Bari: da Napoli mandarono un alto magistrato, un Garofalo mio omonimo, che fermò la peste e non fece espandere il contagio a Napoli. Ci furono dei morti anche nella città pugliese, ma lo scopo principale, quello di arginare la diffusione del morbo, fu raggiunto. Una sorta di “zona rossa” ante litteram.

 Che idea si è fatto della recente scarcerazione di detenuti in conseguenza dell’emergenza sanitaria?

 Può succedere che qualche recluso cerchi di ingannare le autorità, ma di fronte a fatti accertati un giudice non può permettersi di dire “devi morire in carcere”. La Costituzione tutela il diritto alla salute dei cittadini liberi così come dei detenuti. Prendiamo il caso di Pasquale Zagaria: ha un tumore, non un’influenza.

Anche nel caso di Riina, ci fu un dibattito sulla scarcerazione…

 Al boss siciliano fu negata, perché non era in pericolo di vita. Ma il caso di Zagaria è diverso e non si discute, degli altri casi non so.

 Anche la richiesta avanzata dai difensori di Raffaele Cutolo è stata rigettata.

 Sì, perché Cutolo si trova già in un posto dove lo curano meglio di quanto avverrebbe all’esterno. Ci sono carceri attrezzate che fanno impallidire qualsiasi ospedale, con specialisti e attrezzature adeguate.

Come vede il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede in questo frangente?

 Bonafede, modestissimo avvocato e portaborse, siede al posto che fu occupato da Piero Calamandrei, Benedetto Croce, Vittorio Emanuele Orlando, Alfredo De Marsico…

 Lo ritiene mal consigliato dai dirigenti del Ministero?

 Lui ubbidisce ai 5 Stelle, poi dice ai dirigenti cosa deve fare e loro cercano di destreggiarsi. Quando si è trovato di fronte alle critiche per il decreto, ha chiamato i dirigenti e ha chiesto come uscirne. Nei ministeri ormai non ci sono più i competenti, ma i raccomandati, e molti di loro sono sprovveduti: chiunque avrebbe evitato di emanare un decreto come questo. E quel che mi rattrista di più è che un partito storico come il Pd faccia passare tutto pur di non perdere le poltrone.

Ma non è in crisi solo la politica: anche la magistratura in questo momento non se la passa bene.

 Si parla di riforma del Csm, ma siamo sempre lì. Anticamente c’era l’istituto del sindacato: ogni due anni, tutti i giudici dovevano sottoporvisi. Ogni cittadino poteva reclamare per l’operato del magistrato, che era tenuto a rispondergli. Chi decideva su queste contestazioni non era né il re, né altri giudici, ma dei tecnici che non appartenevano ai luoghi dove il giudice aveva esercitato.

 E’ tema di queste ore l’indagine a carico degli

agenti penitenziari di Santa Maria Capua Vetere

per le presunte torture ai detenuti. C’è chi ha

parlato di una regia unica dietro le rivolte nelle

varie carceri. Lei che idea si è fatto?

 

So poco della rivolta, ma gli agenti possono aspettarsi vendette anche a distanza. Poi, se è vero che hanno praticato torture, lo vedremo se si svilupperà l’inchiesta.

 Ma per lei c’è una regia che cerca di sfruttare le emergenze?

 Per anni non ci sono state più rivolte in carcere, perché l’ordinamento penitenziario prevede permessi e scarcerazioni anticipate, ma a patto che si tenga buona condotta. Anche il peggior delinquente, quindi, si comporta bene per poter uscire.

 E adesso cosa è cambiato?

 Ci sono detenuti che non possono accedere ai benefici e hanno trovato il pretesto della pandemia per animare la rivolta.

 Fonte: di Renato Casella / 13 giugno “Cronache di Napoli”-