“Deve fare la chemio”. Ai domiciliari il fratello del boss Zagaria

Il Guardasigilli attiva gli ispettori. Nel 1997 Domenico Perre fu tra i rapitori dell’imprenditrice Alessandra Sgarella tra Milano e la Calabria, gli mancano da espiare 2 anni sui 28 di condanna per sequestro di persona, e a tutt’oggi “non ha effettuato alcuna revisione critica” della propria malavita, salvo quel “comportamento carcerario corretto” che gli ha detratto 5 anni di “liberazione anticipata” (45 giorni di pena ogni sei mesi espiati).

Ma ora l’equipe sanitaria e la direzione del carcere di Opera evidenziano che il 64enne, “affetto da cardiopatia ischemica e sotto attenzione clinica dal 2013, è a rischio di complicanze” con “specifico riguardo al correlato rischio contagio per Covid-19”, rispetto al quale Opera fa presente “l’impossibilità di garantire l’isolamento in camera singola”: per questa “situazione sanitaria eccezionale”, e visto l'”ormai non lontano fine pena” a maggio 2022, la giudice di sorveglianza milanese Rosanna Calzolari ne ha disposto il differimento della pena ai domiciliari a casa della moglie a Platì (Reggio Calabria).

È una decisione analoga a quella che – tra le polemiche di Giorgia Meloni (FdI) e dei parlamentari della Lega, e gli ispettori attivati dal ministro Bonafede – il Tribunale di Sorveglianza di Sassari adotta su Pasquale Zagaria, 60enne fratello del camorrista capoclan dei “Casalesi” Michele Zagaria, detenuto al 41bis a Nuoro con condanna a 20 anni, in cura per un tumore.

Quando il reparto dell’ospedale di Sassari dove faceva la chemio è stato chiuso e riconvertito in area Covid, il Tribunale ha chiesto al ministeriale Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria di trasferirlo in altro istituto che gli assicurasse le terapie necessarie: ma dal Dap “non è giunta alcuna risposta”, e i giudici ne hanno allora disposto 5 mesi di detenzione domiciliare a Brescia. “Tutti i passaggi che si stavano compiendo – ribatte il Dap – sono stati oggetto di comunicazione al Tribunale con almeno tre mail, ultima il 23 aprile”.

A situazione diversa, diversa decisione a Milano sull’81enne boss catanese Nitto Santapaola, detenuto come Perre a Opera: qui la giudice Paola Caffarena nega la detenzione domiciliare perché “è ristretto in regime di 41bis, quindi in celle singole e con limitazioni che lo proteggono dal contagio”. In tutte queste polemiche – come giorni fa nel differimento pena di Francesco Bonura, con il consigliere Csm Nino Di Matteo entrato a gamba tesa sulla giurisdizione tacciando i giudici di “dare l’impressione di piegarsi alle logiche di ricatto che avevano ispirato le rivolte nelle carceri” in marzo – non si tratta di benefici penitenziari.

E nemmeno c’entra il decreto legge Bonafede che (in prevenzione anti-virus) apre alla detenzione domiciliare negli ultimi 18 mesi di pena ma esclude mafia (quindi i 41bis) e una serie di reati ostativi tra cui il sequestro di persona. È invece l’applicazione o meno di una norma che esiste dal 1975 (e prima dal 1930) per i casi di “grave patologia”, senza preclusioni sui reati.

Fonte: di Luigi Ferrarella/ Corriere della Sera, 25 aprile 2020