L’arcangelo Gabriele

(di Stelio W. Venceslai)

Perché si continuano a tollerare provvedimenti presi alla carlona, con un occhio ai sondaggi e un altro agli interessi elettorali inamovibili dei partiti?

 Si sparano decine, centinaia di miliardi che non abbiamo. Certo, occorre restituire liquidità alle imprese, far mangiare la gente che non ha più soldi, ma s’ipoteca il futuro di tutti. Chi paga?

 Un prelievo forzoso sui conti correnti? Una pesante imposta immobiliare?  Vogliamo vendere il Colosseo?

Tra l’altro, se per caso questo Paese riparte, con la gente che resta chiusa in casa non solo da noi, a chi vendono i negozi?

 Si parla con sussiego della priorità da dare alla filiera automobile. Giustissimo. C’è un mercato dell’auto?

Si parla della Fase 2, come se l’emergenza fosse passata, e intanto ogni giorno c’è mezzo migliaio di morti in più.

L’opposizione protesta. Per Berlusconi il toccasana è Draghi. Per Salvini, sono la Madonna e il rosario tra le dita.

 Ci manca solo un nuovo Stato confessionale.

Capite perché è importante un ritorno alla realtà e ai valori reali del Paese?

 Roma – In questa moria di tutto (lavoro, amici, socialità, politica) c’è qualcosa d’insolito che sta affiorando nella gente, costretta a riflettere e a subire una convivenza obbligata anche per coppie che si detestano. Poiché, però, non ci sono alternative, occorre fare buon viso a cattivo gioco.

Si sta sviluppando un senso di appartenenza, una socialità collettiva che trascende le feste, i grandi meeting, le polemiche, spesso pretestuose, che costellano i media. Siamo tutti stufi e, allo stesso tempo, ci sentiamo Italiani, all’improvviso, uniti in una lotta per sopravvivere, ma sempre più tenacemente orgogliosi di appartenere a un popolo straordinario.

 No, non è retorica. Dopo più di mezzo secolo che la parola “patria” è quasi scomparsa, così come la storia dell’ultimo secolo è stata interpretata e diffusa partendo da un solo punto di vista, mi fa strano questo ritorno a dei valori negletti.

Che qualcuno riesca raccogliere le voci di settecento bambini in un canto sempre caro a tutti, ripetuto e diffuso dai cellulari e alla TV, è qualcosa di struggente e di eccezionale assieme. Pensate, si vede financo il tricolore appeso ai balconi!

La pandemia sta facendo, fra tanti disastri, un piccolo miracolo. Ci sentiamo Italiani, uniti in una disgrazia che sembra senza fine, frastornati dalle incertezze, ma con un crescente ritorno agli immutabili valori di generazioni che hanno fatto questo Paese.

Poi, è accaduto di tutto: la dittatura, una guerra disastrosa, una ricostruzione indomita e, alla fine, un’Italietta smaniosa di apparire e sussiegosa, ma sbertucciata all’estero per le sue infinite manchevolezze.

Ora, siamo dentro  a un problema di cui non sappiamo nulla, tranne l’entità, presumibile, dei disastri, e quella certa dei morti. Ogni giorno il calendario fa il computo dei vivi e di quelli che cercano di restarlo. Siamo imbottiti di nozioni mediche, spesso contraddittorie, di regole confuse, diverse, discordanti. L’individualismo italiano è creativo anche in questo frangente, ma siamo stufi e abbiamo paura.

La paura ci unisce, perché abbiamo la sensazione che questa barca un po’ malandata sia l’unica cosa cui appigliarsi, anche se l’idea che il timoniere non sappia il fatto suo si fa sempre più strada.

Il Presidente del Consiglio è poco presidente ma molto annunciatore. Di che? Fra tanti annunci non ce n’è uno solo che sia confermato dai fatti. Promette soldi a destra e a manca, soldi che non ha e che non arrivano, interventi mirabolanti sul futuro, compone Comitati straordinari, nomina Commissari. Un attivismo frenetico, bisogna ammetterlo, in una confusione crescente d’idee e di sovrapposizione di ruoli. Spende e spande denari non suoi: quanto costerà la nuova Commissione di saggi affidata all’ex amministratore delegato di Vodafone? Nessuno lo sa perché tutto è avvolto nel mistero dell’emergenza che, alla fine, copre tutto con un velo pietoso.

A furia di fare l’annunciatore, il Presidente (esito a dire il “nostro” Presidente), inciampa sulle veline che gli vengono fornite. Dice le cose con voce ferma e con il tono volitivo di chi ha le idee chiarissime. Poi, il giorno dopo, con altrettanta sicurezza dice il contrario. Davvero un politico di razza, di quelle peggiori.

Vogliamo gli Eurobond fino alla morte; il Mes non lo vogliamo perché ci legherebbe troppo le mani. È uno strumento superato e inadatto all’emergenza. Un Mes attenuato solo per la sanità? No, mai. Vogliamo gli Euro bond. Ma non li vuole nessuno! Non ha importanza, li vogliamo noi.

Poi, ieri, altro annuncio: ma perché no? Vediamo di che si tratta.

Questo arcangelo è un po’ cialtrone. È vero che non parla alla Madonna, ma parla agli Italiani che però meriterebbero un po’ di rispetto, visto che lo tollerano senza averlo mai eletto.

Il Conte, perché di lui si parla, deve navigare  secondo il vento. Renzi dice che il Mes corretto va bene, il Berlusconi dice altrettanto. Come potrebbe lo Zingaretti non accodarsi a questi due geni nostrani della politica? E allora, il gioco è fatto. L’arcangelo si smentisce ed entra nella partita. Anche lui non sarebbe contrario a un Mes rettificato.

Il bello è che questo Mes diverso non esiste. Occorre farlo, ma se ne parla come di un nuovo evento miracoloso che metterebbe tutto a posto e il Conte si accoda. Non si sa mai, se si dovesse votare, sarebbe dalla parte vincente, forse.

Ma non aveva detto ieri il contrario? Non ha importanza. Ciò che si dice un giorno può essere smentito il giorno dopo.

Perché, poi, il Mes in quanto tale, che abbiamo a suo tempo firmato e sottoscritto, non va bene? Perché ci sono le “condizionalità”, termine nuovo per dire che ci sono dei vincoli da rispettare e noi i vincoli non li vogliamo. Siamo liberi, noi. D’altronde, se il Capo del governo cambia idea un giorno sì e uno no, come facciamo a impegnarci? E poi, guai se qualcuno venisse a mettere le mani nella nostra finanza!

In queste condizioni è assai difficile essere credibili.

Il Presidente del Consiglio, intanto, snocciola decreti e conferenze stampa. La crisi è tale che va bene tutto, anche Conte. Chi pagherà, però, non è un mistero. Saremo noi. È inutile chiedere una condivisione all’Europa se continuiamo a tenere a spasso gente con il reddito di cittadinanza. Uno Stato sociale non può risolversi in uno Stato di nullafacenti. Le campagne sono vuote: non ci sono più gli extracomunitari a spezzarsi la schiena. La frutta marcisce perché nessuno la raccoglie. Un governo serio ci manderebbe i beneficiati dal reddito di lavoro. Perché non si fa?

Perché si continuano a tollerare provvedimenti presi alla carlona, con un occhio ai sondaggi e un altro agli interessi elettorali inamovibili dei partiti? Si sparano decine, centinaia di miliardi che non abbiamo. Certo, occorre restituire liquidità alle imprese, far mangiare la gente che non ha più soldi, ma s’ipoteca il futuro di tutti. Chi paga? Un prelievo forzoso sui conti correnti? Una pesante imposta immobiliare?  Vogliamo vendere il Colosseo?

            Tra l’altro, se per caso questo Paese riparte, con la gente che resta chiusa in casa non solo da noi, a chi vendono i negozi? Si parla con sussiego della priorità da dare alla filiera automobile. Giustissimo. C’è un mercato dell’auto?

            Si parla della Fase 2, come se l’emergenza fosse passata, e intanto ogni giorno c’è mezzo migliaio di morti in più.

            L’opposizione protesta. Per Berlusconi il toccasana è Draghi. Per Salvini, sono la Madonna e il rosario tra le dita. Ci manca solo un nuovo Stato confessionale.

            Capite perché è importante un ritorno alla realtà e ai valori reali del Paese?

 

Roma, 17/04/2020