In merito alla trasmissione Quarto Grado, puntata di venerdì 17 gennaio 2020

UNA NOTA DEL CRIMINOLOGO CARMELO LAVORINO

Coordinatore del Pool di Difesa della famiglia Mottola per il delitto di Serena Mollicone

Nella puntata di ieri venerdì 17 gennaio (A) ci sono stati alcuni previsti tagli che hanno un po’ cambiato e vanificato il senso delle nostre parole e, purtroppo, (B) non sono state riportate tutte le nostre dichiarazioni in riferimento a molteplici aspetti, primo fra tutti gli errori e le contraddizioni degli inquirenti!

Comunque è stato un intelligente e buon servizio di informazione, anche se un po’ timido nel presentare le nostre posizioni. Ma tanto è lo stato dell’Arte!

Purtroppo (per la verità) è stato dato ampio spazio a chi ha tentato di confutarci (inutilmente) in nostra assenza senza che noi si potesse intervenire, così rendendoci invisibili e forse muti: squilibrio, non contraddittorio e disinformazione!

Ormai appare evidente sia che il brig. Santino Tuzi non ha visto entrare in caserma Serena Mollicone sia che abbia dichiarato una “non verità” o abbia fornito un’informazione di comodo causa il clima situazionale ed altre motivazioni. Del resto, se avesse visto Serena (che conosceva perfettamente) lo avrebbe comunicato – in quanto uomo onesto, leale e coraggioso, ligio al dovere ed alla legalità – ai famigliari Mollicone che la cercavano, ai superiori ed ai colleghi di Pontecorvo, e non ultimo, ai magistrati. Sinceramente non comprendiamo i famigliari del brigadiere Tuzi che preferiscono avere il congiunto come “soggetto ingannatore per sette anni e concorrente nei reati contro Serena” e non, invece, “sostenitore di una tardiva e illogica menzogna per motivi psichici e situazionali (non dimentichiamo che si è suicidato due giorni dopo la drammatica ritrattazione della ritrattazione)”. Ora restano soltanto le arrampicature sugli specchi della consulente della famiglia Tuzi, consulente entrata nel deserto dell’improba incertezza e che lì si aggira sperduta e confusa senza uscirne (addirittura si è permessa di contestare l’importanza e la sostanza delle attività professionali che dovrà effettuare il nostro consulente dott. Enrico Delli Compagni psicologo forense), e di qualche cortigiano che, “horribile dictu”, prospera sulle disgrazie altrui!

Risulta evidente anche che abbiamo ragione sul fatto che la porta non sia la c.d.”arma del delitto” e che su tale mastodontico equivoco siano stati sprecati tempo, risorse umane e strumentali e strombazzati titoli altosonanti ma apodittici quali “Serena è stata uccisa in caserma… la porta è l’arma del delitto… il cerchio si stringe…”.

Il prof. Meluzzi poteva di certo evitare di insinuare che il m.llo Mottola anche se innocente possa “sapere qualcosa del delitto non collegato al figlio Marco”. A volte occorre astenersi dall’enunciare opinioni in chiave accusatoria e di sospetto non avendo nulla in mano e senza altresì conoscere tutti i documenti che possano includere o escludere dei fatti delittuosi. Contestiamo, quindi, non per opinione, ma su cogenze fattuali, l’insinuazione apocrifa e ateleologica di Meluzzi.

 

Dobbiamo essere coerenti e non andare contro i principi della ricostruzione scientifica ammissibile e la nostra etica umana e professionale. Ricordiamo che nel caso in cui Serena fosse stata sbattuta conto la porta (già partiamo da un assunto IMPOSSIBILE) con la zona sopraccigliare sinistra e la zona zigomatica, producendo quelle lesività sulla porta, con totale certezza il suo sangue, non di meno il suo tessuto cutaneo e tutte le sue tracce biologiche sarebbero state rinvenute sulle rime e i margini fratturati della porta; SE qualcuno avesse lavato le rime di frattura con acido muriatico come è stato adombrato, ci sarebbero anche lì tali tracce, basti solo pensare al suo alto potere corrosivo, inoltre, risulta che mai nessuno abbia evidenziato sulla superficie esterna di quella siffatta porta segni di corrosione evidente o iniziale!

Laddove si tenta di confutare la nostra considerazione che non essendo stato stato trovato sangue sulla felpa, sulla maglietta e sul reggiseno della ragazza i casi sono due: o era nuda o le siano stati cambiati i vestiti, con l’enunciato: “Non vi è stato immediato sanguinamento, la ragazza è caduta a terra e poi è uscito il sangue… le ferite erano minuscole…”, restiamo sbigottiti e rammaricati per i seguenti motivi: 1) la ferita del pugile (quella sul sopracciglio di Serena) implica immediato sanguinamento; 2) Serena, scivolando con la parte ferita sulla porta avrebbe prodotto la strisciata di sangue e materiale biologico; 3) caduta a terra Serena il sangue, uscito ed uscendo copiosamente, si sarebbe sparso ed avrebbe sporcato la felpa; 4) durante le manovre di spostamento del corpo da parte dell’aggressore, i suoi vestiti si sarebbero sporcati; 5) il nastro adesivo utilizzato per occludere le vie respiratorie, naso e bocca, non occlude in nessuno modo queste “piccole ferite cutanee”.

Sempre in relazione a tali considerazioni ventilate palesemente dal generale Garofano (che stimiamo e della cui conoscenza davvero ci onoriamo) ricordiamo quanto segue:

Le lesioni sono così descritte: al capo: “… due soluzioni di continuo del tessuto cutaneo, l’una in prossimità della coda del sopracciglio di sinistra che prima della rimozione delle larve aveva un aspetto quasi crateriforme e dopo lavatura si è mostrata a morfologia ovalare (cm 1,5×0,5) con diastasi dei lembi, a disposizione pressoché perpendicolare rispetto all’asse maggiore del capo, con lieve inclinazione trasversale…” (freccia verde) “…superiormente e posteriormente a questa ferita è presente un’area di soffusione ecchimotica, che raggiunge la regione temporale…” (freccia blu) “…posteriormente e lievemente spostata verso il basso dalla ferita appena descritta, in piena regione temporale…soluzione di continuo , superficiale, rotondeggiante, del diametro di 3 mm…” (freccia gialla). (Rielaborazione della prof.ssa Cattaneo del testo della dr.ssa Conticelli).

Quindi, e qui riprendiamo quanto comunicatoci dal nostro consulente Antonio Della Valle: “Entrambe le ferite in aree anatomiche ad elevata irrorazione ematica per cui, seppure di dimensioni modeste, ma la prima di congrue dimensioni, verosimilmente non potevano e, soprattutto proprio la prima posta in area della coda del sopracciglio, non evidenziare tracce di una perdita ematica. Il corpo, poi, quand’anche riverso nelle più svariate e variabili posizioni nello spazio, non avrebbe potuto non avere una contaminazione ematica degli indumenti di cui era vestito; così come ancora la parte offesa cerca di rendere plausibile l’idea di una posizione supina del capo che non avrebbe potuto in tal modo presentare segni ed elementi di una contaminazione ematica degli indumenti.

È davvero poco sostenibile tale affermazione, in quanto proprio in tale posizione le porzioni più declivi del collo e, quindi, la quota degli abiti del sottocollo e, nella fattispecie, i tessuti del cappuccio del soprabito della vittima, sarebbero stati di certo le aree elettive di “bersaglio” degli efflussi ematici.

Nel percorso gnoseologico investigativo è indispensabile che il riduzionismo scientifico vada circostanziando solo la verificabilità degli eventi lesivi e non deve, quindi, essere utilizzato al fine di promuovere forme di inverosimile plausibilità con l’intento di sostenere altre verità definibili come “di comodo” e pensieri ed opinioni vettorialmente orientati al supporto di ipotesi poco o per nulla considerabili.

Alla luce di tali verifiche sarebbe il caso che tutte le indagini di merito effettuate nel tempo fossero ricondotte ad un rinnovato processo esegetico guidato da una cognizione dei fatti e non da una invereconda e mera inquisizione indiziaria”.

 

Concludiamo che contro i Mottola abbiamo solo un assordante nulla e un luminoso buio composti da (1) un’accusa basata sulla tardiva e illogica dichiarazione di Tuzi, non riscontrata mai da nulla, rilasciata in una situazione psicologica labile e complicata; (2) una porta “arma del delitto” che non può essere l’arma del delitto per ovvii motivi logici e scientifici; (3) la totale assenza di qualunque traccia di Serena all’interno della caserma, sia biologica, dattiloscopica o merceologica, sia mnestica, telematica o comportamentale; (4) una serie di pettegolezzi assurti al rango di “sommarie informazioni testimoniali” e/o “note di servizio”, un insieme creato da chi si è innamorato della tesi investigativa, così come purtroppo 18 anni fa per il carrozziere Carmine Belli; (5) un gruppo di cercatori di visibilità mass mediatica che sfrutta il dolore delle famiglie Mollicone e Tuzi elevandosi a “paladini della verità tramite il processo mediatico e la macchina del fango”; (6) l’impronta digitale dell’assassino rilasciata sul nastro che legava le gambe di Serena, impronta che non è di nessuno della famiglia Mottola; 7) l’assenza di prove scientifiche e logiche, testimoniali e circostanziali, ma solo ipotesi e “postume chiacchiere di paese fatte circolare da soggetti per motivi facili da intuire”; (8) il desiderio intimo di calmare gli animi, per l’intuizione divenuta tesi senza vaglio critico, per l’impossibilità psicologica ed emotiva di potere ammettere gli errori.

Il Coordinatore del Pool di Difesa Prof. Carmelo Lavorino

 

Per mero tuziorismo si riporta il nostro post di ieri prevedendo cosa sarebbe accaduto a Quarto Grado: “OMICIDIO SERENA MOLLICONE. QUESITO INTELLIGENTISSIMO CON RISPOSTA DIFFICILISSIMA. SE questa sera QUARTO GRADO manderà qualche nostra dichiarazione del Pool di Difesa dei Mottola, questa sarà commentata, criticata e confutata da qualche esperto o opinionista del programma ? E in tal caso, noi avremo diritto di replica? E SE E SOLO SE verrà riportata qualche nostra dichiarazione, questa sarà intera o sarà tagliata e privata del suo significato? Vi sarà contraddittorio e dibattito, oppure loro se la canteranno e loro se la suoneranno con noi assenti? MISTEROOO!!! Prof. Carmelo Lavorino Coordinatore del Pool di Difesa della Famiglia Mottola difesa dall’Avv. Francesco Germani”.