La quarta sponda

(di Stelio W. Venceslai)

 Sulle rive del Mediterraneo si stanno combattendo alcune guerre non dichiarate: in Siria, Palestina, in Libia e in Algeria.

   In Siria, dove i resti del Califfato islamico combattono contro i Siriani, i Turchi contro i Kurdi e i Kurdi contro i Siriani di Assad, i Turchi di Erdogan e gli islamici del Califfato.

   In Palestina, dove esiste una continua tensione militare fra Israele e l’Autorità palestinese. Da Gaza sparano missili su Israele. Da Israele reagiscono con bombardamenti massicci. Altri morti, altri feriti, altre devastazioni e un odio crescente che arde da ben più di mezzo secolo. Ora il Tribunale penale internazionale ha avviato una procedura contro ambedue i Paesi, Israele e l’Autorità palestinese, per presunti crimini contro l’umanità. Israele s’indigna, i Palestinesi festeggiano. Il bello è che Israele non riconosce la sovranità dei Territori, riconosciuta da 138 Paesi delle Nazioni Unite. L’Autorità palestinese ha ratificato il Tribunale internazionale in questione ma Israele no. C’è un pasticcio giuridico preliminare che impedirà per lungo tempo di aprire realmente questa ulteriore vertenza internazionale. E, intanto, si continua a sparare.

   In Algeria, dove il Paese è in fermento per elezioni presidenziali truccate e per il prepotere della casta militare che, peraltro, controlla le città e non le campagne e il deserto, dove proliferano le bande jihadiste che provengono dal Mali e dal deserto sahariano da una parte e i Berberi, nel sud del Paese, in continua rivolta contro il potere centrale, aspirando all’indipendenza.

   In Libia, se possibile, la situazione è ancora peggiore.

   Due governi si fronteggiano, l’uno, a Bengasi, con il generale Haftar e, l’altro, a Tripoli, con al-Sarraj. Haftar è riconosciuto e sostenuto dall’Egitto, dall’Arabia Saudita e, da ultimo, dalla Russia di Putin. L’altro, invece, è riconosciuto dalle Nazioni Unite (quindi, anche dagli USA) e sarebbe, per questo, l’unico governo legittimo della Libia.

   In realtà, dopo l’infausto attacco francese alla Libia di Gheddafi, il Paese non trova pace e mentre la politica di al-Sarraj si appoggia all’Occidente, Haftar, che ha in mano un esercito ben attrezzato, tende ad attaccare Tripoli per rovesciare il governo e mettersi al suo posto. Le ricchezze della Libia fanno gola a tutti.

   Lo scenario si complica perché pare che tremila mercenari sudanesi e altrettanti “volontari” russi si stiano affiancando ad Haftar. Già nel giugno scorso le truppe di Haftar hanno attaccato Tripoli, ma sono state respinte. Ora, Haftar ci riprova, con forze nuove e con il tacito appoggio della Russia.

   Nell’inerzia occidentale prende vigore l’interesse turco ad un ritorno al passato in Libia, perché Erdogan, dalla Turchia, promette uomini e armi ad al-Sarraj. Se si considera che Russia e Turchia sono freschi alleati in Siria, la questione diventa complessa e, diciamolo pure, piuttosto difficile a capire, ma Erdogan, da uomo d’azione, è fatto così. È imprevedibile, come Trump.

   Il disegno di Putin, una volta domata la questione insurrezionale in Siria, è quello di espandersi nel mediterraneo, sostenendo un regime amico, quello di al-Sarraj.

   Il disegno di Erdogan, invece, è analogo, ma a favore dell’altro contendente, al-Sarraj. L’obiettivo è sempre lo stesso: esercitare un’influenza diretta sul Mediterraneo il che, per la Turchia, sarebbe un ritorno al passato imperiale della Turchia.

   L’Italia è il maggior Paese dell’Occidente che guarda questa sponda così vicina alla nostra penisola. Ci sarebbe da chiedersi cosa faccia il nostro Paese, che formalmente sostiene al-Sarraj e, dunque, ostile ad Haftar che vuole rovesciarlo. Questa situazione sfugge alla comprensione del nostro Ministro degli Esteri e dei suoi malcauti consiglieri. Di Maio si è recato recentemente in Libia a rendere omaggio ad entrambi i rivali, di fatto attribuendo loro pari dignità. Una sciocchezza, perché significa riconoscere la legittimità dei due rivali. La soluzione, dice Di Maio, spalleggiato da un’Unione europea impotente, è quella diplomatica, non militare.

   Al-Sarraj, invece, chiede armi e non chiacchiere per affrontare la nuova offensiva di Haftar. La Turchia gli offre uomini e armi. In questo modo, rischiamo un conflitto a due passi da casa nostra, dove Turchi e Russi potrebbero scontrarsi frontalmente. In ogni caso, chiunque dovesse prevalere, la Russia, che gioca su due fronti, sarebbe sempre vincente, o perché alleata di Haftar o perché alleata dei Turchi. Un bel pasticcio.

   Se dovesse perdere a-Sarraj, sarebbe un altro schiaffo alle Nazioni Unite, ma questo non è preoccupante. Sarebbe invece uno schiaffo all’Europa e all’Italia, in particolare, e questo, invece, è preoccupante. Avere basi russe o turche in Libia, a due passi da casa nostra, quando assieme all’Unione europea abbiamo sanzioni contro la Russia, non è una prospettiva piacevole.

   In questo contesto, brilla l’assenza degli Stati Uniti, in un progressivo disimpegno dagli affari del mondo. Trump dice che sulle questioni europee (e mediterranee), ci deve pensare l’Europa, e non gli si può dar torto. Il fatto grave è che l’Europa (leggi Germania, Francia e Italia), fa solo chiacchiere e si spera nelle virtù della diplomazia anche quando i cannoni sparano.

   In buona sostanza, tutti i Paesi del Mediterraneo sono in ebollizione. Se in Algeria dovesse scoppiare una guerra civile, con lo jihaidismo alle porte e una Tunisia democratica molto fragile, sarebbe l’inferno e ciò non potrebbe non influenzare anche la questione libica. Difficile pensare a soluzioni diplomatiche diverse dall’accettazione del fatto compiuto.

   E allora, che fa l’Italia con tutto questo complesso problema alle sue frontiere marittime? Tutto ciò non sembra preoccupare il nostro governo, preso da tutt’altre questioni di politica interna.

Roma, 26 dicembre 2019.