VERSO LA CONCLUSIONE IL PROCESSO PER IL DELITTO di KATIA TONDI

Intervista al criminologo  CARMELO LAVORINO

 

Nella imminenza della conclusione del processo per il delitto di Katia Tondi per il quale è accusato, a piede libero, il marito Emilio Lavoretano, schiacciato da una richiesta di condanna DELLA PUBBLICA ACCUSA, a 25 anni di reclusione, abbiamo chiesto al criminologo Carmelo Lavorino (componente del pool dei consulenti della difesa) di fare il punto della situazione.

 

Intanto, lunedì 9 dicembre  è prevista l’arringa della difesa da parte dell’ avvocato Natalina Mastellone; mentre il 18 dicembre,  dopo brevi repliche, sarà emessa la sentenza.  Sarà il carcere il destino di un innocente? Si potrà condannare ad una dura pena solo su indizi e senza certezza? Vedremo

 

 Professor Lavorino, siamo arrivati alle fasi finali del processo. Il 27 novembre lei era in aula ed ha seguito la discussione del pubblico ministero e delle parti civili. Che ne pensa?

 

Una delusione totale. Cinque anni di indagini e di dibattimento che non hanno portato a nulla. Il Pm era partito bene parlando di garantismo, di un processo da lui definito come “modello assoluto archetipico accusatorio”, per poi scivolare nella vaghezza degli indizi contro l’imputato basandosi su congetture, illazioni, pettegolezzi e supposizioni senza riscontri.

Un processo senza prove e senza indizi, terminato con l’ulteriore vaghezza dei teoremi dell’avvocato Gianluca Giordano della parte civile, di questo ne parlerò fra poco.

 

Cosa non condivide dell’impostazione del pubblico ministero?

Non condivido proprio nulla!

Siamo tutti consapevoli che l’inchiesta è stata minata dall’inadeguatezza dell’intervento iniziale del medico legale e della polizia. Alla vittima non è stata presa la temperatura cadaverica come prescrive il protocollo (da prendere ogni mezzora per valutare lo scalare e così ricostruire la tanatocronologia), nemmeno sono state prese le temperature ambientali interne ed esterne per le dovute interpolazioni.

Addirittura l’appartamento è stato dissequestrato la sera stessa dicendo “È stato repertoriato tutto il repertabile!”, poi si lamentano che la famiglia Lavoretano ha sistemato l’appartamento. Che fanno gli Inquirenti? Prima sbagliano procedure e poi accusano chi era libero di muoversi all’interno della casa?

Lo sanno anche i bambini che la SCENA DEL CRIMINE deve essere preservata e dissequestrata solo quando TUTTO è stato analizzato, fissato, documentato, individuato, definito e valutato. Qui invece hanno fatto un caos, poi, per non ammettere i propri errori danno addosso ad Emilio Lavoretano ed ai suoi genitori.

C’è dell’altro che lei critica nell’impianto accusatorio?

Ovviamente sì. Non hanno spiegato il movente dell’omicidio anche se ipotizzano un litigio ma non hanno saputo/potuto individuarlo. Non hanno individuato e definito la criminogenesi (la situazione, i vari perché e i comportamenti che hanno prodotto lo scontro assassino-vittima), né la criminodimanica (tutto quello che è accaduto, in che modo, dove e quando), non hanno individuato l’arma del delitto, né alcuna traccia riferibile ai contatti fra la vittima e l’assassino durante l’omicidio, nemmeno un elemento contro Emilio Lavoretano: hanno nel loro carniere vuoto soltanto illazioni, pettegolezzi e suggestioni.

Soprattutto non hanno individuato e definito scientificamente e logicamente il momento dello strangolamento e della morte, hanno solo effettuato delle forzature per fissarlo fra le 18 e le 19, cioè quando Emilio Lavoretano era a casa, ma non hanno riscontri, ci sono solo vuote chiacchiere, suggestioni, illazioni e forzature.

Tentano di impostare il risultato gradito come presupposto: nella logica si chiama “petizione di principio”.

Diciamo che sono entrati in un deserto e che lì sono rimasti!

Può approfondire quest’ultimo aspetto?

Certo. Consapevoli della debolezza e dell’errore di non avere preso e misurato le varie temperature ed ambientali e, purtroppo, animati dalla forza di non ammettere i propri errori, hanno fatto ricorso ad elementi incerti e non provati quali il termotatto (addirittura testimoniato dal medico legale che ha omesso di prendere le temperature (sic!!!) e che quindi difende i propri errori e da qualche altra persona informata dei fatti che s’improvvisa esperta in scienze forensi e/o che fornisce dichiarazioni molto gradite all’accusa), l’ispezione visiva non documentata e qualche chiacchiera da paese. A questo hanno aggiunto un’interpretazione molto forzata e incerta, sicuramente non scientifica e non condivisibile, per dimostrare che i processi digestivi inducono a individuare la morte di Katya Tondi prima delle 19.

A mio avviso lo studio dei processi digestivi, delle macchie ipostatiche e della rigidità cadaverica fa concludere che l’omicidio sia avvenuto verso le 19:15-19:45, altro che – guarda caso – fra le 18 e le 19.

Altre critiche?

Diverse. Qui voglio solo ricordare che si stanno agganciando a pettegolezzi, a scontri di “tribù familiari”, alle dichiarazioni ostili dei familiari di Katia Tondi contro la famiglia Lavoretano, a scontri fra consuocere ed altre suggestioni, con lo scopo di costruire il “marito cattivo, possessivo e geloso”, quindi un potenziale “femminicida”. Quando si parla alla Corte d’Assise pensando con un occhio e col cuore alle Tv è pericoloso per la Giustizia e per la Verità.

Contro Emilio Lavoretano ci sono stati immediatamente il sospetto e l’intuizione degli Inquirenti, tramutatisi in seguito in innamoramenti delle ipotesi e dell’accusa. Così sono arrivati i “super-esperti” pronti ad attaccare il somaro dove vuole il padrone e ben lieti di essere illuminati dai riflettori televisivi e mass-mediatici, per poi acquisire incarichi di consulenze ben remunerati.

Ritengo che la dinamica e gli avvenimenti siano stati ricostruiti in maniera grezza, dilettantesca, non fluente e superficiale. Ad esempio: 1) non hanno ritenuto che sia stato proprio l’assassino ad avere spostato il figlioletto della vittima in carrozzino dopo il crimine; 2) non hanno valutato che un assassino che uccide in modo ossessivo compulsivo tramite strangolamento ha la tendenza, quando si eclissa, a lasciare la porta aperta per motivi psicologici e causa lo stato psichico alterato post crimine. Comunque ho ravvisato molte contraddizioni e imperfezioni nella ricostruzione degli accusatori di Lavoretano.

Chi è l’assassino secondo lei?

Gli scenari basici sono due. Un soggetto del condominio oppure un soggetto esterno.

Sicuramente è un soggetto che ha notato (o sapeva) che Emilio Lavoretano usciva verso le 19, oppure che lo controllava con intento di avvicinare Katya con intenti punitivi o sessuali/erotomani o di chiarimento per vecchi dissapori. Così questo soggetto ignoto, approfittando dell’assenza del marito della vittima, è arrivato sino al terzo piano superando le diffidenze, le barriere e le difese di Katya Tondi. Questo significa che è un soggetto territoriale, abile a relazionarsi, che godeva della fiducia di Katya o che ha saputo acquisirla tramite capacità relazionali, astuzia e stratagemmi.

 L’omicidio sicuramente non è un tentativo di rapina finito male, ha di più, molto di più: soprattutto è del tipo personale ed emotivo, con un movente intimo di odio e di vendetta. Il soggetto ignoto odiava il matrimonio della coppia, e qui c’è un evento che non può essere una coincidenza esasperata: l’omicidio viene perpetrato esattamente un anno dopo la scadenza per proporre opposizione al matrimonio fra Katya ed Emilio, con pubblicazione dell’11 luglio 2012 e termine del 19 luglio. Ebbene, l’assassino agisce esattamente un anno dopo, dopo avere ruminato la ferita narcisistica (torto subito?) ed avere deciso, lentamente, la vendetta tramite l’uccisione di Katya Tondi e/o un’aggressione sessuale o di altro tipo alla stessa.

Non dimentichiamo che l’arma del delitto (un laccio, un mezzo costrittorio per strangolare) è venuta con l’assassino e con lo stesso è scomparsa. Quindi, un soggetto assassino organizzato che ha preparato il piano d’attesa, d’intrusione, di aggressione e di fuga.

Le ciabatte ai piedi della povera Katya, con altissima probabilità infilate alla vittima dall’assassino dopo l’uccisione, rappresentano un vero e proprio atto di matrice psicologica (messa in posa e undoing = negazione psichica a se stesso del crimine), significativo del fatto che aveva una rapporto di frequentazione psichica con la vittima (odio, invidia, vendetta, rancore, rapporti rotti per motivi personali ed emotivi…) e del tipo immaginario: atto di chiusura del motivo del contendere e di uscita di scena col sipario abbassato.

Dobbiamo tenere conto dei seguenti otto aspetti molto forti: 1) ’intrusione è stata del tipo silenziosa e organizzata, prevista e stabilita; 2) l’appartamento sottostante alla casa della vittima era vuoto e l’assassino lo sapeva; 3) Emilio Lavoratano si è assentato e l’assassino ne ha approfittato; 4) il soggetto ignoto era in stato di controllo e di appostamento della vittima e del marito, ed all’esterno è stato invisibile, calcolatore ed efficiente; 5) all’interno della scena del crimine si è mosso con abilità, destrezza, conoscenza territoriale, sicurezza e calma; 6) l’aggressione, il soqquadro della camera da letto, la ricerca, la messinscena e la messa in posa sono durati almeno 20 minuti; 7) il soggetto ignoto aveva i guanti, per tale motivo non ha lasciato le proprie impronte papillari; 8) al soggetto ignoto non interessavano i soldi e i valori, interessava l’insulto all’intimità della coppia, e in tale contesto si collocano le lettere del matrimonio trattate con disprezzo e odio, la fede nuziale con impressa la data dell’evento e il nome del marito sfilata e rubata, la violazione della camera matrimoniale, la rabbia distruttiva contro la vittima, contro il marito e contro la loro unione.

Un soggetto del genere può essere un condomino o una persona che aveva la fiducia della coppia o di un solo componente della stessa.

Può essersi introdotto nel condominio, se non appartenente allo stesso, con sotterfugi, oppure forzando una porta esterna che ho avuto la ventura di fotografare sia quando era ancora forzata alla serratura, sia quando è stata aggiustata.

All’inizio ha accennato alla parte civile ed ai suoi teoremi, ci può spiegare?

Certo, ho saputo da poco che l’avvocato Giordano ha presentato una memoria dove avanzerebbe pesanti insinuazioni nei miei confronti, addirittura sembrerebbe ipotizzare che io abbia pulito la casa per fare sparire indizi ed altre amenità (sic!!!). Se è così lo querelerò.

Inoltre  – almeno così mi è stato riferito (mi informerò in tal senso e poi provvederò eventualmente a tutelare i miei interessi) – durante il processo e in mia assenza ha avanzato altre insinuazioni nei miei confronti ipotizzando addirittura che io abbia scoperto la verità… per poi sparire. Ma quale verità io avrei scoperto… che l’assassino è Emilio Lavoretano… siamo al limite delle fantasie!

Alla discussione ho sentito che ha fatto il mio nome… per poi dire che dopo due mesi sono “scomparso”: è disinformato… o altro? Vedremo!

La ciliegina sulla torta è che l’avvocato Giordano mi aveva citato sin dall’inizio come suo testimone… per farmi rivelare e per scoprire chissà quali “verità nascoste”, poi, capendo che stava facendosi un autogol e che lo avrei annichilito – forte della mia onestà e della potenza della verità – ha furbescamente rinunciato a sentirmi come teste. All’avvocato Giordano dico solo che io non ho pulito e/o fatto sparire un bel nulla, che ho collaborato lealmente con gli Inquirenti indicando agli stessi alcune indagini investigative e scientifiche da effettuare, che sono stato presente a Torino assieme al generale Luciano Garofano per degli accertamenti tecnici irripetibili e che… non sono scomparso. Al che ribadisco che se trovo una sola sua insinuazione contro di me lo denuncerò alla Magistratura ed all’Ordine degli avvocati.

Un’altra cosa che non ho gradito nella parte civile è stata la enorme esposizione mass mediatica dei genitori e dei familiari della vittima, usati come biglietti da visita per essere illuminata dai riflettori televisivi e giornalistici, per buttare veleno contro Emilio Lavoretano e per accreditare presso l’opinione pubblica i proprio sospetti, dimenticando, però, che i processi si fanno in aula.

 Qualcosa da aggiungere a favore di Emilio Lavoretano?

Poche cose.

Se avesse ucciso la moglie non si sarebbe ritirato alle ore 20 bensì alle 21 o 22, così facendo ingarbugliare la questione della temperatura cadaverica e la scoperta dell’orario della morte: il tutto a suo favore.

Sicuramente non avrebbe lasciato la porta aperta così rischiando di fare scoprire l’accaduto, in quanto, più ritardava la scoperta del corpo, più lui era favorito.

Se fosse stato lui avrebbe spento il telefono di Katya, proprio per evitare che qualcuno potesse telefonarle e non ottenendo risposta entrare in allarme.

Se fosse stato lui avrebbe inscenato realmente una rapina, con sparizione di valori e un soqquadro prodotto da modus operandi di rapina con intrusione e non, invece, quel caos gelido ordinato, vera firma psicologica e di movente del vero assassino. Contemporaneamente non avrebbe ipotizzato che fosse stata una rapina, perché solo un imbecille (e Lavoretano non lo è) o un innocente (e Lavoretano lo è) avrebbe potuto ipotizzarlo con gli elementi “intrusione senza effrazione e senza furto” e  “scena di soqquadro gelido organizzato e ordinato”.

Ultima domanda: lei testimonierebbe al processo?

Con molto piacere. Se qualcuno mi chiamasse ai sensi dell’articolo 507 del codice di procedura penale, cioè dopo la discussione delle parti, e se la Corte lo consentisse, lo farei immediatamente.

 

Carmelo Lavorino, criminologo criminalista, profiler ed analista della scena del crimine, vive e lavora fra Roma e Gaeta. È iscritto all’Albo dei Periti Criminologi del Tribunale Penale di Roma, è fondatore e direttore del CESCRIN (Centro Studi Investigazione Criminale), della rivista Detective & Crime, delle collane “NUMBERS OF CRIME” e “CRIMINOLOGIA INVESTIGATIVA” di Edizioni Ponte Sisto.

Già docente universitario in “Tirocinio sopralluogo e scena del crimine” e in “Protezione delle istituzioni, persone ed eventi” presso l’Università di L’Aquila al Corso di Laurea Scienze dell’Investigazione.

Si è interessato di oltre 200 casi d’omicidio, fra cui i delitti del Mostro di Firenze, di Via Poma, del serial killer Donato Bilancia, di Cogne, di Arce, del piccolo Tommaso Onofri, di morti equivoche, di cold case, rapine e violenze sessuali.

È specializzato in investigazioni penali, esame ed analisi della scena del crimine e del modus operandi del soggetto ignoto autore del crimine, organizzazione e coordinamento di pools tecnici e investigativi, management dell’investigazione criminale, BPA (Bloodstain Pattern Analysis – Analisi dello schema di formazione delle macchie di sangue).

Ultimi suoi libri: “FIVE. CINQUE OMICIDI CAMUFFATI DA SUICIDI” e “ONE. VIA POMA. INGANNO STRUTTURALE”, pubblicati da Edizioni Ponte Sisto di Roma.