LA VERITA’ DISTORTA DA ALCUNI  GIORNALISTI PROFESSIONISTI DELL’ANTIMAFIA

 di   Ferdinando Terlizzi

Il comunicato della Procura parla chiaro: sono soggetti “attenzionati” per gravi reati. Quelli che Leonardo Sciascia definiva “professionisti dell’Antimafia”. Quelli che si ammantano dell’ermellino della legalità per commettere reati. Clamorosi gli sviluppi con altri filoni di indagini. Le cocciuta caparbietà investigativa del Vice Commissario della Polizia di Stato di Sessa Aurunca – che non si è lasciato influenzare dalle sirene degli adpti di Don Ciotti –  ha dato un primo significativo frutto. Giornalisti lecchini e servi sciocchi alla ricerca di scorte e notorietà hanno “schiattato”  il comunicato della Procura della Repoubblica falsandolo con titolo fuorvianti.

Ma la cosa non finisce qui – annunziavo in un mio precedente servizio –  anzi,  ha una previsione deflagrante. E’ al vaglio infatti degli inquirenti un esposto circostanziato, (inviato peraltro anche alla Presidenza della Repubblica, al C.S.M., ai Ministri dell’Interno e della Giustizia, ai Procuratori di S. Maria C.V. ed Isernia, a don Luigi Ciotti di Libera,  al T.A.R. Campania, ai Sindaci di Sessa Aurunca e Carinola, al Commissariato di P.S. di Sessa Aurunca, al Comando Carabinieri, alle redazioni dei giornali ed alla redazione de “Le Iene”) con il quale si evidenziano chiaramente condotte  “illecite” di molti di quelli che Leonardo Sciascia usava definire “professionisti dell’antimafia”.

Vi sarebbero agli atti delle indagini intercettazioni telefoniche di vari colloqui tra gli imprenditori e i giornalisti: Sandro Ruotolo,(Rai e Can. 5); Sergio Nazzaro,(Fan Page); Raffaele Sardo,(La Repubblica);Adriana Pollice, (Il Manifesto); Antonio Pisani (Ansa–Caserta);Luca Marconi(Corriere del Mezzogiorno); e alcuni (in corso di identificazione) cronisti di SKY, ed altri ancora di altre testate e siti web, che saranno valutate nella loro portata in sede di giudizi.

Ecco, nel dettaglio la verità finora emersa dalle indagini della Procura

Da un lato «paladini anticamorra» e della legalità e, dall’altro, accusati dalla Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere di avere «imbrogliato» le carte per edificare ed ampliare uno stabilimento realizzato su una zona agricola acquistato all’asta. Immobili e terreni pertinenti sequestrati ieri dagli agenti della Squadra Mobile ai soci della Cleprin di Carinola, azienda che produce detergenti facente capo ad Antonio Picascia e Franco Beneduce, noti per le loro battaglie pro-legalità. Picascia che chiamava i presunti estorsori «scarafaggi», si sarebbe guadagnato la «patente» di paladino anticamorra per aver denunciato, quattro anni fa, un incendio doloso «per mano della camorra», avvenuto nel primo stabilimento di Sessa Aurunca.

L’INCHIESTALe indagini dalla Procura antimafia sono tornate alla Procura ordinaria di Santa Maria che, dopo l’assoluzione di un imputato e la richiesta di revisione del processo del coimputato. Ma torniamo al sequestro preventivo di ieri per abusi edilizi, che arriva proprio mentre si attende, a giorni, la pronuncia del Tar per gli stessi motivi dopo un contenzioso tra l’azienda ed il Comune di Carinola in relazione ad un vincolo paesaggistico. La Procura diretta dal magistrato Maria Antonietta Troncone ipotizza la violazione delle norme in tema di abusivismo edilizio e di tutela paesaggistica con interventi anche di ampliamento, di particolare consistenza, in assenza delle prescritte autorizzazioni, determinati aumenti di volumetria e di superficie utile. Opere che hanno interessato il capannone, dei porticati, la palazzina degli uffici, un secondo capannone e l’area di lavorazione e ristoro. Dall’inchiesta emerge che gli indagati avrebbero cercato di ottenere, con «diversi espedienti fraudolenti, titoli autorizzativi in sanatoria in maniera illegittima attestanti la conformità urbanistica e paesaggistica delle opere, in particolare utilizzando la possibilità concessa a chi acquista in sede di procedura concorsuale il condono entro 120 giorni dalla emissione del decreto di trasferimento». Il tutto sarebbe avvenuto tramite false rappresentazioni nelle relazioni descrittive e dei grafici dello stato dei luoghi allegati all’istanza di condono. In sostanza, i soci della Cleprin avrebbero tentato a far risultare il cambio di destinazione d’uso, da agricolo ad industriale, e le opere eseguite sull’immobile con aumenti volumetrici e di superficie come realizzati entro la data indicata dalla legge sul condono del 1994, invocata nelle istanze. Il gip, però, ha ritenuto «sussistente l’accusa nonostante siano pervenute denunce da parte dei due indagati (tra le tante nelle quali si gridava addirittura al depistaggio), con le quali rappresentavano fatti illeciti compiuti da parte dell’ufficio tecnico del Comune nell’ambito della gestione della pratica edilizia in questione e anche da parte del personale del Commissariato di Polizia di Sessa Aurunca, ufficio che fino al dicembre del 2018 ha condotto le indagini grazie al quale si è arrivati al sequestro. Indagini, intanto, sono ancora in corso sull’incendio presumibilmente doloso scoppiato nella prima sede di Sessa Aurunca della Cleprin per accertare nuove responsabilità. Il Tar Campania deciderà invece nel merito il 30 ottobre sul ricorso che la Cleprin presentò contro il Comune di Carinola e la Soprintendenza, a seguito dell’ordinanza di sospensione dell’attività, del marzo 2018, per la quale ebbero la sospensiva dopo qualche giorno di chiusura. Il Comune intima la «sospensione ad horas» di ogni attività edilizia e a «provvedere a propria cura e spese alla rimozione di opere realizzate in difformità e il ripristino dei luoghi».