Il caso Ragusa e la tv che vuole sostit

uirsi ai tribunali. Tenere aperti i processi è sì dovere giornalistico, ma è anche buona esca per continuare ad alimentare il fuoco dell’audience

 In tema di Giustizia, ancora una volta abbiamo assistito al lungo e duro scontro fra Televisione e Tribunale. «Ha ucciso la moglie e ha distrutto il suo cadavere». Anche per i giudici di Cassazione, Antonio Logli è colpevole. È stato lui ad ammazzare Roberta Ragusa, la madre dei suoi due figli e a occultarne il cadavere mai più ritrovato. L’omicidio sarebbe accaduto dopo un violento litigio perché la donna, che aveva compiuto da poco 45 anni, aveva scoperto una relazione del marito con Sara Calzolaio, un’amica già baby sitter dei figli. La sentenza è stata letta quasi in diretta dallo stuolo di inviati che Gianluigi Nuzzi aveva dispiegato nei «luoghi» che avrebbero dovuto ricostruire la scenografia ideale per l’ultimo round. Quello del Tribunale, non certo quello di Quarto grado (Rete4, mercoledì).

L’impressione è che Nuzzi in questi ultimi tempi abbia «lavorato» per la scarcerazione dell’imputato, non credendo, lui e i suoi espertoni, alla colpevolezza di Logli. Tra altri, abbiamo ascoltato i figli della povera signora Ragusa, i quali parlavano della mamma chiamandola Roberta, difendendo da ogni accusa il padre. Abbiamo ascoltato Sara, la baby sitter innamorata che da subito ha preso il posto della signora Ragusa, avendo però la premurosa attenzione di occupare il lato opposto dello stesso letto dove dormiva la donna scomparsa. Il Tribunale ha fatto il suo corso: tre gradi di giudizio. La Televisione andrà avanti all’infinito perché tenere aperti i processi e sì dovere giornalistico ma è anche buona esca per tenere acceso il fuoco dell’audience. E ormai nessuno s’interroga più sulla suggestione di soluzioni alternative a quelle che derivano dall’esame delle prove o sulle distorsioni che questo genere di programmi può generare. Non solo nella sfera emotiva del pubblico ma anche in quella di chi è chiamato a giudicare.

Fonte: Corriere della Sera  – A fil di rete di Aldo Grasso – dell’ 11 luglio 2019-