L’Ispettorato del Ministero della Giustizia: eventuali abusi dei Gip sono già segnalati. Il documento sulle misure cautelari inviato come ogni anno da via Arenula al Parlamento sconfessa la scelta dei deputati M5S, che martedì in aula hanno ribadito il sì al provvedimento.

Una doccia gelata. L’ispettorato di via Arenula definisce di fatto inutile la legge sulle ingiuste detenzioni. Testo presentato da un deputato di opposizione, l’azzurro Enrico Costa, ma sostenuto anche dalla maggioranza. Incluso il Movimento 5 Stelle, partito dello stesso ministro della Giustizia.

Secondo gli uffici del governo che monitorano l’intero sistema delle misure cautelari, ci sarebbe “assenza di correlazione tra il riconoscimento del diritto alla riparazione” nei confronti degli innocenti finiti in galera “e gli illeciti disciplinari dei magistrati”. Ecco. Invece la legge di Costa tende proprio alla possibilità che tale “correlazione” esista. Prevede infatti di ampliare il codice di procedura penale in modo che il ministero dell’Economia comunichi gli avvenuti risarcimenti per il carcere ingiusto ai titolari dell’azione disciplinare, vale a dire allo stesso ministro della Giustizia e al pg della Cassazione.

Chi ha ragione? E soprattutto, le obiezioni degli uffici di via Arenula rischiano di essere un monito per i deputati Cinque Stelle che hanno già votato a favore del ddl Costa in commissione Giustizia? L’episodio rischia di far emergere l’insostenibilità, per il Movimento, di una linea troppo “severa” nei confronti dei magistrati?

I quesiti sono legittimi tanto più se si considera che proprio un esponente del M5S, Bonafede appunto, ha la funzione, come guardasigilli, di sovrintendere all’amministrazione della Giustizia. Competenza che si estende anche ai rapporti con la magistratura, a cominciare proprio dalle ispezioni e, appunto, dal perseguimento di eventuali illeciti. I parlamentari pentastellati, insomma, potrebbero aver compiuto una scelta non facile da sostenere per il loro partito. Sia in commissione Giustizia sia in aula, dove martedì scorso hanno ribadito il loro sostegno al provvedimento firmato da Forza Italia.

Il ddl in questione dovrebbe essere approvato in prima lettura a Montecitorio martedì prossimo. A farne oggetto di evidenti critiche è, in particolare, la “Relazione annuale sulle misure cautelari personali”, inviata pochi giorni fa al Parlamento. Come previsto dalle riforma del 2015 sulla carcerazione preventiva, uno specifico capitolo della relazione è dedicato ai risarcimenti per le ingiuste detenzioni liquidati dallo Stato (in particolare dal ministero dell’Economia) nell’anno preso in esame.

E secondo la relazione appena trasmessa da via Arenula alle Camere, nel 2018 si registra una “lieve flessione” (rispetto all’anno precedente) dell’ammontare complessivo liquidato, che è di 33 milioni e 373mila euro. La somma è relativa alle 895 ordinanze emesse da via XX Settembre che hanno accolto i ricorsi degli innocenti. Fin qui, si tratta di dati non sconvolgenti. A colpire sono altri passaggi. Innanzitutto la già citata tesi secondo cui non c’è “correlazione” tra risarcimenti e presunti illeciti disciplinari dei giudici che avevano ordinato quegli arresti.

Ancora, i richiami al carattere quanto meno superfluo delle nuove norme, chiarissimi quando si sostiene come “le anomalie che possono verificarsi in correlazione con l’ingiusta compressione della libertà personale in fase cautelare” siano “costantemente oggetto di verifica da parte degli uffici ministeriali”. I quali, si afferma ancora nella relazione, non hanno bisogno di attendere che vengano pagati i risarcimenti: le verifiche, si nota, vengono condotte “sia nel corso di ispezioni ordinarie sia a seguito di esposti e segnalazioni delle parti, dei loro difensori e di privati cittadini, che, infine, in esito alle informative dei dirigenti degli uffici”.

Controlli che intervengono assai prima, dunque, che si arrivi alla liquidazione dei ristori da parte del Mef: il sistema disciplinare, recita ancora il documento di via Arenula, “consente di intercettare e sanzionare condotte censurabili molto prima, e indipendentemente dalla verifica giudiziaria dei presupposti per il riconoscimento della riparazione da ingiusta detenzione”. Anche se poi, secondo la relazione, queste “condotte censurabili” si manifesterebbero in tutto fuorché nelle manette facili.

Rilievi che potrebbero essere rovesciati, naturalmente. È vero anche che le decisioni sulla condotta dei magistrati sono rimesse alla libera valutazione degli uffici. E che a influire su tale vaglio discrezionale può, inevitabilmente, contribuire anche il fatto che un determinato errore del gip responsabile di un arresto sia costato all’erario decine di migliaia di euro.

Resta in ogni caso il conflitto tra le considerazioni dei “tecnici” dell’ispettorato e quelle dei deputati M5S. E il sospetto che, senza il caso Palamara, difficilmente il gruppo pentastellato avrebbe sostenuto una legge sulle “colpe” delle toghe per le manette facili.

Fonte: Il Dubbio, 28 giugno 2019/ di Errico Novi