Kalinka, 14 anni, violentata e uccisa

E papà rapì il killer «per giustizia»

La ragazzina morì durante una vacanza con la madre e il compagno di lei: l’omicida. La procura tedesca archiviò il caso. Ma il padre della piccola scoprì la verità: l’abuso e una iniezione letale. Per 27 anni André Bamberski si è battuto. Ed ha avuto giustizia.

André Bamberski giura che in tutto questo tempo non ha mai perso la fede in Dio, e alla fine del suo racconto cita il Vangelo di Matteo: «Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati». Ma ad ascoltarlo viene in mente anche una frase da “Improvvisamente, l’estate scorsa” di Tennessee Williams: se un marito perde la moglie è un vedovo, se un bambino perde i genitori è un orfano; ma se un padre perde sua figlia, non esiste nemmeno la parola per dire cos’è.

In una via secondaria a pochi passi dalla Procura, c’è un assassino incatenato a un cancello. È imbavagliato, ha le mani e i piedi legati e una ferita alla testa. Il telefono squilla nella stazione di polizia di Mulhouse, è l’alba di domenica 18 ottobre 2009. Dall’altro capo del filo un uomo con l’accento russo avverte: «Correte in rue des Tilleuls, c’è un noto fuggitivo». Poi riaggancia. La cosa che conta è che adesso il colpevole è lì, in quell’angolo di Francia distante meno di 50 chilometri dal confine della Germania. Agli agenti non resta che andarlo a prendere.

La notizia al telefono

Questa storia, ancora lontana dalla conclusione, è cominciata 27 anni prima. Al lato opposto della Francia, la mattina di sabato 10 luglio 1982, un altro telefono sta suonando. André Bamberski è nella sua casa di Pechbusque, delizioso villaggio in cima a una collina da cui si vede Tolosa, con la sua nuova compagna, Christiane. Sono passati 7 anni dalla fine del matrimonio con Danièle Gonnin. I loro due figli, Kalinka, 14 anni, e Nicolas, 11, stanno trascorrendo le vacanze con la madre a Lindau, sulla riva tedesca del Lago di Costanza, ospiti del compagno di lei, Dieter Kombrach, cardiologo molto apprezzato nella zona. Quando André solleva la cornetta capisce subito che è successo qualcosa di irreparabile.

La voce di Danièle è rotta dai singhiozzi: Kalinka è morta, l’hanno trovata senza vita nel suo letto, senza nessuna ragione apparente. «Ricordo ogni respiro di quella telefonata», racconta oggi Bamberski, che sta ancora a Pechbusque insieme a Christiane, ha 82 anni ed è nonno di un ragazzo di quattordici. «Mio figlio Nicolas, che fa l’ingegnere informatico, vive con la famiglia negli Stati Uniti. Ma tutte le estati le passano qui da noi». E insieme, ogni settimana, vanno ancora al cimitero.

Kalinka Bamberski in una foto scattata poco prima della morte Kalinka Bamberski in una foto scattata poco prima della morte

Il nome di un fiore

Kalinka è il nome di un fiore selvatico che cresce nelle foreste della Mazuria, in Polonia, terra originaria dei Bamberski, sopravvissuti ai campi di concentramento e fuggiti in Francia dopo la guerra. Contabile e dirigente d’azienda, negli anni Settanta André si trasferisce con la moglie Danièle in Marocco per guidare una società di quasi mille persone. «A Casablanca è legato il ricordo più bello, la nascita dei bimbi». Ma è qui che incontrano l’uomo che rovinerà la loro vita.

Dieter Krombach lavora come medico al consolato tedesco. È alto, attraente, elegante, vedovo. I suoi figli frequentano la stessa scuola francese dei figli dei Bamberski, e le due famiglie vivono a pochi isolati l’una dall’altra. È così che Dieter conosce Danièle e se ne innamora. Ricambiato. La signora Bamberski segue il cardiologo in Germania, lasciando i figli con il padre che rientra in Francia, stabilendosi nella villetta di Pechbusque. La vita pian piano trova un nuovo equilibrio, ricorda André, «soprattutto per merito di Kalinka. Aveva tantissimi amici, era una ragazza splendida e molto matura. Durante le pratiche per la separazione disse agli psicologi: voglio bene alla mamma, ma voglio vivere con papà, perché con lui riesco a parlare».

Una strana iniezione

La sera stessa di quel 10 luglio 1982 André Bamberski oltrepassa il confine tedesco e arriva a Lindau. È devastato, e nemmeno Danièle e il compagno Dieter riescono a darsi pace. Kalinka, frangetta bionda e grandi occhi azzurri, fisico sottile ma forte, era in piena salute. Una insolazione, forse: quel venerdì aveva fatto molto caldo, e lei e suo fratello avevano passato la giornata sul lago a nuotare e a fare windsurf. La sera, racconta il cardiologo, Kalinka si era lamentata di non essersi abbronzata abbastanza, così prima di andare a dormire lui le aveva fatto una iniezione a base di ferro e cobalto, per accelerare la produzione di melanina.

Rientrato a Pechbusque per organizzare i funerali, André riceve una strana telefonata dall’ex moglie. «Mi disse che per far rientrare la salma era necessario eseguire prima un’autopsia. Lì per lì rimasi sorpreso, e anche un po’ turbato». Danièle tarderà tre mesi a spedirgli il referto. Quando finalmente riceve quelle 16 pagine, e le fa tradurre dal tedesco, Bamberski si trova davanti a uno scenario devastante.

La verità dell’autopsia

Nella sua analisi il medico legale colloca il decesso attorno alle 3 di notte. Osserva che il ferro iniettato è usato in casi di anemie gravi, va somministrato con estrema cautela, e non ha alcun effetto sull’abbronzatura; ma il dottor Kombrach – e così, leggendo il referto, André scopre che contro ogni regola il patrigno era presente all’autopsia – a quel punto cambia versione: Kalinka era molto debole, ecco il perché della puntura. Ma in quelle pagine c’è un particolare ancora più agghiacciante. L’anatomopatologo registra di aver trovato sui genitali della ragazza un taglio e tracce di sangue, e una sostanza biancastra nella vagina; però non si premura di farla analizzare né di accertare se avesse avuto un rapporto sessuale. Aggiunge di aver trovato «strane e grottesche» le tre iniezioni intravenose praticate la mattina dopo dal dottor Krombach – iniezioni di cui Dieter non aveva mai parlato ad André – per «rianimare la ragazza» quando il suo corpo avrebbe dovuto avere già i chiari segni del rigor mortis. Nota infine che le tracce di cibo nella trachea farebbero pensare a una morte per soffocamento da vomito, eppure le lenzuola del letto erano pulite come appena uscite da una lavatrice. Nella conclusione del referto il decesso resta una «morte inspiegabile». Altrettanto inspiegabile per Bamberski è che davanti a tanti interrogativi, la Procura tedesca di Kempten, già il 17 agosto avesse deciso di archiviare il caso.

«Negli anni ho raccolto decine di prove – racconta oggi André -. Ma per capire la verità mi era bastato leggere quell’autopsia: il compagno della mia ex moglie aveva violentato e ucciso mia figlia. Il giorno stesso andai a trovare Kalinka e davanti alla sua tomba le promisi che avrebbe avuto giustizia».

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Delitto senza castigo

Rimasta accanto al dottor Krombach nella casa di Lindau, Danièle prende l’ex marito per pazzo: «Al telefono mi urlava che ero ossessionato dalla gelosia, che calpestavo la memoria di nostra figlia». Presto gli ex coniugi smettono di parlarsi e non si rivolgeranno più la parola, nemmeno dopo la fine di tutto. A un anno dalla morte di Kalinka, Bamberski torna a Lindau e in pieno centro distribuisce volantini che accusano Krombach di essere un assassino violentatore. Dopo due ore la polizia arriva a portarlo via, e lo stimato cardiologo tedesco gli farà causa per diffamazione vincendo 500 mila marchi. «Ma non penserete mica che alla fine glieli abbia dati davvero?». Nel 1985, il primo colpo di scena: la Procura francese si convince ad aprire un’indagine. Il giudice decide la riesumazione del corpo di Kalinka per una nuova autopsia, che porta a una scoperta agghiacciante. I genitali della ragazza sono stati asportati. Non ce n’è traccia, non verranno mai ritrovati: impossibile provare se ci fu o meno uno stupro. Krombach viene rinviato a giudizio per omicidio volontario. Le autorità di Berlino però fanno muro. Tra ostacoli e rinvii, il processo dura un decennio e si chiude con la condanna in contumacia a 15 anni di reclusione per «aver volontariamente esercitato delle violenze su Kalinka Bamberski, (…) violenze che hanno portato alla morte senza intenzione di causarla». La Germania rifiuta l’estradizione in virtù del principio della “cosa giudicata” (la giustizia tedesca aveva già indagato, e archiviato, assolvendolo di fatto).

Un molestatore seriale in libertà

André scrive un appello al presidente francese Chirac e al cancelliere tedesco Schröder. «Tutto inutile». Sono gli anni in cui l’Europa abbatte i suoi confini, si avvia alla moneta unica e accoglie centinaia di migliaia di studenti Erasmus, eppure la giustizia non sembra ancora un valore condiviso. Il caso è in un vicolo cieco quando da Lindau arriva la notizia che una paziente di 16 anni – due in più di Kalinka quando è morta – accusa l’affascinante cardiologo Krombach di aver abusato di lei nel suo studio medico, dopo averla anestetizzata con una iniezione.

Nel 1997 Bamberski attraversa di nuovo il confine, segue il processo in aula e pensa – sbagliando – che questa volta in un modo o nell’altro sua figlia avrà giustizia. L’imputato si dichiara colpevole ma la condanna è a dir poco blanda: due anni con la condizionale oltre alla radiazione dall’ordine dei medici.

Krombach continua a spacciarsi per cardiologo autorizzato fino al 2006, quando una paziente lo riconosce dopo averlo visto in tv. Allora entra per la prima volta in prigione, condannato a due anni per frode; ma nonostante altre testimoni si siano fatte avanti raccontando di abusi, e di quella strana abitudine di somministrare iniezioni di ferro e cobalto, nel 2008 è di nuovo libero. «Eppure io non ho mai perso la speranza — ricorda Bamberski —. Continuavo a pedinare l’assassino, gli scattavo delle foto, suonavo al suo campanello per ricordargli che aveva ucciso mia figlia, e doveva assumersi questa responsabilità».

In quegli anni André viene anche avvicinato da un killer a pagamento. «Ma rifiutai l’offerta senza esitare. Io cercavo giustizia, non vendetta».

L’appostamento del barista kosovaro

A fine settembre 2009 Bamberski va in vacanza all’hotel Ibis di Bregenz, in Austria. Vicino al confine tedesco, è il posto ideale per sorvegliare i movimenti di Krombach. Una mattina, prima di colazione, lo chiamano dalla reception perché c’è un signore che vuole incontrarlo. Si chiama Anton Krasniqi, fa il barista nella zona e conosce perfettamente la storia di Kalinka. Ha i capelli lunghi, il pizzetto, un crocifisso gotico al collo e parla inglese con uno strano accento: è kosovaro. Va dritto al punto: «Bisogna mettere fine all’impunità di quel dottore, lei è d’accordo che me ne occupi io?».

Per portare a termine il rapimento, Krasniqi coinvolge due complici, un georgiano e un russo. I tre, in un minibus Volskwagen, si appostano davanti alla casa di Krombach, lo spingono nel furgoncino appena esce e partono a tutta velocità verso il confine con la Francia. Il cellulare del medico comincia a suonare: lo lanciano dal finestrino. Alle tre e mezza del mattino del 18 ottobre 2009 il telefono squilla in casa Bamberski: «Krombach è a Mulhouse, in rue des Tilleuls. Ora avvertiamo la polizia».

Il picchetto d’onore degli agenti per Bamberski

Bamberski prende il primo volo da Tolosa e arriva sul posto. Appena entrato in hotel, viene fermato con l’accusa di rapimento. Anche Krasniqi viene arrestato, in Austria, ed estradato a Parigi il giorno stesso. Quando dopo due giorni di “garde a vue” Bamberski viene rimesso in libertà, all’ingresso del commissariato i funzionari di polizia si schierano davanti a lui per un vero e proprio picchetto d’onore. La sua storia diventerà anche un film, “In nome di mia figlia”, interpretato da Daniel Auteuil. In tutta la Francia l’opinione pubblica è con lui. Ma non in Germania, dove il ministro bavarese Beate Merk ha la faccia tosta di protestare: «Questa giustizia fai da te è inaccettabile». Nonostante le resistenze tedesche (con palese sprezzo del ridicolo, e dopo aver coperto per oltre due decenni l’assassino di una ragazzina, Berlino ora chiede perfino l’estradizione di Bamberski), i giudici francesi stabiliscono che il processo d’appello all’ex medico di Lindau deve essere celebrato in Francia. Dieter Krombach viene condannato a 15 anni. L’accusa ne aveva chiesti 30, ma non è riuscita a provare la volontarietà dell’omicidio.

Giustizia è fatta, anche per il padre sequestratore

Krombach continua a proclamarsi innocente e fa più volte ricorso alla Corte d’Appello, in Cassazione e pure alla Corte europea dei diritti dell’uomo, invano. Sta scontando la sua pena nel carcere di massima sicurezza di Moulins e dovrebbe tornare in libertà nel 2020. «Ma ha appena presentato domanda di liberazione anticipata per motivi di salute, pare che sia debole di cuore… Se la accolgono, potrebbe uscire in questi giorni». Quanto a Bamberski, nel 2014, ormai 76enne, affronta il processo per rapimento come membro di una improbabile associazione di malfattori: Krasniqi e i suoi complici.

«Possiamo condannare un padre che ha fatto il suo dovere? Un uomo che ha permesso alla giustizia di compiersi?», arringa il suo difensore. «Possiamo condannare un giusto?». Che la legge faccia finta di niente è impossibile, ma la condanna è leggera: un anno con la condizionale.

Non esiste parola per definire un padre che perde sua figlia

Sono passati 37 anni dalla notte di luglio in cui Kalinka è stata uccisa. André Bamberski giura che in tutto questo tempo non ha mai perso la fede in Dio, e alla fine del suo racconto cita il Vangelo di Matteo: «Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati». Ma ad ascoltarlo viene in mente anche una frase da “Improvvisamente, l’estate scorsa” di Tennessee Williams: se un marito perde la moglie è un vedovo, se un bambino perde i genitori è un orfano; ma se un padre perde sua figlia, non esiste nemmeno la parola per dire cos’è.

Fonte:  da Sette del Corriere della Sera di Paolo Beltramin/ 23 giugno 2019.