un casertano in europa: Valentino Grant

Il catino europeo

(di Stelio W. Venceslai)

Chiuse le urne, sono cominciate le analisi di uno scenario molto diverso da quello consueto.

Indubitabile è stato l’interesse del popolo europeo all’Europa, vista l’accresciuta affluenza alle urne.  Di questa affezione dovranno tenere conto tutti, dai sostenitori ai critici dell’Unione. L’Europa non è più un’astrazione.

Indubitabile è anche il calo dei raggruppamenti politici tradizionali, i Popolari e i Socialisti. Non hanno più la maggioranza del passato. Dovranno imbarcare altri gruppi. Chi? I Liberali e Verdi sono in ascesa, soprattutto questi ultimi.  Ciò significa che certi valori e certe esigenze stanno prevalendo sui consueti schieramenti politico-ideologici.                 Tutti danno per scontato che sarà necessario accordarsi con i Liberali e con i Verdi per avere una stabile maggioranza. Sarà, ma non la vedo troppo facile. I Liberali non li amano, e sarebbe un’accoppiata difficile. Ancor più difficile con i Verdi, che intendono far politica reale e non continuare a essere l’ancella dei partiti tradizionali. Non a caso è in forse la candidatura di Weber, dei Popolari, a Presidente della futura Commissione europea.

I gruppi contestatori o euroscettici crescono, ma non quanto speravano. Però il malessere c’è e ci sarà un’opposizione molto più combattiva che per il passato. Salvini pensa alla costituzione di un nuovo gruppo parlamentare con la Le Pen e Farrage e chiunque altro lo gradisse. Non credo che vi riuscirà. Unire in un solo gruppo posizioni populiste e nazionaliste è di per sé contraddittorio. In sostanza, la tradizionale alleanza popolar-socialista ha perso, ma l’opposizione euroscettica non ha vinto. I giochi sono tutti aperti.

Le tensioni politiche interne si riflettono, a loro volta, sul piano europeo, ma il Parlamento è un grande catino dove si miscelano colori diversi e tendenze contrapposte. Al momento, è prematuro avere una visione complessiva degli schieramenti. I “lavori” sono in corso. Il quadro è in evoluzione ma non si deve dimenticare che, poi, alla fine, chi decide sono gli Stati.

Più immediati e visibili sono i riflessi interni a ciascun Paese. Ovviamente, una cosa sono le elezioni europee e un’altra quelle nazionali, ma l’impatto dei cambiamenti potenziali è notevole.

Sono da segnalare la maggioranza assoluta di Orban, in Ungheria, e la vittoria di Farrage (accanito sostenitore della Brexit) nel Regno Unito, il paradosso di un Paese che vuole andarsene a novembre ma elegge i propri rappresentanti al Parlamento europeo per i prossimi quattro anni.  Una farsa. Pende sempre, poi, l’ipotesi di un altro referendum, ma il Paese è spaccato in due: città contro campagna.

Tre sono i Paesi sui quali queste elezioni hanno avuto l’effetto di un terremoto: la Grecia, dove Tsipras ha perso la maggioranza e indetto subito le elezioni, la Francia, dove Macron è stato sopravanzato dalla Le Pen, e l’Italia, dove la Lega ha stravinto diventando il primo partito, con un consenso attorno al 34%.

Mentre in Grecia il partito che ha battuto Tsipras è filo-europeo, le cose non stanno così in Francia. La Le Pen ha già chiesto lo scioglimento del Parlamento e nuove elezioni. Macron non è più l’astro nascente della politica francese. Anche se restasse al potere, la sua immagine è molto appannata e la sussiegosa intesa con la Merkel mostra parecchie crepe. L’asse franco-tedesco è incrinato e se al Parlamento francese con nuove elezioni dovesse prevalere la Le Pen, sarebbe inevitabile un forte contrasto fra Parigi e Berlino.        In Italia, l’ascesa trionfante di Salvini e il successo di Fratelli d’Italia fanno da contrappeso al malinconico scadere nell’irrilevanza di Forza Italia e al disastro politico del Movimento 5Stelle.

Regge il PD, pur perdendo ancora un centinaio di migliaia di voti. La sua lista unitaria, voluta da Zingaretti, ha retto, ma il PD ha perso la leadership dietro alla Lega. E non è finita, perché si attendono i risultati della consultazione elettorale per la Regione Piemonte, per sei Province e quasi quattromila Comuni. Qui le perdite saranno ancor più dolorose, trattandosi di situazioni territoriali tradizionalmente appannaggio della Sinistra. Con la quasi certa perdita del Piemonte, l’ultima regione del Nord dove governava il PD, tutta l’Italia settentrionale è nelle mani del centro-destra. Un effetto indiretto a favore della TAV, spazzando tutte le stupide polemiche cui aveva dato esca il Movimento 5Stelle, sposando la causa opposta.

Il flop di Di Maio è innegabile. Troppe sciocchezze, troppe incompetenze, troppe presunzioni. Il loro radicamento territoriale è troppo recente per contrastare la tendenza generale a favore del centro-destra. A livello locale, forse, il Movimento potrà avere qualche soddisfazione, ma il quadro è desolante. I 5 Stelle sono in rotta un po’ dovunque, anche al Sud, il loro più importante bacino elettorale.

Forza Italia, più che un battello è una zattera che va alla deriva. Il teatrino è finito e comincia la corsa verso il vincente. Aspiravano al 20%, stavano al 12%, si sono fermati all’8%. A momenti li supera Fratelli d’Italia. Che faranno Toti, la Carfagna, il Tajani e gli altri ineffabili famuli della corte berlusconiana? Quanto durerà il condominio con la Lega trionfante nelle Regioni del nord?

Nelle sue prime dichiarazioni post-elettorali, Salvini è stato molto corretto: nessun rimpasto di governo, continuazione dell’alleanza, rispetto e applicazione del contratto di governo. Di Maio lamenta la mancata organizzazione territoriale del Movimento ma anche per lui il governo continua. Abbiamo discusso, abbiamo litigato, ci siamo buttati le torte in faccia, ma era tutta una sceneggiata. Non è successo nulla e si continua come prima. Balle.

La forza elettorale della Lega si tradurrà, come ha preconizzato Salvini, nell’attuazione dei suoi programmi, piacciano o non piacciano al Movimento. Di Maio dovrà digerire un po’ tutto, dalla Tav al decreto sicurezza, dalla flat tax  al tentativo di rinegoziare i parametri comunitari. Non ci sono alternative parlamentari od altre maggioranze possibili. Se il Movimento non ci sta, si dovranno sciogliere le Camere e le elezioni potrebbero diventare un incubo non solo per il Movimento, ma anche per il PD e per Forza Italia. A settembre/ottobre, poi, c’è il nodo fatale della finanziaria. Un approdo periglioso.

 

 

Roma, 27/05/2019