Le copie calano del 10% all’anno. La pubblicità migra sul web e in gran parte finisce nelle fauci di Google e Facebook. E gli abbonamenti digitali non decollano. Il vecchio modello del giornalismo italiano, che coniuga contenuti alti e bassi, sul web non funziona più. O almeno: non produce fatturato. E allora?

 

I giornali italiani stanno morendo? La domanda non è peregrina visti i dati che da anni vengono pubblicati sulle vendite e sulla pubblicità. Gli ultimi sono ancora una volta allarmanti: a marzo la pubblicità è calata del 12,3% rispetto al marzo 2018 (a febbraio il calo era stato del 13,5); e le vendite a gennaio sono scese dell’8.4% in edicola (-6% contando anche quelle digitali) rispetto all’anno precedente. La tendenza va avanti da oltre un decennio: ogni anno i quotidiani perdono tra l’8 e il 10 per cento delle copie vendute e una percentuale analoga di pubblicità. Nel 2000, anno della sua massima espansione, i quotidiani italiani, secondo le rilevazioni ADS, vendevano complessivamente 6,2 milioni di copie (compreso mezzo milione di abbonamenti), nel 2008 erano 5,3 milioni, oggi siamo scesi poco sotto i due milioni più 200 mila abbonamenti digitali, un terzo rispetto a vent’anni fa.

 

Nelle sue linee generali, il fenomeno è noto e ha caratteristiche simili in tutto il mondo: i lettori si spostano su Internet, dove l’offerta di news gratuite è abbondante, e sentono sempre meno il bisogno di acquistare il giornale cartaceo; la chiusura di oltre metà delle edicole accelera il processo. La pubblicità segue lo stesso percorso: si sposta sul web e viene assorbita dai due grandi colossi digitali, Facebook e Google che controllano (a seconda delle fonti) tra il 60 e l’80 per cento del mercato. E sul web i giornali competono ormai direttamente (per l’attenzione, il tempo, le risorse dedicate dagli utenti) con le piattaforme di streaming (Netflix e dintorni) che in Italia hanno ormai superato gli otto milioni di abbonati.

 

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: le società editoriali sono obbligate a tagliare ogni voce di spesa, il numero dei giornalisti diminuisce ogni anno, i corrispondenti all’estero sono ormai un lusso di pochi… Quanti anni può durare questa tendenza prima che gli editori portino i libri in tribunale? Da dove nasce questa catastrofe? E soprattutto: perché le prospettive della stampa italiana sono peggiori rispetto ad altri paesi avanzati? Per cominciare, diamo uno sguardo a quello che accade altrove.