Mario Beatrice,  aspirante maresciallo della guardia di finanza, uccise la giovane fidanzata Veronica Abbate.(*)

 

Il delitto di Veronica Abbate è ritornato alla ribalta in seguito alla cancellazione del murales che ritraeva la bellissima mondragonese assassinata dal suo fidanzato ad aprile del 2019 dopo ben 13 anni dal fatto. Nel frattempo ne è nata una polemica anche se,  i proprietari dell’immobile,  hanno promesso che l’opera realizzata a suo tempo dall’artista Sema Lao e simbolo della lotta al femminicidio, sarà rifatta a conferma che continuerà ad essere il marchio dell’Associazione “Veri”, fondata dalla mamma della povera ragazza.

Un delitto efferato, crudele, malvagio, egoistico, aberrante. Non basteranno altri aggettivi qualificativi dispregiativi per descrivere questo omicidio. Una vicenda complessa, per certi versi ancora aperta, nonostante quattro processi ed una condanna definitiva a 22 anni di reclusione. In primo grado, il processo, innanzi la Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere, presieduta da Elisabetta Garzo, con uno schieramento notevole di avvocati. Per la parte civile Giuseppe Stellato e Claudio Sgambato; per l’imputato, Camillo Irace e Carmine Ucciero. Le indagini erano state coordinate dal pubblico ministero Giovanni Cilenti, mentre in udienza la pubblica accusa – con la richiesta dell’ergastolo – fu rappresentata da Carlo Fucci. La sentenza fu giusta, con la concessione delle attenuanti generiche

equivalenti sulle aggravanti contestate: 30 anni di reclusione. Ma anche i giudici, spesso, sbagliano. La pena era illegale. Cioè non poteva superare nel massino i 24 anni. Altro giudizio, quindi. In grado di appello – revocati i precedenti difensori – per l’imputato fu nominato l’avv. Lidia Marino. Nel contempo il giovane finanziere, che evidentemente aveva capito la gravità del  suo gesto e se ne era pentito amaramente, scrisse una lettera di scuse alla famiglia Abbate ed offrì, quale risarcimento del danno, la somma di 150.000 euro, rifiutati dalla famiglia Abbate. “Nessuna somma di denaro ci riporterà il nostro Angelo”, disse la mamma di Veronica. La successiva sentenza, con la esclusione delle aggravanti, racchiuse la pena in 15 anni di carcere. A questa decisione si opposero tutti: l’imputato, attraverso il suo difensore; la pubblica accusa, attraverso il procuratore generale e la parte civile, inoltrando un ricorso per Cassazione. La

Suprema Corte di Cassazione, rigettò il ricorso dell’imputato e accolse, invece, quello del Procuratore Generale e della Parte Civile, sui motivi abietti (estrinsecati dai valenti difensori della famiglia Abbate nell’ingiustificato senso di possesso nei confronti dell’ex fidanzata) e rinviava ad altra sezione della Corte d’Assise d’Appello. Nel quarto giudizio penale (il giudizio civile, per la responsabilità del Ministero, per non aver vietato al finanziere l’uso della pistola d’ordinanza è ancora in corso) furono riconosciuti i motivi abietti e la pena fissata definitivamente a 22 anni. Pena divenuta nel frattempo irrevocabile.

La rara bellezza di una ragazza in fieri…

 

Veronica Abbate nasceva a Napoli nel 1986 in seno ad una agiata famiglia dalla quale aveva ricevuto educazione di prim’ordine. Vivace ed estroversa, iniziava il suo percorso di vita scandito, fin dall’età della fanciullezza, da tempi di spensieratezza e di leggiadria che ben facevano sperare in un meraviglioso e suggestivo avvenire. Ragazza in fieri, di avvenente e rara bellezza, parallelamente agli studi scolastici – condotti con volontà e solerzia – aveva sempre manifestato notevole interesse per la vita in ogni sua espressione, anche grazie al sostegno dei genitori Lello e Tina e della sorella maggiore Ylenia che l’avevano, progressivamente, aiutata a scoprire i doni che possedeva affinché potesse svilupparli, arricchirli e metterli al servizio di se stessa e degli altri nell’ambito delle scelte di vita chiamata a compiere. In tale contesto di crescita si inseriva la scelta di Veronica di frequentare il corso universitario di Scienze Biologiche presso l’Università di Napoli, certamente maturata e compiuta tenendo conto delle più intime aspirazioni della giovane ragazza. Improvvisamente, durante una notte di fine estate, tra il 2 ed il 3 settembre del 2006, verso le ore 00.50, questa stella di nome Veronica rimaneva senza cielo per colpa di un raptus di follia distruttiva che colpiva la persona di Mario Beatrice, il giovane che Veronica aveva conosciuto all’età di quattordici anni e con il quale aveva avuto una storia d’amore durata circa quattro anni. Un amore, il loro, nato tra ragazzi che, però, segnava inesorabilmente il tragico destino della giovane Veronica, finito nel sangue. Si erano conosciuti un pomeriggio su una spiaggia: Veronica, bellissima ragazza, aveva solo 14 anni e, tra loro, era scattato un colpo di fulmine, come spesso accade a quell’età. Tuttavia, il loro rapporto, sebbene fosse andato avanti per quattro anni, era stato molto tormentato fin dai primi esordi a causa dei discutibili comportamenti tenuti dal Beatrice il quale, più volte, nel corso degli anni, si era reso responsabile di ripetuti ed ingiustificati abbandoni. Le improvvise e continue rotture del legame poste in essere dal Beatrice non erano, peraltro, mai adeguatamente motivate ed erano quasi sempre determinate da futili motivi. Per la povera Veronica il rapporto con il Beatrice era stato, dunque, fonte di continua sofferenza derivante dai comportamenti anomali manifestati dal fidanzato che, fin dagli inizi della storia, aveva assunto atteggiamenti di profondo egoismo che lo avevano indotto a trascurare la ragazza anche per giorni interi senza chiamarla né cercarla, con indicibile sofferenza a carico della giovane donna. In definitiva, quei quattro anni di relazione non erano stati affatto felici; lui la lasciava spesso per poi tornare a riprenderla senza farla sentire mai veramente amata. Veronica, però, era innamorata ed ogni volta lo perdonava e ritornava con lui. Insomma, una relazione difficile, un amore niente affatto spensierato ed allegro come dovrebbe essere il sentimento tra due adolescenti; un amore dominato dai gravi squilibri emotivi del Mario Beatrice. “Il Beatrice – scrissero nelle loro memorie gli avvocati Claudio e Francesco Sgambato difensori in sede anche civile – era stato, fin da piccolo, uno di quei bambini viziati e capricciosi, intollerante ad ogni regola, insofferente ad ogni impegno e ad ogni forma di responsabilità. Ne è stata prova la scarsa attitudine manifestata verso lo studio; tant’è che il diploma di maturità scientifica era conseguito con il minimo dei voti (61). Pur essendosi iscritto all’università, non era mai riuscito a sostenere alcun esame. Il Beatrice, in sostanza, nelle situazioni scolastiche (ma non solo), non aveva dato mai prova di raggiungere gli obbiettivi didattici con la giusta motivazione”. In ogni caso, pur prescindendo dagli esiti della sua esperienza scolastica, può dirsi che il Beatrice non è stato mai in grado di dare un senso preciso a ciò che voleva ed, anzi, anche da grande, ha sempre manifestato pretese infantili, voleva tutto e subito, senza mai dimostrare spirito di tolleranza verso i rifiuti e le frustrazioni della vita. Egocentrico ed arrogante, scarsamente accettato e mal sopportato dagli altri coetanei, non è mai riuscito ad impostare regole costruttive di vita e progressivamente si è irretito in quello stato di disagio e di alienazione mentale che segna la decadenza di tutte le norme e di tutti i valori sociali e che rappresenta l’anticamera della devianza e del crimine. Un giorno, Veronica, dopo aver scoperto di essere stata tradita, poneva la parola fine a quel rapporto, segnando, in tal modo, l’inizio della sua tragedia. Ed infatti, Mario Beatrice, non riuscendo ad accettare il rifiuto della sua ex fidanzata, del cui animo e dei cui sentimenti evidentemente pretendeva di essere il sovrano tiranno, iniziava a tormentarla oltremodo finché nove mesi dopo, in quella fatidica notte tra il 2 e 3 settembre del 2006, la uccideva a bruciapelo, sparandole un colpo di pistola alla nuca esploso con la Beretta modello 84 che aveva in detenzione. La fine del fidanzamento era avvenuta agli inizi del 2006, anno, quest’ultimo, in cui Mario Beatrice, dopo aver sostenuto e superato le prove concorsuali, stava frequentando il corso Marescialli della Guardia di Finanza. Tra i vari accadimenti che, a far data dalla rottura del fidanzamento, si erano succeduti nel 2006 rileva, senz’altro, l’episodio avvenuto nel mese di gennaio allorquando, il Beatrice, dopo aver chiesto ed ottenuto un ulteriore incontro con Veronica, nel mentre la riaccompagnava a casa, si fermava nei pressi del cimitero di Nocelleto di Carinola ed ivi sfoderava la pistola e se la rigirava più volte tra le mani, minacciando il suicidio. Nella medesima circostanza, sempre in presenza di Veronica, prendeva un coltello e, minacciando di tagliarsi le vene, si procurava una ferita superficiale al polso. Più volte, nell’anno 2006, il Beatrice aveva tentato con insistenza di ritornare con Veronica tanto da inscenare ben due incidenti stradali per far accorrere a sé la giovane ragazza e condizionarla a ritornare con lui. In occasione di un altro episodio, verificatosi sempre nell’anno 2006, il Beatrice inviava un messaggio sul cellulare di Veronica con il quale minacciava apertamente il suicidio. Altro accadimento da cui emerge lo squilibrio mentale in cui il Beatrice versava nell’anno 2006, è certamente quello verificatosi quando, dopo aver ricevuto Veronica a casa sua, disponeva la pistola con il caricatore inserito sul tavolo presso il quale i due erano seduti tanto che la giovane, ragionevolmente preoccupata dai precedenti, era costretta ad imporgli di allontanare l’arma e di scaricarla. Questi sono soltanto alcuni dei drammatici eventi che, nel 2006, hanno preceduto il tragico epilogo della breve parabola esistenziale della giovane avvenuto nella notte tra il 2-3 settembre 2006 allorquando Veronica e Mario si incontravano per l’ultima volta in Mondragone alla Via degli Oleandri. Quella sera, Veronica, prima di essere uccisa, si trovava nella vettura del Beatrice (ferma in via degli Oleandri) nel mentre, in un’altra auto in sosta dietro a quella del Beatrice, c’era Maddalena Viola, l’amica che aveva accompagnato Veronica  a quel fatidico ed ultimo  appuntamento. D’improvviso, Maddalena, verso le ore 00.50, fu allertata dal rumore dello sportello dell’auto di Beatrice che si aprì con violenza ed immediatamente dopo sentì Veronica gridare forte il suo nome, tant’è che si girò e vide la ragazza in piedi fuori dall’abitacolo ed in quel preciso istante sentì l’esplosione del colpo. Scesa dall’auto, si diresse subito verso l’amica, ma il corpo di quest’ultima giaceva ormai esanime lungo la strada, a ridosso del marciapiede. Qualche ora più tardi di quella atroce notte, tra le ore 2:00/2:10, il Beatrice si presentò spontaneamente presso la caserma dei carabinieri di Mondragone ed, ivi giunto, scese dall’auto e pronunciò, in presenza dell’appuntato di turno Antonio Mella e di altro soggetto non militare, occasionalmente presente presso gli uffici della caserma (Angelo Macaro), le seguenti testuali parole: “Devo pagare – ho sbagliato – per quello che ho fatto, sta tutto in macchina”. Il processo penale, apertosi a carico di Mario Beatrice, si concludeva con sentenza della Corte di Assise di Appello di Napoli Sezione Seconda passata in giudicato con la quale l’imputato era condannato alla pena della reclusione definitivamente determinata in anni ventidue oltre che al pagamento delle spese processuali ed al pagamento della provvisionale in favore di ciascuna delle costituite parti civili. Pena detentiva che, attualmente, il Beatrice sta scontando presso il carcere militare di S. Maria Capua Vetere e poi presso quello di Bollate. Questa, dunque, la breve cronaca dei fatti occorsi prima e dopo la fine di Veronica; questa la lucida sintesi di un amore criminale che non ha lasciato più vivere; questa la storia di come un amore possa trasformarsi in morte! Appare quanto mai rilevante la collocazione temporale (anno 2006) dei menzionati episodi di grave persecuzione perpetrati in danno della giovane in quanto posti in essere dal Beatrice giustappunto nel medesimo periodo in cui quest’ultimo stava frequentando il corso per Marescialli della Guardia di Finanza. L’ammissione ai corsi di allievo maresciallo della G.d.F. era stata preceduta da una selezione psichiatrica e psicologica e da una serie di prove psico-attitudinali che si erano svolte nel periodo giugno novembre del 2004 e che, inspiegabilmente, avevano avuto esito positivo e cioè erano sfociate in un giudizio di idoneità. In particolare – con il giudizio ancora in corso spostato da Roma per competenza a Napoli – ciò che gli avvocati mirano a dimostrare è la responsabilità colposa dell’amministrazione statale per aver ritenuto e valutato idoneo un soggetto che non possedeva i requisiti richiesti dalla legge e, dunque, per aver concesso in detenzione allo stesso l’arma di ordinanza con la quale poi ha commesso il delitto.

(*) Il racconto è tratto dal libro di Ferdinando Terlizzi “Delitti in Bianco & Nero”- Editalia – 2017 – Nella foto la mamma di Veronica con il ministro Salvini